Piccole Note - Cenni di informazione online

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a cura di Davide Malacaria Lavoravo in una rivista, non più. E comunicarle ad altri. Nasce da qui l’idea di questo piccolo sito.

Ma è rimasta la voglia di guardare i giornali per scorgervi scintille d’intelligenza e di conforto sulle vicende del mondo e della Chiesa. Una povera cosa, senza pretese, che spero possa essere di una qualche utilità a quanti condivideranno con me queste pagine. Nel tempo, Piccole note si è arricchito di care collaborazioni. Non in conseguenza di qualche ricerca affannosa, ma per certa felice accu

31/08/2024

🇺🇦 CADE IL PRIMO F 16 UCRAINO: MAGIA INFRANTA

🔴 Lo scontro tra la deputata Maryana Bezuglaya e le forze armate ucraine. Per l'ennesima escalation ora occorre una nuova arma magica, è il turno dei missili a lungo raggio.

L'abbattimento del primo F 16 ucraino ha una portata simbolica, sia perché disvela in maniera plastica lo scarso impatto che l'ennesima arma magica avrà sul conflitto, sia perché mette a n**o le tragiche defaillance dell'esercito ucraino e le lotte intestine che ne dilaniano la leadership, un crepuscolo degli dei che stride non poco con il giubilo sguaiato che sta accompagnando l'offensiva di Kursk.

Pilotato da un vero e proprio top gun, Alexei Mes, l'F-16 era alla sua prima missione. Nel dare notizia del decesso, Wingmen for Ukraine, una della tante organizzazioni che sostengono l'impegno bellico di Kiev, scrive su X: "Mes non era solo un pilota esperto, ma anche un sostenitore delle capacità di difesa dell'Ucraina. Insieme al suo collega, il defunto Andriy Pilshchikov [deceduto in un incidente aereo durante un volo di addestramento il 25 agosto scorso ndr.], ha visitato gli Stati Uniti nel 2022 per fare pressioni per la fornitura di jet da combattimento F 16 all'Ucraina".

Tragedia doppia per Kiev, perché è stato abbattuto da fuoco amico, un missile Patriot, come ha rivelato la deputata Maryana Bezuglaya e come confermato anche dal New York Times, che da tempo ha messo nel mirino il capo dell'aeronautica.

La voce del padrone

La credibilità della Bezuglaya sta tutta nel suo ruolo, che Strana descrive così: "Negli ambienti politici [di Kiev] è da tempo diffusa l’opinione che la Bezuglaya si faccia portavoce dell’ufficio del presidente e dica cose sull’esercito che Bankovaya [il governo ndr] stessa non può dire per vari motivi".

"Questa opinione si è particolarmente rafforzata dopo che la Bezuglaya ha iniziato a criticare l'ex comandante in capo delle forze armate ucraine Valery Zaluzhny nella maniera più feroce possibile, poco dopo che si era sparsa la voce che Vladimir Zelenskyj voleva licenziarlo. E le sue dichiarazioni sono state percepite come una preparazione informale alle dimissioni del comandante in capo"

Strana dettaglia che la Bezuglaya sarebbe la "voce" di Andrei Ermak, l'ex produttore cinematografico (sic) che l'ex comico Zelensky ha messo a capo del suo ufficio presidenziale.

Ma al di là del particolare, resta che essere presi di mira dalla signora non porta bene, cosa di cui si deve essere accorto anche il comandante in capo dell'aeronautica, Nikolai Oleshchuk, che aveva risposto a muso duro alle sue rivelazioni, spiegando che l'esercito non voleva rendere pubblica la notizia del fuoco amico perché c'è una guerra in corso.

“Ma questo è indifferente per le persone che hanno eletto Maryana Bezuglaya come strumento per screditare la più alta leadership militare. Non sarà possibile impiccare tutti i cani all'esercito, però mi rivolgo al deputato del popolo che ha venduto molto tempo fa il suo nome per raggiungere questi vili obiettivi: Maryana, verrà il momento in cui ti scuserai davanti a tutto l'esercito per quello che hai fatto, spero in tribunale!". Poche ore dopo, chiosa Strana, Oleshchuk è stato licenziato...

Insomma, un ambientino niente male il fulgido esempio di democrazia che l'Occidente è chiamato a sostenere a costo della vita dell'ultimo ucraino. Ma se riportiamo la notizia è anche per riferire le pregresse critiche di Maryana al comandante dell'aeronautica finito ingloriosamente ai giardinetti.

Falsificare per continuare a combattere

Critiche alzo zero, quelle di Mryana, un po' su tutta l'organizzazione della difesa aerea, motivo di perdite sia delle difese antiaeree che degli addetti alle stesse e che lascia campo libero agli attacchi del nemico.

Ma la critica che appare più interessante riguarda la tendenza delle autorità militari, sempre l'aeronautica nello specifico, a manipolare le informazioni sugli attacchi dei missili e dei droni russi. Strana riferiva che Mryana ha accusato il Comando dell'aeronautica di "falsificare le statistiche sugli impatti, designando come 'detriti' i missili che invece colpiscono gli obiettivi", causando miliardi di danni alle infrastrutture critiche.

Se si tiene presente che la stampa occidentale riporta in modalità dogmatica le informazioni di parte ucraina, si ha la misura di quante falsificazioni siano state propalate in questi anni. E non sembra che ciò possa essere circoscritto alle sole informazioni riguardanti i cieli...

Tali falsificazioni hanno uno scopo preciso: nascondere la realtà di quanto sta realmente accadendo in Ucraina. Si deve far vedere che, nonostante le difficoltà, che non si possono celare del tutto, la situazione è gestibile e che quindi lo sforzo bellico deve proseguire. Nessuno spazio alla diplomazia, finché Kiev potrà ancora brandire la vittoria sul nemico.

Dopo gli F 16 è il turno dei missili magici

Una vittoria che ora necessita l'ennesima arma magica: i missili a lungo raggio. Per ora l'amministrazione americana sta rigettando la pressante richiesta dei falchi iper-atlantisti che stanno dietro le pressioni ucraine, un freno che ha bloccato anche il placet di Londra all'utilizzo dei suoi vettori.

Ma quanto accaduto in passato non promette nulla di buono, dal momento che le escalation precedenti hanno seguito un'analoga dinamica, fatta di dinieghi ripetuti con cedimento finale.

Ma questa escalation avrebbe un impatto diverso dalle precedenti. Stiamo parlando di un'opzione che ha tutti i tratti di un detonatore per far scoppiare la terza guerra mondiale.

Quanto all'offensiva di Kursk, nulla è cambiato rispetto ad alcuni giorni fa, in cui è stata fermata. In realtà, l'offensiva era fallita già l'11 agosto, quando il mondo avrebbe potuto svegliarsi con la centrale atomica di Kurčatov in mano agli ucraini.

Sarebbe stato un evento paragonabile all'11 settembre 2001 - crollo delle Torri Gemelle e attacco al Pentagono - quando i neocon e i loro affiliati globali urlarono al mondo che nulla sarebbe stato più come prima. Gli è andata male, e la mattanza ucraina prosegue secondo il vecchio macabro spartito.

Ps. Le morti alquanto bizzarre e a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro dei due principali sponsor della campagna per armare l'Ucraina degli F 16 suscita tanta curiosità e qualche domanda. Tanti i soldi che accompagnano l'invio di armamenti a Kiev, molti dei quali vengono accaparrati indebitamente (basta leggere il Kyiv Post che documenta ogni giorno la corruttela dilagante a Kiev). Curiosità e domande, nulla più.

28/08/2024

L'ARRESTO DI DUROV E LA STRETTA SUI SOCIAL

Non solo uno schiaffo alla Russia, anche Elon Musk e Zukerberg dovrebbero preoccuparsi... La liberté si è ristretta, come anche l'Atlantico

L’arresto di Pavel Durov è una sorta di atomica lanciata sul mondo dei social e l’ennesimo strale contro la Russia. Mai, finora, si era arrivati a una spregiudicatezza simile, con un’operazione che ha i tratti di un rapimento, dal momento che il mandato di arresto è stato spiccato in tutta fretta e nell’assoluto segreto e che a Durov sono contestati reati che possono essere allargati a qualsiasi altro patron dei social e di Big Tech in genere.

Elon Musk dovrebbe essere preoccupato…

Non per nulla Elon Musk si è scagliato contro la magistratura francese, che tutti sanno essere stata ispirata da oltreoceano. Una presa di posizione, quella di mister Tesla, che Tyren Dorel, su Zerohedge spiega così: “Nel caso in cui ve lo stiate chiedendo, niente meno che Alexander Vindman, il portavoce dello Stato profondo, chiarisce chi è il vero bersaglio…”.
Così Vindman su X: “C’è una crescente intolleranza per la disinformazione e l’influenza maligna delle piattaforme e un crescente desiderio di responsabilità. Musk dovrebbe essere preoccupato”.
D’altronde, Musk si è schierato apertamente con Trump, portandogli in dote la sua X, che non lo censurerà come avvenuto nella precedente campagna elettorale. Un appoggio attivo, come denota la sua intervista al candidato MAGA, che preoccupa non poco l’establishment USA schierato apertamente con il partito democratico.
L’appoggio potrebbe attirargli le stesse attenzioni riservate al tycoon, il quale, dopo essere scampato a un tentativo di assassinio, vede riemergere le trappole giudiziarie che pensava di essersi lasciato alle spalle. Di ieri, infatti, le nuove accuse per i fatti del 6 gennaio 2021, che riaprono un’inchiesta che era stata di fatto archiviata. Probabile che sia solo il primo colpo di cannone da parte della magistratura.

L’attacco preventivo contro Zuckerberg

Ma è probabile che l’arresto di Durov abbia anche un altro obiettivo. Di ieri la notizia di una lettera di Mark Zuckerberg al presidente della commissione giudiziaria della Camera Jim Jordan in cui denuncia le pressioni della Casa Bianca per censurare post sul Covid, sulle più o meno asserite frodi elettorali del 2020, sul computer portatile di Hunter Biden e altro.
Il Washington Post spiega che la missiva nasce dai timori del patron di Meta, Instagram e WhatsApp per un’inchiesta avviata dai repubblicani per la censura subita dai suoi esponenti. Sarebbe, cioè, il modo trovato da Zuckerberg per eludere le responsabilità pregresse e riposizionarsi, dal momento che nella lettera annunciava che non avrebbe più ceduto alle pressioni.
La missiva è stata spedita ieri, ma di certo era nella mente di Zuckerberg da tempo e sicuramente è stata oggetto di discussioni più o meno accese nell’ambito dei più alti dirigenti del social, dati i contenuti dirompenti, che hanno costretto la Casa Bianca e i media di establishment a intemerate alquanto nebulose.
Così è più che probabile che l’intelligence USA e il potere che essa serve fossero a conoscenza della missiva ben prima della sua pubblicazione. L’arresto di Durov, dunque, suona oggettivamente anche come un monito diretto a Zuckerberg perché continui a obbedire a comando, dal momento che l’establishment USA non può permettersi di perdere la presa su un mezzo di comunicazione tanto utile alla causa.

Di codici e villaggio globale

Certo, la cattività di Durov dovrebbe servire anche a rubare i codici di Telegram, con i quali gli USA potrebbero sia tentare di influenzare la piattaforma e i suoi utenti sia di avere accesso alle comunicazioni dei militari russi, che a quanto pare usano tale servizio per comunicare. Ciò si legge su tutti i media internazionali ed è inutile ripeterlo in questa sede, anche se alle nostre orecchie tutto ciò suona un po’ eccessivo.
Probabile che Telegram abbia già preso contromisure dopo l’arresto del suo patron e appare difficile credere che l’esercito russo abbia in Telegram il suo canale preferenziale di comunicazione. Ma, dubbi a parte, per ora prendiamo tali informazioni come probabili, mentre è doveroso segnalare che un mandato di arresto è stato spiccato anche contro il fratello di Durov, Nikolaj, che poi è il genio in ombra della famiglia e l’inventore del social, avendo lasciato a Pavel il palcoscenico.
Tali improvvide iniziative hanno l’effetto di destrutturare il “villaggio globale” tanto caro ai neocon che l’hanno inventato, anche nominalmente, ai tempi della prima invasione dell’Iraq, associandosi tale termine al primo media del villaggio in questione, la CNN, che coprì l’evento in modo spettacolare (come le famose bombe intelligenti, che tanto intelligenti poi non erano).
Dopo l’arresto di Durov i potenti del mondo invisi all’establishment dovranno fare maggiore attenzione ai loro spostamenti. Ma è possibile che anche i potenti, o asseriti tali, dell’establishment debbano fare la stessa cosa quando si muovono in territorio ostile. Tale l’esito destabilizzante dell’arresto.

Liberté?

Quanto alla libertà di informazione e di parola, che avrebbe subito una nuova stretta con tale operazione, con l’attentato all’unico social globale non statunitense, inutile ribadire l’ovvio. Questa è la prospettiva nella quale si muove il nuovo potere imperiale di stampo liberal-neocon. E più potere prenderà più la stretta sarà serrata.
D’altronde basta osservare i report che negli anni hanno stilato i giornalisti e i media di establishment sulle guerre infinite e sulle rivoluzioni colorate (che solo negli ultimi anni hanno visto cadere i governi di Pakistan, Haiti e Bangladesh; ci torneremo) per capire quanta libertà di parola lascino ai loro narratori, costretti a riferire corbellerie spesso anche contraddittorie per compiacere i loro veri datori di lavoro.
Ripetita iuvant: più potere prenderà tale potere, più serrata sarà la stretta. Anche se spesso è impossibile, è utile ricordarlo a quanti affermano che comunque la libertà dell’Occidente è sempre meglio dell’autoritarismo che vige altrove.
Tale libertà sopravvive, e sempre più ai margini, solo e soltanto come residuo delle libertà democratiche pregresse, non certo grazie ai nuovi padroni del vapore, che la vogliono demolire.

Quando Telegram serviva all’indipendenza di Hong Kong…

Al di là, segnaliamo una bizzarria del destino che suona tragicamente ironica per l’arrestato eccellente. Ria Novosti, secondo il quale Durov è stato arrestato perché Telegram sta plasmando la narrazione sulla guerra ucraina, ricorda quando il patron del social – che avrebbe in realtà quattro o cinque nazionalità, tra cui la francese, per la quale ha scelto il nome di Paul du Roeve – accusava la Russia di strangolare la libertà di ogni genere. Ironia vuole che ora è Mosca che cerca di liberarlo.
Ma è utile ricordare anche che al tempo in cui Gran Bretagna e Stati Uniti tentarono il colpo di stato a Hong Kong tramite una rivoluzione colorata guidata dagli studenti (come accaduto di recente in Bangladesh…) usarono ampiamente Telegram per gestirlo, perché il social era impenetrabile. Così va il mondo: un giorno sei alle stelle perché utile, un altro nelle stalle, o in prigione, perché… è più utile così.
Resta, per chiudere, da spendere una parola sul presidente francese, il micro Macron: in pochi giorni ha gettato nel cestino la storia secolare della democrazia francese, da un lato comportandosi come servo obbediente quanto scriteriato di Washington nell’arresto di cui sopra, dall’altro begando perché i partiti di opposizione, che hanno vinto le recenti elezioni, propongano come primo ministro un suo favorito. Lacché del potere si nasce o si diventa. Egli tale ne nacque e tale ne restò.

28/08/2024

DI GUERRA UCRAINA E PRESIDENZIALI USA

L'avvertimento di Lavrov sulla terza guerra mondiale. E il senso del partito democratico per la guerra infinita

La Terza guerra mondiale, se sarà, “non sarà confinata all’Europa“. Così il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Cenno significativo perché tutti gli analisti e i politici americani per due anni, parlando del rischio di uno scontro su larga scala Nato-Russia, sia per allarmare sul punto sia per smentire tale possibilità, hanno sempre parlato di una guerra limitata al Vecchio Continente.

Dopo l’Ucraina, l’Europa: gli USA e le vittime sacrificali

Tale limitazione geografica da parte degli americani ha reso più spregiudicato il loro sostegno a Kiev, spingendoli ad alzare via via la posta in gioco e a oltrepassare le linee rosse segnalate da Mosca all’inizio del conflitto, e come tali accettate dagli sponsor dell’Ucraina, ultima delle quali in via temporale l’inviolabilità del territorio russo.

Infatti, uno scontro su larga scala nel Vecchio Continente potrebbe essere un prezzo che l’America sarebbe disposta a pagare per vincere lo scontro in atto, dal momento che la perdita degli alleati europei, che ne uscirebbero inceneriti, sarebbe largamente compensata dalla parallela distruzione della Russia, che riconsegnerebbe a Washington la perduta supremazia globale (isolata e priva della forza militare russa, la Cina sarebbe costretta a capitolare in breve tempo).

D’altronde, si tratterebbe solo di estendere su scala continentale la logica del conflitto in corso. All’Ucraina è stato assegnato il ruolo di vittima sacrificale, scagliandola contro la Russia in una guerra fino all’ultimo ucraino (Strana segnala che “gli uomini di età compresa tra 17 e 25 anni verranno automaticamente registrati per il servizio militare”: non verranno arruolati a forza, almeno per ora, ma potranno servire come volontari; senza la registrazione in questione, i ragazzi non potranno ricevere il passaporto…). La leadership occidentale potrebbe trasferire tale logica sacrificale all’intera Europa. Non avrebbe remore in tal senso, potendo contare su un futuro radioso oltreoceano.

Così l’avvertimento di Lavrov piuttosto che alzare i toni dello scontro verbale, che accompagna quello ben più sanguinoso del campo di battaglia, potrebbe servire a far rinsavire la leadership americana, anche se sperare sul punto è arduo, essendo ormai l’Impero dominato da una classe dirigente che vive e prospera di conflitti.

Il senso degli USA per la guerra

Sul punto un interessante articolo dell’ex senatore americano Ron Paul, secondo il quale i due partiti americani che si contendono il potere “sostengono lo stato di guerra/welfare. Entrambi perseguono politiche che portano a povertà e guerra invece che a pace e prosperità”. Anche se riferisce con certa enfasi il discorso di segno opposto col quale Robert F. Kennedy Junior ha abbandonato la corsa alla Casa Bianca per sostenere Trump.

“A giudicare dal discorso bellicoso e belligerante di ieri sera a Chicago – ha detto Kennedy Jr. riferendosi alla Convention democratica – possiamo supporre che il presidente [Kamala] Harris sarà un’entusiasta sostenitrice di questa [il riferimento è all’Ucraina, ndr] e di altre avventure militari neocon. Trump afferma che riaprirà i negoziati con il presidente Putin e porrà fine alla guerra in una notte, non appena sarà eletto presidente. Questo da solo giustificherebbe il mio sostegno alla sua campagna”.

Quindi, dopo aver liquidato, a ragione, come sciocchezze propagandistiche le parole della Harris sui suoi sforzi per la pace tra israeliani e palestinesi, Ron Paul ha ricordato che anche Trump, da presidente, ha imbarcato nella sua amministrazione personaggi come John Bolton e Mike Pompeo, alfieri delle bellicose politiche neocon.

“C’è sempre la possibilità che questi errori si ripetano. – conclude Ron Paul – E né Trump né RFK sembrano essere affidabili nel favorire la fine del massacro di Gaza. Quindi no, questo non è un “ticket per la pace”. Ma almeno con quello che abbiamo visto la scorsa settimana con RFK e Trump, abbiamo la sensazione che la pace sia nel menu. È un inizio”.

I neocon sostengono la Harris

A conferma delle prospettive che aprirebbe all’America una vittoria della Harris, il fatto che i più stretti collaboratori dei neocon repubblicani si siano schierati con lei. Così, il Washington Post: “Oltre 200 collaboratori di Bush, McCain e Romney sostengono la Harris”.

Ma Trump deve guardarsi anche dai neocon rimasti apparentemente con lui. Significativo, sul punto, il post su X dell’analista politico Rogan O’Handley (alias DC Draino): “Non dimenticare mai chi ha ucciso l’onda rossa nel 2022 [ha cioè frenato la spinta del partito repubblicano, ndr], Lindsey Graham. Voleva che i soldi per l’Ucraina continuassero a fluire […]. Voleva che le stelle nascenti del movimento MAGA fossero distrutte. Ecco perché ha introdotto un divieto federale sull’aborto […] prima delle elezioni di medio termine. Sapeva che avrebbe mobilitato i giovani elettori democratici. Non possiamo commettere lo stesso errore nel 2024″.

La posta è alta nelle presidenziali americane. Non è in gioco solo il destino dell’Impero, ma la sua proiezione sul mondo. All’America First di Trump, che ripropone l’isolazionismo, si contrappone l’altra America First, incarnata dalla sua competitor virtuale (ché la Harris è solo un vuoto involucro), quella del devastante unipolarismo muscolare.

Peraltro, c’è da considerare che, se Biden ha incarnato una presidenza assertiva, annunciata al suo esordio con lo slogan “l’America è tornata”, è pur vero che egli era parte di un’establishment che conservava un contatto pur residuale con la realtà, come ha dimostrato durante la guerra ucraina, nel corso della quale ha tentato di frenare le follie dei suoi, riuscendovi poco e male.

La Harris, dicevamo, è un vuoto involucro, marionetta che risponde in toto al partito della guerra, che ha in Hillary Clinton, non a caso tornata prepotentemente alla ribalta, il suo terminale politico nel partito democratico.

Significativo che, all’opposto, Tulsi Gabbard, che ha incarnato l’anima più pacifista del partito democratico, venendo spesso associata in maniera indebita alla Squad di Bernie Sanders, appoggi Trump.

L’offensiva nazista di Kursk

Quanto alla guerra ucraina, che pure merita un cenno, poco da segnalare oltre quanto già scritto: l’offensiva a Kursk è stata fermata, come anche il tentativo di sfondamento a Belgorod, e l’avanzata russa nel Donbass procede più velocemente di prima dell’attacco ucraino al territorio russo.

26/08/2024

HEZBOLLAH-ISRAELE: EVITATA, PER ORA, L'ESCALATION

L'attacco di Hezbollah e quello preventivo di Israele chiudono il momento di sospensione che rischiava di dar vita a una guerra aperta. Nello stesso giorno, l'Iran dichiara che la sua reazione sarà calcolata

L'attacco di Hezbollah a Israele in risposta all'assassinio del suo numero due e i raid israeliani lanciati per prevenirlo, piuttosto che aprire a una guerra su larga scala, sembra che abbiano avuto come esito quello di chiudere, almeno per ora, tale prospettiva.
Una prospettiva che si era aperta con l'uccisione di Fouad Chokor in un bombardamento israeliano nella periferia sud di Beirut, che ha reso inevitabile la risposta di Hezbollah, che è stata ritardata di quaranta giorni nei quali, presumibilmente, si sono svolti colloqui sottotraccia tra attori e antagonisti vari per limitare al massimo i rischi di un'escalation, che nessuno vuole (tranne Netanyahu, che ne ha gettato le basi, ordinando l'improvvida operazione militare a Beirut).

Evitare l'escalation

A segnalare che Hezbollah voleva evitare l'escalation il fatto che avesse preannunciato che avrebbe colpito solo obiettivi militari e che ha lanciato contro Israele 340 missili di scarsa potenza, i katyuscia di sovietica memoria, e droni, evitando di usare missili di precisione e strategici che pure possiede.
Il principale obiettivo dell'attacco era la base Gilot, nell'estrema periferia di Tel Aviv, base operativa dell'Unità 8200, specializzata nello spionaggio elettronico, e base dell'Aman, il servizio di intelligence dell'esercito, sebbene siano stati presi di mira anche obiettivi minori. In parallelo, Israele lanciava il suo cosiddetto attacco preventivo, i cui obiettivi dichiarati erano le basi di lancio dei missili, allo scopo di frenare l'operazione nemica.
A questo punto le narrazioni, come al solito, divergono, con Israele che racconta di come l'attacco preventivo abbia funzionato alla perfezione, impedendo che i vettori di Hezbollah arrecassero danni, anche perché molti di essi sarebbero stati intercettati; la controparte, invece, riferisce che l'attacco sarebbe perfettamente riuscito, avendo centrato gli obiettivi mirati e avendo evitato che i bombardamenti dell'avversario danneggiassero le proprie basi di lancio.
La nebbia di guerra impedisce di sapere come siano andate veramente le cose. Secondo The Telegraph, Israele ha ordinato ai media di non pubblicare nulla senza un'autorizzazione dei militari, cioè ha imposto la censura (l'articolo del media britannico è citato da vari siti arabi, tra cui l'autorevole Middle East Eye).
Ciò potrebbe significare che l'attacco ha fatto più danni di quanto Israele voglia ammettere: circostanza che potrebbe essere confermata da un cenno del Timesofisrael, che parla di un attacco "per lo più sventato".

Teheran: risposta calcolata

Vedremo se il tempo dirà cose, ma tutto potrebbe chiudersi così, senza ulteriori conferme sui danni, perché ciò potrebbe spingere Tel Aviv a intraprendere nuove avventure per vendicare l'orgoglio ferito e ristabilire la deterrenza.
Alle opposte narrazioni hanno corrisposto le opposte pose muscolari ex-post, con il leader di Hezbollah, Nasrallah, che ha affermato che il suo movimento seguirà "l'esito dell'insabbiamento di ciò che è accaduto oggi da parte del nemico: se il risultato sarà soddisfacente, considereremo completato il processo di risposta, ma se il risultato non sarà sufficiente, ci riserveremo il diritto di rispondere fino a nuovo avviso".
Da parte sua, Netanyahu ha dichiarato che "la storia non finisce qui". E di certo il premier israeliano non si rassegnerà facilmente a riporre i suoi sogni incendiari riguardo all'avvio di una guerra regionale di prospettiva globale (vedi Haaretz: "Netanyahu vuole una guerra mondiale").
Ma si tratta di dichiarazioni d'obbligo, e possono voler dire tutto e niente. Resta che il fatto che l'attacco di Hezbollah ponga fine, per ora, al momento di sospensione seguito all'assassinio del suo numero due è segnalato anche dalle dichiarazioni delle autorità iraniane.
Anche Teheran aveva annunciato una reazione all'assassinio del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuto sul suo territorio lo stesso giorno di quello di Fouad Chokor. E anche Teheran, come Hezbollah, finora ha rimandato la risposta.
Appare di interesse che, subito dopo l'attacco di Hezbollah, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi abbia dichiarato che la riposta iraniana, benché inevitabile, sarà "calcolata". Insomma, Teheran non mira all'escalation. Così il momento di sospensione successivo ai due omicidi effettuati da Israele potrebbe chiudersi a breve, a meno di imprevisti sempre possibili nel malmostoso puzzle mediorientale.

I colloqui del Cairo

Il momento di sospensione di cui sopra corre in parallelo con quello riguardante i negoziati tra Israele e Hamas su Gaza. Di ieri i colloqui al Cairo che, secondo gli americani, avrebbero dovuto essere decisivi: commenti che denotano illusoria leggerezza che corre in parallelo con una prassi criminale.
Infatti, era impossibile che potessero andare in porto, avendo Netanyahu rimescolato ancora una volta le carte per aggiungere all'accordo raggiunto a luglio con il sì di Hamas, condizioni che la controparte non può accettare (il controllo totale da parte di Israele delle frontiere di Gaza, la divisione della Striscia in due zone e soprattutto il fatto che Tel Aviv, come riferito dalla CNN, si riserva il diritto di riprendere le ostilità contro Hamas quando vuole).
Detto questo, Hamas ha inviato ugualmente una delegazione al Cairo, ufficialmente solo per ascoltare, non volendo partecipare ai negoziati. Ma la mossa segnala che non ha voluto chiudere del tutto la porta a un'intesa, ed è difficile credere che abbiano davvero solo ascoltato. Tuttavia la strada per un accordo resta in salita.
Nel toccare il tema dei negoziati, abbiamo accennato a come gli USA da una parte stiano spingendo per un cessate il fuoco, da raggiungere alle condizioni imposte da Washington e Netanyahu, da cui le tante asperità, dall'altra, però, continuano a sostenere senza sosta la macelleria di Gaza.
Oggi i media israeliani hanno celebrato l'arrivo in Israele del 500° aereo carico di armi e munizioni proveniente dagli USA, che in totale, dal 7 ottobre, hanno inviato a Tel Aviv 50mila tonnellate di equipaggiamento militare (Jerusalem Post). Spedizioni tossiche, che hanno drogato la leadership israeliana, spingendola a puntare tutto sulla forza.
Sul punto, cenno di tenue speranza, prosegue il braccio di ferro con il comando dell'esercito. Di ieri le dichiarazioni del portavoce dell'IDF Daniel Hagari, secondo il quale la priorità resta la liberazione degli ostaggi. Parole che contrastano la linea, pur non ufficiale, del governo, che vede con il fumo negli occhi un accordo in tal senso con Hamas, dal momento che la guerra in corso deve proseguire perché, concludendosi, Netanyahu rischia di perdere il potere attuale (Haaretz).
Peraltro, Nasrallah ha ribadito che la fine delle operazioni militari a Gaza chiuderebbe le ostilità anche con Hezbollah. Altro motivo per Netanyahu per evitare l'intesa - impedirebbe la guerra regionale -, altro motivo per perseguirlo.

22/08/2024

KURSK: LA FOLLIA DI UNA GUERRA NUCLEARE A BASSA INTENSITÀ

Le forze ucraine hanno provato ad attaccare la centrale atomica di Kursk, dichiara Putin...

“Il nemico ha cercato di colpire la centrale nucleare [di Kursk] la scorsa notte. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) è stata informata e ha promesso di visitare e inviare specialisti per valutare la situazione. Spero che alla fine ciò venga fatto”. Questo l’allarme di Putin, accolto con disinteresse in Occidente, nonostante le implicazioni per l’enormità di una tale mossa.
Non sfugge che le forze in questione siano gestite dalla NATO, che ha anche inviato suoi stivali in terra russa, celati sotto le mentite spoglie di tre compagnie militari private (va ricordato come i mercenari siano apparsi per la prima volta sui campi di battaglia moderni durante l’invasione e l’occupazione irachena, a supporto delle forze ordinarie americane, sotto la diretta gestione del Pentagono).

La guerra nucleare a bassa intensità
Quella che, cioè, si sta combattendo, è diventata una guerra nucleare a bassa intensità, con tutti i drammatici rischi del caso, nel caso in cui un attacco di tale portata riuscisse. Mosca potrebbe accettare senza reagire che una parte considerevole del suo territorio sia contaminata da sostanze radioattive? Tale la follia di questi giorni.
D’altronde, creare una criticità nucleare è l’unica reale carta che può giocare la NATO per tentare dare una svolta a questa guerra. Ed è questo l’unico obiettivo realistico dell’incursione ucraina in terra russa. Tutti gli altri, primo fra tutti quello di rallentare l’avanzata russa nel Donbass, non sono affatto realistici, anzi.
Ne abbiamo scritto più volte, lo ripete un articolo di The Hill dal titolo: “L’offensiva di Kursk è un enorme errore strategico”, dal momento che distoglie risorse preziose dalla linea difensiva del Donbass.
Più nel dettaglio Strana scrive: “Si riteneva che uno degli obiettivi di questa operazione fosse quello di costringere la Federazione Russa a ritirarsi e trasferire parte delle sue forze dal fronte in Ucraina a Kursk. Tuttavia, secondo informazioni provenienti da varie fonti, ciò non sta accadendo. Secondo le stime occidentali, la Federazione Russa ha trasferito circa 5mila soldati dal fronte vicino a Kursk. Si tratta di meno dell’1% del numero totale delle truppe di stanza in Ucraina. Gli eventi al fronte nella regione di Donetsk, dove l’esercito russo avanza a una velocità mai vista dalla primavera del 2022, confermano che l’assalto non si è indebolito”. Anzi.
Infatti, prosegue Strana, i russi hanno incanalato a Kursk i coscritti, ai quali era stata risparmiata la guerra del Donbass. E, se vero, che tali forze sono meno esperte di quelle che sono chiamate a fermare, hanno dalla loro i numeri e soprattutto la potenza di fuoco e il controllo dei cieli.
Non solo: Mosca è riuscita a ribaltare la frittata decidendo di non forzare la mano a Kursk, ma impegnando le unità ucraine – e… pseudo tali – entrate nel suo territorio in una battaglia a lungo termine, che potrebbe durare mesi. In tal modo, le unità di élite inviate a Kursk non si ritireranno, continuando a rimanere impegnate in territorio russo.
Lo richiede, tra l’altro, la grancassa della propaganda che ha salutato e accompagnato questa offensiva e che continuerà a esaltarla fino alla sua conclusione, come impone la narrazione hollywoodiana di questa guerra. Così, mentre Kiev e l’Occidente continueranno a essere rapiti da questa estasi, le forze russe fiaccheranno sempre più le già indebolite difese ucraine nel Donbass.

Le conquiste territoriali e la guerra di logoramento
Di grande interesse quanto scrive Glenn’s Substack nell’articolo dal titolo: “La pericolosa ossessione per il territorio in una guerra di logoramento” (come quella Ucraina, appunto).
“In una guerra di logoramento – scrive l’autore, Glenn Diesen – l’obiettivo è esaurire l’avversario. Le grandi conquiste territoriali sono secondarie, perché le linee difensive ben difese sono costose da superare, sia in termini di manodopera che di equipaggiamento”.
“I giornalisti che hanno scritto [annoiati] di un conflitto stagnante e hanno festeggiato ogni volta che l’Ucraina passava all’offensiva (spesso entrando nel fuoco incrociato dell’artiglieria) sono invece ossessionati dal territorio”.
“Dopo aver esaurito l’esercito ucraino e le armi della NATO, la Russia ha aperto un altro fronte a Kharkov per allungare ulteriormente l’esercito ucraino già impoverito. L’offensiva ucraina di Kursk è una mossa rischiosa perché, prevedibilmente, ha un prezzo estremamente alto, perché uomini e attrezzature, che si muovono allo scoperto e senza linee di rifornimento affidabili, sono distrutti, e, in aggiunta, il territorio non può essere mantenuto”.
“Più l’Ucraina penetra in territorio russo, più deboli diventano le sue linee di rifornimento. Queste truppe avrebbero dovuto invece essere utilizzate per difendere le linee del fronte ormai in rovina nel Donbass”.
“Il valore di una conquista territoriale deve essere valutato soprattutto in base all’impatto sulla logistica e a un rapporto favorevole del tasso di attrito. Le conquiste territoriali che comportano tassi di attrito sfavorevoli sono un insuccesso. L’invasione ucraina e della NATO di Kursk manca di uno scopo strategico: perché così tanti uomini e così tanta attrezzatura militare sono stati destinati alla distruzione per conquistare un territorio tanto vulnerabile?”
“[…] La guerra di logoramento è entrata in una nuova fase, dal momento che l’esercito ucraino è esausto e le linee del fronte stanno crollando senza opporre molta resistenza. La f***e invasione ucraina e NATO di Kursk ha peggiorato ulteriormente la situazione, perché importanti centri logistici non sono più difesi in modo sufficiente”.
Le alte gerarchie NATO sono impazzite, ma non fino a questo punto. Così tale follia ha una sola spiegazione razionale: mettere a segno un colpo che per essi risulterebbe decisivo, come appunto la conquista o la distruzione di una centrale nucleare. Non una strategia bellica, quindi, ma un azzardo, un giro di roulette. E la roulette russa, si sa, non offre molte chance a chi vi si ingaggia. E se si perde, si perde tutto.

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