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08/08/2024

LE 1001 STORIE DEGLI ITALIANI NEL MONDO

Una sola presentazione ufficiale in Campidoglio nell’aprile 2008 - e poi diverse altre organizzate all’estero dagli 85 autori delle diverse testimonianze biografiche contenute nella raccolta - nessuna petulante promozione di un interessantissimo libro biografico sugli Italiani sparsi nel mondo. Una raccolta che, impossibilitata a muovermi per un gravissimo problema familiare, ho realizzato grazie alla tecnologia delle telecomunicazioni direttamente stando seduta davanti a un computer, quello di casa, raggiungendo i cinque continenti per comunicare con gli Italiani che vi vivevano. E, oggi, che si commemora il particolarissimo sacrificio estremo di quegli emigranti italiani in Belgio, coinvolti nel disastro di Marcinelle, mi piace riportare una delle tante suggestive, commoventi e uniche testimonianze che sono riportate nella raccolta.

Dall'8 agosto 1956, ogni anno, si ricorda il gravissimo incidente della miniera di Marcinelle in Belgio che comportò la morte di 262 persone delle 275 presenti, di cui 136 erano italiane.
Quale ideatrice e curatrice della raccolta, mi unisco a questa triste ricorrenza proponendo la lettura della testimonianza di Gianni Canova, pubblicata nella raccolta "Le 1001 storie degli Italiani nel Mondo" (Edizioni Pragmata), figlio di una vittima della tragedia nella miniera di carbone a Marcinelle, in Belgio, accaduta esattamente un otto agosto di sessantotto anni fa.

https://www.edizionipragmata.it/Le%201001%20storie%20Italiani.htm

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Testimonianza biografica a cura di Gianni Canova, figlio di vittima della disgrazia - Belgio

Centotrentasei italiani, otto polacchi, sei greci, cinque tedeschi, cinque francesi, tre ungheresi, un russo, un inglese, un ucraino, un olandese e novantacinque belgi...
Questa è la macabra classificazione, per paese d’origine, del bilancio della catastrofe mineraria del pozzo Saint Charles al Bois du Cazier di Marcinelle, avvenuta l’otto agosto del 1956.
La tragedia è accaduta, dunque, dieci anni dopo, quasi mese per mese, dalla firma dell’accordo (23 giugno 1946 a Roma) economico sullo scambio «mano d’opera – carbone» tra Belgio e Italia.
Il trattato indispensabile, provocato dalla mancanza di operai del fondo dopo la seconda guerra mondiale in Belgio, fu concluso con entusiasmo dal Governo italiano, che non solo era alle prese con l’urgente bisogno di combustibile per il rilancio dell’economia nazionale, ma anche perché dava all’Italia un’immagine di collaborazione positiva con gli ex nemici del secondo conflitto mondiale.
Vantaggio supplementare per l’accordo–esodo, anche (ma questo apparirà solo negli anni seguenti) l’occasione di «sbarazzarsi» di quei molti partigiani scesi, a pace fatta, dalle montagne, alla ricerca di un lavoro appoggiandosi anche sull’ embrione di organizzazione politica nata nella resistenza e non veramente sulla linea auspicata dai politici maggioritari dell’epoca!
Constatiamo dunque, senza sorpresa, che alla vigilia della tragedia di cui vi parleremo, 47.000 minatori italiani lavorano nelle miniere belghe, ovvero più del 30% del totale!
Nel solo «bacino» di Charleroi, dove è situato il Bois du Cazier, i minatori nostri compatrioti sono all’epoca più del 52%.
Attribuire come lo si fa generalmente alla catastrofe dell’8 agosto del 56, lo «stop» del governo all’emigrazione dei nostri disoccupati verso il Belgio e le sue miniere, è un grossolano errore! In verità l’emigrazione verso la Vallonia (parte francofona del Belgio) era rimessa regolarmente in questione già dal 1951, venendo persino ad essere interrotta a più riprese dai successivi Governi italiani, spinti dalle opposizioni interne che rispondevano alle esigenze della pubblica opinione lungo la pen*sola, già contraria all’esodo organizzato ben prima del famigerato mercoledì 8 agosto di sessant’anni fa.
Sarà il ripetersi degli incidenti mortali accoppiati alla scoperta delle miserabili condizioni di lavoro (accuratamente dissimulate dal celebre «manifesto rosa», incollato ai muri delle Camere del lavoro nelle città italiane, piene zeppe di disoccupati, dalla Federchar* ) che porteranno alla fine dell’applicazione dell’accordo, che avvantaggiava solamente gli industriali belgi e la classe politica al potere che aveva scoperto nell’emigrazione, una «valvola di sicurezza» in materia di pace sociale.
Incontro con Franceso Randazzo, intervenuto come soccorritore a Marcinelle nei primissimi minuti della sciagura, che si ricorda:
«Quella mattina dell’otto agosto del ‘56 dovevano essere le otto e dieci... ero nella compagine “di giorno” alla Centrale di Salvataggio installata a meno di 4 chilometri dal pozzo del Bois du Cazier di Marcinelle».
“Venite immediatamente” mi dice al telefono una voce sconosciuta e nervosa... “c’è stato uno scoppio di grisou a Saint Charles!” Non ho nemmeno avuto il tempo di chiedere delle precisazioni, che la voce sconosciuta mi ha riattaccato il telefono sul naso... Immediatamente metto in moto la procedura in vigore, chiamo il Capo Posto e lancio la sirena di allarme, che provoca l’arrivo nel giro di due minuti appena degli altri soccorritori in servizio. Saltiamo sulla camionetta di intervento e arriviamo rapidamente e per primi sul posto.
Dopo una sola occhiata ho un presentimento immediato... la cosa mi sembra grave!
C’è già gente ammassata davanti alla griglia d’ingresso e dobbiamo insistere perché ci venga ceduto il passaggio. Ho immediatamente una prima br**ta sorpresa, accorgendomi che, contrariamente alle abitudini maturate negli altri interventi, nessuno sa qui, cosa dobbiamo fare! Passati quelli che mi sembrano lunghissimi minuti, le esitazioni cessano e l’ordine arriva secco e preciso: “Bisogna scendere”.
Siamo in tre nella gabbia, Angelo (Galvan), Silvio (Di Luzio) ed un “porion” (capomastro) che, mentre scendiamo, ci spiega che “Un italien, encageur à fait une fausse manœuvre” (un ingabbiatore italiano ha fatto una falsa manovra) ... in questo istante preciso vedo, passando a quota meno 910, i primi bagliori delle fiamme! Il calore si fa soffocante e insopportabile... dopo qualche metro ancora di discesa siamo costretti a suonare “per risalire”
Flash back
Alle sei di quella mattina sui “corons” (quartiere di casette proprietà della miniera) si alza un giorno come gli altri. Le gabbie del Bois du Cazier al pozzo Saint Charles scendono verso i livelli dove si lavora e che sono situati da meno 70 a meno 1100 metri (da qualche settimana è in costruzione un nuovo passaggio destinato all’aria “entrante” e che i minatori hanno battezzato “Foracky” dal nome della ditta che lo costruisce).
I minatori sono prevalentemente divisi in due gruppi, uno che scava la vena di carbone al livello meno 765 e l’altro fa la stessa cosa a meno 975 metri, mentre una decina di loro sono invece in servizio di manutenzione a meno 1035.
Il carbone estratto viene caricato nelle “berline” (vagonetti), dirette verso tre luoghi diversi di “envoyage” (luogo dove si carica la gabbia dell’ascensore). Due sono rispettivamente a meno 765 e 975, il terzo si trova invece situato nell’altro pozzo quello dell’aria uscente) al livello di meno 1035 metri.
In quella giornata del mercoledì 8 agosto, nella squadra del mattino, 276 minatori sono al lavoro nelle gallerie del pozzo… cinque di loro sono ancora dei bambini di 14, 15 e 16 anni appena.
L’ingabbiatore al pozzo di aria entrante, l’italiano Antonio Iannetta, è solo al suo posto al piano meno 975, quando una gabbia (un gigante di 12 metri di altezza per otto piani, pesante più di 50 tonnellate a vuoto) si ferma davanti a lui.
Bisogna sapere a questo momento che al Saint Charles del Bois du Cazier, le gabbie funzionano con il sistema del contrappeso.
Quando la gabbia della parte “levante” (pozzo di aria entrante) sale, quella della parte “ponente” (pozzo di aria uscente) scende e vice-versa.
Questo sistema di lavoro è da sempre immutato e costante e la gabbia non può essere adoperata, anche se si ferma al vostro livello. SE, come indicato dalla segnaletica in vigore, la definisce come funzionante e dunque al lavoro nell’altro pozzo! Si dice in questo caso, nel gergo adoperato nella miniera, che la gabbia contro peso è MORTA.
Per sapere se una gabbia vi si dirige e può dunque da voi essere adoperata, esiste al Cazier una segnaletica abbastanza semplice, fatta di un certo numero di scampanellate per ogni indicazione, che per più sicurezza è anche completata e dunque raddoppiata da una linea telefonica, dove le conversazioni (ed è fondamentale saperlo per capire la dinamica della catastrofe) si fanno esclusivamente in francese!
Antonio Iannetta occupa quella mattina il posto di ingabbiatore da meno di TRE settimane... e per migliorare e completare il suo francese, ancora balbettante, gli è stato aggregato un pensionato belga ancora “verde” che gli servirà da istruttore–interprete e che si chiama Gaston Vaussort.
Torniamo al momento chiave, della gabbia che si ferma al livello dove Iannetta è solo...
Quattro berline piene di carbone sono appena arrivate e Antonio vuole procedere al loro ingabbiamento...
Dopo la catastrofe l’italiano, che contrariamente al pensionato belga, sopravvivrà all’incendio, pretenderà, sempre che fosse Gaston Vaussort ad autorizzarlo alla manovra (Questa versione dei fatti non sarà però condivisa da altre testimonianze e dagli esperti designati dal Tribunale che giudicherà più tardi l’accaduto).
Quando una berlina viene spinta nella gabbia che la riporterà in superficie, la berlina PIENA spinge fuori dall’altro lato, la berlina VUOTA, che è mantenuta nella gabbia da un semplice scatto meccanico (un va e vieni rudimentale) del quale nessuno ricorda un bloccaggio o un non funzionamento in precedenza!
Quella mattina però, misteriosamente, il congegno non funziona a dovere... La berlina piena, bloccata dallo scatto difettoso, si ferma a metà strada, (è dunque in posizione mezza fuori e mezza dentro) come fa esattamente la berlina vuota che doveva essere spinta fuori dall’altro lato. Antonio Iannetta (ricordiamo che sarà il solo testimone dell’accaduto) dice che ha tempestivamente chiamato il collega belga perché lo aiuti tirando dalla parte opposta. In quel momento preciso, però, il “tacquer” (l’operatore della gabbia ascensore in alto alla torre in superficie) che considera la gabbia di aria entrante come ”morta” chiama “a scendere” nel pozzo di aria uscente!
Questo significa che la gabbia con le due berline sporgenti ai due lati si mette a risalire! inizia cosi l’incredibile serie di fatalità che provocheranno l’immane sciagura.
1) Le berline sporgenti dalle due parti, vanno a sb****re nella struttura superiore del piano di ingabbiamento del livello meno 975
2) Sulla struttura sono fissati i tubi dell’olio sotto pressione che si fissano sotto il colpo e si trasformano in una specie di polverizzatore improvvisato ...
3) Dall’altra parte della struttura sono fissati anche i cavi elettrici, che si strappano con l’urto, liberando un arco elettrico che infiamma immediatamente l’olio polverizzato, generando un improvvisato e mortale lanciafiamme!
4) Ricordo ancora che siamo nel pozzo dell’aria entrante, che logicamente trascina le fiamme verso il basso, dove sono al lavoro i minatori...
Ecco così spiegata una fatalità causata da un ordine mal ricevuto, o mal capito che ha trasformato una banale e ripetitiva operazione di carico, nella più mortale catastrofe della storia mineraria del Belgio.
Si deve anche sapere che il cavo elettrico strappato nell’impatto non alimenta solamente i compressori dei martelli pneumatici e i ventilatori... una sezione di 220 volt è riservata all’impianto di illuminazione delle gallerie... ecco dunque che le “taglie” ed i rispettivi accessi piombano nel buio più totale...
Sarà tenendosi la mano l’un l’altro come i cechi, –mi dirà il soccorritore Silvio Di Luzio- che i primi otto superstiti raggiungeranno il pozzo d’aria uscente, dove per puro caso un’ultima gabbia si fermerà permettendo ai minatori di salvarsi dal rogo.)
Sei altri minatori saranno per caso scoperti nel corridoio di soccorso che “doppiava” la galleria a meno 975, nel corso del pomeriggio del primo giorno. Al limite del coma questi minatori resteranno poi più di sei mesi ricoverati in ospedale. Per gli altri, PER TUTTI GLI ALTRI, il pozzo Saint Charles del Bois du Cazier di Marcinelle diventerà una tomba!
Tra di loro la più giovane vittima della storia delle catastrofi minerarie nel dopoguerra, Michel Gonet un “bambino” belga di 14 anni!
A questi 261 minatori scomparsi c’è da aggiungere un coraggioso conduttore di lavori, sceso nei primi minuti dopo la sciagura, per capire esattamente cosa stava succedendo, e che resterà prigioniero del rogo.
Intrappolati dal fuoco e dal fumo tossico che li ha sorpresi in un lampo, i minatori subiranno una morte atroce.
I primi corpi saranno rimontati solo molti giorni dopo, qualche ca****re resterà in fondo alla miniera fino la notte del 23 agosto seguente. Un testimone che abbiamo intervistato, realizzando il lungo metraggio sulla tragedia, ci ha dichiarato che quattro corpi sono stati ritrovati solo nel gennaio del 1957, dunque 15 mesi dopo!
Torniamo alla mattina del tragico 8 agosto.
I soccorritori scesi nel pozzo, armati dal loro solo spavaldo coraggio, sono immediatamente alle prese con l’enorme sviluppo del calore in ogni luogo della miniera, un calore che in meno di due ore sarà capace di far fondere i potenti cavi che trainano la gabbia nel pozzo di aria entrante, facendola precipitare al fondo. Il lettore avrà già capito che, senza il contrappeso, anche la gabbia del pozzo di aria uscente si trova irrimediabilmente bloccata!
Come di consueto, quando c’è il fuoco in miniera, si pone immediatamente un terribile dilemma: Si deve irrorare dall’alto per spegnere il fuoco, ignorando che il vapore che ne sussegue sale a più di 80 gradi e brucia o asfissia i superstiti eventuali?
Peggio, una volta spento l’incendio, l’acqua accumulatasi nelle gallerie (sarà il caso, aimè, al Cazier, dove dovettero essere impiegati dei gommoni dell’esercito belga!) rischia di annegare uomini e animali eventualmente superstiti!
Al Cazier gli ingegneri hanno scelto di irrorare, cosi nel corso delle 48 ore che furono necessarie per domare il fuoco sotterraneo, il pozzo di aria entrante sputerà larghi spruzzi di vapore bianco grigio.
Malgrado la difficoltà creatasi dalla situazione, in nessun momento gli spavaldi soccorritori smetteranno di scendere!
Per prendere il posto della gabbia che è precipitata nel fondo, vengono improvvisati a partire da due “container” per trasportare cemento nel nuovo pozzo Foracky in costruzione dei “cuffâts” (grandi secchi) di fortuna, nei quali possono salire solo tre uomini e gli ingombranti respiratori, che per i primi due giorni dovranno essere usati a “tempo pieno”. Da aggiungere all’apocalittica situazione la mancanza quasi totale di visibilità, che rende la permanenza nel sottosuolo infuocato ancora più pesante e pericolosa!
«C’est l’enfer! - è l’inferno!» dirà Angelo Galvan, il più eroico tra di loro, e che passerà alla storia come “l’ange de Marcinelle” l’angelo di Marcinelle.
Questi uomini (i cui tre quarti erano italiani), di cui la storia dimenticherà molto rapidamente persino i nomi, dieci, cento, mille volte riprenderanno stoicamente la strada delle gallerie bloccate, dove avanzeranno scavando metro dopo metro nelle taglie crollate con l’insensata speranza di salvare ancora qualcuno... almeno uno!
Mentre sotto, lontano da tutto e da tutti, si svolge questa eroica lotta, in superficie già circola l’elenco scarabocchiato in fretta dei minatori imprigionati nel pozzo... i nomi dei lavoratori che nella tragica sciagura hanno perso la battaglia per la sopravvivenza.
Tra di loro, l’abbiamo già scritto, 136 sono italiani e 42 di loro provenienti dalla stessa zona della Regione Abruzzo. Ventuno di essi addirittura sono dello stesso paese! Manoppello! ...un nome che per sempre resterà legato a quello di Marcinelle.
Bisognerà aspettare l’uscita della prima “Edizione Speciale” del quotidiano locale, perché la folla sempre più densa, ora urlante, ora apatica e silenziosa, che è rimasta attaccata alle griglie di ingresso della miniera maledetta giorno e notte per più di tre settimane, conosca veramente l’ampiezza della sciagura.
L’immagine disegnata da Walter Beltrami per la Domenica del Corriere, una donna con il figlio in braccio e gli occhi pieni di lacrime, attaccata alla griglia d’ingresso della miniera farà in poche ore il giro del mondo!
Saranno cento, poi cinquecento e infine più di mille le mogli, figli, fratelli e sorelle, parenti, amici e compagni di lavoro, che sotto gli ombrelli o accartocciati nelle coperte distribuite dalla Croce Rossa, instancabilmente in attesa, riposandosi a tratti, sotto la pioggia o le stelle tristi nella notte interminabile di Marcinelle, solamente interrotta dai singhiozzi o dai sogni incubo dei più piccoli...
I quotidiani prima, poi i settimanali con le loro agghiaccianti fotografie, passano di mano in mano... dieci giorni dopo la tragedia, arriva anche il settimanale degli italiani del Belgio “Sole d’Italia” con la prima pagina sbarrata su otto colonne dal crudele titolo: “TUTTI CADEVERI“.
Ultimo flash sulla mattina dell’otto agosto 56
Sono le otto e qualche minuto quando le sirene lanciano il loro lugubre grido su Marcinelle.
I residenti dei “corons” conoscono bene questo segnale di allarme: una sirena insistente che si snoda sui tetti e nelle strade come le nuvole minacciose e cariche di temporale di questo maledetto giorno del mese di agosto.
I primi accorsi verso la miniera trovano la griglia del piazzale antistante il pozzo già incatenata. Contemporaneamente giungono dai pozzi vicini al ”Cazier” i primi soccorritori e i pompieri volontari della vicinissima città di Charleroi.
Nelle famiglie, dei parenti e amici si compila già mentalmente l’elenco dei 276 minatori al lavoro nel fondo quella mattina. Verso le nove appaiono sopra l’infrastruttura metallica dell’ascensore della parte dell’aria entrante, le inquietanti nuvolette di fumo sputacchiate ancora al rallentatore. Man mano che passano i minuti è poi un vero pennacchio che si libera dal pozzo in permanenza: il fumo si fa vapore e la gente mormora: «Stanno annaffiando».
Tutti gli occhi hanno lo sguardo fisso sul “ carreau” della miniera nell’insensata speranza di riconoscere tra le sagome che si agitano in lontananza quella di un padre, di un figlio o di un amico. Quando qualcuno passa la griglia uscendo è rapidamente e verbalmente aggredito dai presenti che lo bombardano di domande... ma la risposta è sempre uguale e laconica: «Rien, on ne sait encore rien!» niente, non si sa ancora niente!
Nel sottosuolo però sono già in molti, se non a sapere, almeno ad avere capito... salvo improbabile miracolo che dopo i 14 superstiti fortunatamente già rimontati, gli altri torneranno (se torneranno) alla luce solo come cadaveri.
Verso le 19 della prima giornata arriverà anche l’ermetico primo comunicato dei responsabili della miniera: «261 minatori e un capomastro sceso alle dieci sono prigionieri nei piani inferiori della miniera. Tutti gli sforzi possibili per tentarne il ricupero sono in esecuzione.»
Oggi, dopo 60 anni, l’immane sciagura di Marcinelle impressiona ancora.
Bisogna pure scrivere che Marcinelle sarà anche la prima grande sciagura in Belgio ad essere televisivamente mediatizzata dall’ancora balbettante tv di stato, che per l’occasione eseguirà la sua prima trasmissione in diretta.
Nessuno lo sa ancora ma nel ‘56 siamo a soli tre anni dalle chiusure definitive nelle prime miniere.
Nel frattempo l’avventura mineraria, che passerà alla storia sotto il vocabolo di “Battaille du charbon”, Battaglia del carbone, avrà ucciso migliaia di minatori, tra i quali quasi due su tre sono “non belgi” e in stragrande maggioranza italiani.
Oggi ancora è l’inesorabile malattia dei polmoni, la silicosi, che continua imperturbabilmente a mietere vittime nel silenzio.
Si può ragionevolmente stimare a più di 40.000 le vittime di questa malattia che sarà riconosciuta come “professionale” solo nel mese di gennaio del 1964, ovvero più di due anni dopo che in Italia. Questa ammissione avvenne essenzialmente per l’instancabile lavoro in seno ai sindacati belgi dei minatori italiani.
Nel martirologio del XX secolo Marcinelle occuperà sempre un posto particolare.
In ricorrenza dell’ennesimo anniversario ricordo e compassione saranno di regola nei media scritti, parlati o televisivi di mezzo mondo.
Le 204 vedove e i 407 orfani della sciagura sono sopravvissuti nel ricordo di un marito e di un padre, conosciuto in molti casi solo per qualche mese ma a Manoppello l’invasione “ iconoclasta” dei celebratori di ogni genere, che -perché non scriverlo- cercheranno di recuperare l’accaduto per farne un uso personale o politico, è temuta!
«Sono morti per noi» dicono i minatori (qualcuno è ancora in vita) «Ils sont morts pour nous» hanno detto quelli della generazione seguente che con il sacrificio dei minatori di Marcinelle e di altri luoghi, hanno potuto sottrarsi ai pericoli del lavoro nel fondo.
La storia giudicherà le responsabilità in campo economico nei due paesi e giudiziarie in Belgio, e anche quelli che hanno ferocemente fatto pressione perché l’accordo «carbone Belgio – Italia» si facesse, sacrificando in 50 anni sugli altari del profitto 1500 italiani scomparsi accidentalmente nel sottosuolo delle miniere belghe e tutti gli altri morti a decine di migliaia nelle sofferenze della silicosi.
Allora quando scopro o sono sollecitato per partecipare ai preparativi destinati “a celebrare” nel 2011 il cinquantacinquesimo di Marcinelle, mi capita di stringere i pugni in segno di rabbia e di sdegno...
Allora, allora solamente, penso a mio padre e mi viene la voglia di piangere...

07/08/2024

Intervista all’autrice Emanuela V***a in occasione dell’uscita del suo thriller storico “I peccati di Sant’Eustorgio”. L'intervista è a cura di Monica Palozzi

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Emanuela V***a, nasce a Milano, è scrittrice e fotografa. Nel 2004 vince il premio letterario Marguerite Yourcenar e nel 2005 Angela Starace coi racconti “La tana” e “Noi due”.
Dal 1996 fino al 2003 collabora con le riviste letterarie Cafè Matique, Zero Est, Clippers, Hevelius Web Magazine. Pubblica la raccolta di racconti “Scritti tra la penna e la Luna” e varie novelle. È inoltre curatrice d'immagine, collaboratrice fotografica per guide turistiche, cataloghi di arte ecologica e giurie fotografiche per i comuni di Cassano d’Adda e Treviglio.
Nel 2016 pubblica la prima edizione di “Vanina la Zoppa” con Meravigli Editore, la seconda edizione su Amazon “Storia di una strega, Vanina la Zoppa”. Con la Collana women@work di Bertoni Editore, pubblica il giallo “Invito a cena con delitto”. Nel 2021 pubblica il romanzo storico “Martha l’Adultera”.
Dal 2018 è Direttore Artistico della compagnia teatrale Il Sentiero delle Streghe con cui porta in scena “Vanina la Zoppa” con spettacoli nei Castelli di Pandino, Pagazzano, Cassano d’Adda, Trezzo sull’Adda e Urgnano. Vive a Rivolta d'Adda.
Recentemente ha pubblicato con Edizioni Pragmata “I peccati di Sant’Eustorgio” un’opera aperta, la cui natura soddisfa diverse tipologie di lettori, essendo romanzo storico, filosofico, di avventura, sentimentale, thriller e d’indagine investigativa. Il romanzo ha un andamento narrativo dinamico, animato prevalentemente da dialogo diretto che rende agevole e mai pesante la lettura, riuscendo a veicolare informazioni e descrizioni direttamente dalla voce dei personaggi.

Padre Umberto da Parma, priore del Convento di Sant’Eustorgio, in cui vive la comunità dei Padri Predicatori che dirigono la sede milanese del Tribunale dell'Inquisizione del Sant'Uffizio e dove si tengono i processi per eresia e stregoneria, incarica l’inquisitore Fronimo Verri di fare luce sul delitto di un confratello trovato assassinato in sacrestia in un tardo pomeriggio invernale.
La trama narrativa rivela un sistema strutturale complesso ma dinamico in cui con molti colpi di scena si svelano e dipanano le vicende e i ruoli dei vari personaggi, conducendo l’investigatore e il lettore all’interpretazione degli indizi sino a giungere all’individuazione del colpevole e alla risoluzione del caso.

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D. La scrittura è comunicazione, dunque chi scrive vuole trasmettere un messaggio al lettore.
Qual è il Suo messaggio?

R. Scrivo da molti anni, nasco come articolista di storia e ho sempre scritto per piacere personale. Sicuramente divulgo il mio pensiero, ma è del tutto inconsapevole. Nei miei romanzi c’è molto di me, ma il mio è un universo individualista, dove se un messaggio c’è non è consapevole. Amo molto la storia e, da ricercatrice, non giudico ma mi limito a cercare la verità e carpirne i meccanismi coi miei modesti mezzi. Ho un rapporto molto esclusivo coi miei libri ed anche possessivo, ovviamente spero che piacciano, ma non scrivo per avere consenso o comunicare. Scrivo per me stessa.

D. Il romanzo è ambientato al limitare del XV secolo, soglia che determina il passaggio dal medioevo all’evo moderno, recando con sé superstizioni e credenze oscurantiste ma aprendosi ad una nuova coscienza che anela alla conoscenza e che si volge alla scienza e al confronto politico e sociale.
Quali sono state le Sue fonti di ricerca, quelle che l’hanno portata a disegnare nitidamente le diverse mentalità dei personaggi del romanzo?

R. Il Medioevo è un periodo di luminosità misconosciuta e incompresa, o semplicemente censurata per la portata rivoluzionaria del pensiero che uomini e donne di grande ingegno hanno contribuito a rendere con tutta probabilità l’era più profonda della storia dell’umanità. Le credenze oscurantiste appartengono anche al presente, direi forse soprattutto. Se la storia l’avessero raccontata i diretti protagonisti, oggi avremmo un pozzo di fonti molto moderne e profonde. Purtroppo non sapremo mai quanti menti illuminate furono date in pasto all’oblio, donne e uomini eruditi e dal sapere profondo, sottovalutati e dimenticati, che avrebbero potuto cambiar il corso della storia e far emergere messaggi molto diversi da quelli che sono arrivati a noi. Spesso mi tocca sentire la frase “Non siamo nel Medioevo”, come se fosse un periodo da cancellare, buio e ignorante. Non è stato affatto così e ci tengo molto a precisarlo. Le mie fonti di ricerca sono state quelle canoniche: archivi storici e diocesani, biblioteche anche online, molte interviste e chilometri a piedi. Infiniti sopralluoghi nelle zone di ambientazione, memorizzando anche grazie alla fotografia i dettagli che mi servivano per la costruzione della trama. Tanto studio dei grandi storici milanesi del medioevo.

D. Personaggi realmente esistiti e personaggi di creatività letteraria interagiscono con successo e logica narrativa sulla scena del romanzo.
Aveva ideato a priori la trama oppure ha costruito il romanzo durante la sua stesura come se gli eventi si susseguissero liberamente nell’accadere?

R. Solitamente mi faccio condurre dai personaggi, che, man mano che procedo nella stesura del romanzo, mi indicano il cammino. Ho provato a costruire una storia partendo da una impalcatura iniziale ma finisco sempre col modificarla. Grazie alle interazioni dei personaggi che vivevano la realtà nel loro contesto, a volte percepivo il loro mondo come parallelo al mio. Avevo la sensazione che ci fosse una porta temporale e che avrei potuto aprirla e incontrarli. Quando mi immergo nella scrittura spesso perdo la cognizione spazio-temporale.

D. Il thriller coinvolge molti personaggi, tutti ben delineati psicologicamente, sia tramite le azioni che compiono che attraverso i dialoghi che intavolano. Nel tracciarli si è ispirata a persone reali o sono nati dalla sua fantasia?

R. Si, per alcuni di essi ho preso spunto da persone realmente esistenti. Alcuni possiedono dei lati del mio carattere, ma non dirò quali. In realtà il più vicino a una persona reale è il personaggio di Fronimo, disegnato sul modello di un caro amico che mi ha aiutato durante la stesura del romanzo.

D. Il complesso di Sant’Eustorgio, da Lei perfettamente descritto nell’architettura ma soprattutto nell’ambientazione, tra luci e ombre, cappelle e refettorio, cripte e laboratori, celle e passaggi segreti, è a suo modo anch’esso protagonista del romanzo.
Quanto conta per Lei la suggestione trasmissibile dal luogo al lettore nella definizione degli eventi?

R. Grazie per questa domanda. Per me la suggestione dei luoghi è alla base dei miei romanzi. Io arrivo a percepire l’atmosfera nella quale si muovevano nel medioevo le persone, gli odori e i suoni, i passi sulla terra e nei vicoli la notte. Sento l’aria che respiravano, è un vero calarmi nella realtà vissuta alla fine del 1400. Non so come spiegare, ma sento le energie delle persone che abitavano quei luoghi, che sprigionavano e lasciavano al loro passaggio. E, come ho già detto, è un vero viaggio nel tempo.

D. Fronimo Verri, vicario inquisitore, incaricato di fare luce sul delitto avvenuto in convento e che dà inizio alla vicenda, è la figura che, per la complessità della sua personalità, resta viva nella mente del lettore anche dopo avere ultimato la lettura del romanzo.
Ce ne vuole parlare?

R. Devo confessare una mia debolezza nei confronti di quest’uomo, inquisitore, investigatore nato da una lettura che feci al tempo dell’università: un dialogo tra due inquisitori scritto da Pico della Mirandola. Fronimo vuol dire “Il saggio” ma il mio protagonista di saggio ha ben poco. Nonostante possieda un profondo spirito di giustizia, è schiavo delle sue passioni che a stento domina, grazie anche a un carattere duro e irruente, a volte spietato. È pronto all’azione come al sospetto, sembra quasi un militare più che un uomo di Dio, e la sua determinazione lo fa finire spesso nei guai sia materiali che sentimentali. Lo amo anche per questo. È un essere umano, che pecca e che vive le sue emozioni. Fallace e reale.

D. Le figure femminili del romanzo, donne vittime di un’epoca che le penalizza e discrimina, riescono comunque a far emergere la propria dignità e intelligenza.
Cos’è che anima la loro forza?

R. Non concordo molto sul termine “vittima”. Le mie eroine, Fiammetta e Isobel hanno scelto la loro strada scientemente, sono fiere, intelligenti e volitive, non subiscono il loro destino, ne sono anzi artefici. La forza che hanno è dettata dalle loro convinzioni, perché amano ciò che fanno e vivono appieno la vita. All’epoca chiunque poteva cadere in disgrazia e finire negli ingranaggi farraginosi della giustizia ecclesiastica e temporale, bastava poco, che si fosse uomo o donna.

D. Roma è teatro d’incontro fortuito tra mons. Fronimo Verri e Isobel di Candia, antica fiamma mai sopitasi nel cuore dell’inquisitore. La sfera dei sentimenti umani, invariabili nelle relazioni umane in ogni epoca e luogo in cui li si collochi, conferiscono a questo romanzo storico l’universalità in cui far immedesimare il lettore nelle vicende dei protagonisti.
Pensa che potrebbe esserci un seguito alle vicende sentimentali dei personaggi in un futuro sequel del romanzo?

R. Me lo auguro davvero, anche perché più persone mi hanno già scritto che, finito il romanzo, si sono sentiti orfani, e anche a me mancano molto. Se la mia penna lo vorrà, torneranno a trovarmi e scriveremo il seguito de “I Peccati di Sant’Eustorgio”.

D. Questa non è la Sua prima opera narrativa ambientata nei secoli passati. Ci vuole parlare della Sua precedente produzione letteraria?

R. Volentieri. Prima de “I Peccati di Sant’Eustorgio” ho pubblicato due romanzi, ambientati anch’essi nel periodo a cavallo tra la fine del medioevo e l’inizio del Rinascimento. Sempre legati al rapporto tra paganesimo e cristianesimo. Si tratta di due processi per stregoneria decretati ai danni di alcune donne che vivevano in un paese sulla riva dell’Adda. Come spesso accadeva in questi casi, le donne erano semplici herbane o mammane, cioè dedite alla cura e allo studio delle malattie attraverso l’uso delle erbe, mentre le mammane erano le odierne levatrici. A causa della loro attività rischiavano in prima persona. Infatti non era difficile che per un raccolto andato male o un bambino nato morto, ne facessero le spese e venissero denunciate dagli stessi vicini. I fatti narrati dai miei romanzi accadono in piena riforma protestante, tra il 1519 e il 1520, un periodo difficile per la supremazia della Chiesa di Roma attaccata dalla sferza di Lutero. I verbali dei processi erano registrati e conservati presso la curia di Cremona. Dico “erano” perché qualcuno pensò bene di farli sparire. Ed io, dopo un’accurata ricerca e aiutata anche da un pizzico di intuito e fortuna, ho scoperto l’identità dell’autore del furto e lo denuncio nel secondo romanzo, “Martha l’Adultera”. Il primo romanzo, “Storia di una strega, Vanina la Zoppa” narra dell’incontro casuale tra la protagonista e il Signore dalla città che, nonostante il suo potere, nulla potrà quando Vanina cadrà nelle maglie del Sant’Uffizio e della ferocissima caccia alle streghe.

D. Cosa L’affascina del passato al punto da preferire gli evi storici al presente per la narrazione creativa?

R. Del passato mi affascina tutto, soprattutto questo periodo che tratto, forse avrei anche voluto viverci. O forse non accetto del tutto la modernità, sono una donna nata troppo tardi. So bene delle infinite difficoltà che c’erano, ma sono proprio “stregata” dalla sapienza antica delle herbane, il paganesimo dei villaggi, la sovrapposizione delle antiche tradizioni culturali a quelle odierne e anche il mistero che spesso le avvolge. Ci sguazzo. Quando scrivo mi immagino i paesaggi che c’erano all’epoca, i fiumi e le foreste incontaminate, l’aria cristallina e le stagioni che avevano inalterati i cicli naturali. Sì, avrei voluto esserci e godermi tutto ciò. Lo sa che appena fuori dalla Porta Ticinese l’estensione dei boschi arrivava fino a Roma e oltre senza interruzione? Che l’unica via percorribile era la Via Francigena che arrivava fino a Gerusalemme? Quest’anno ho avuto la fortuna di vederne un tratto rimasto intatto, nel basso Lazio. Di tutto ciò, ahinoi, oggi non abbiamo più che resti rarefatti. Trovo il medioevo un periodo di una prosperità culturale incredibile e invito tutti a leggere dei liberi pensatori di quei secoli per farsi un’idea personale di quella che è stata una ricchezza forse scomoda e, quindi, cancellata o relegata agli studi accademici e di non facilissima reperibilità.
Se me lo concede, concludo dicendo che il mio piccolo contributo culturale è focalizzato su un periodo che di buio aveva solo la mancanza di luce nelle strade… e forse nemmeno quella.

Grazie per essersi prestata a questa intervista!

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Chi siamo

Associazione culturale Pragmata
P.zza T. Farinati degli Uberti, 3 – pal. E / int. 7 – 00122 Roma
Tel. +39-06-6589902 Fax +39-06-233242177
Email: [email protected] - [email protected]
Web sites: www.pragmata.infowww.edizionipragmata.it
C.C.I.A.A. 1200704 – P.IVA 10004971007 - C.F. 97329830588
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L’Associazione Culturale Pragmata è una realtà che trova collocazione ed impegno in campo culturale, sociale e promozionale, mettendosi a disposizione di privati, aziende ed istituzioni, nella promozione di iniziative di utilità culturale ed economica in funzione del progresso sociale.

I soci fondatori dell’Associazione Culturale Pragmata, che ne formano l’entusiasta ed affiatata squadra operativa, sono tutti professionisti attenti e scrupolosi, che vantano una pluriennale esperienza di successo nei settori del quaternario, culturale, tecnico, sociale, artistico e promozionale, consentendo all’utenza di rimettersi serenamente alla loro esperienza, lasciandosi seguire e consigliare nelle iniziative che l’associazione promuove di volta in volta, garantendo il massimo rispetto dell’etica e della serietà operative.

L’Associazione Culturale Pragmata, che esclude ogni fine di lucro, è apartitica e aconfessionale ed ha sede a Roma, in Italia.


CURRICULUM
Nata nell’anno 2004, l’Associazione Culturale Pragmata, registrata presso la Regione Lazio, ha iniziato a svolgere la propria attività associativa in ambito culturale, organizzando concorsi letterari di livello nazionale, coinvolgendo da subito centinaia di autori di ogni regione d’Italia e favorendo un notevole flusso di produzione culturale e letteraria, concretizzatasi nella realizzazione di opere letterarie a stampa, tali che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha inserito l’associazione nella lista dei soggetti attivi nella produzione e diffusione del libro, pubblicandola nel sito istituzionale alle pagine della Direzione Generale per i Beni Librari.
Cimentatasi con successo in ambito nazionale nell’organizzazione di eventi e manifestazioni culturali, l’Associazione si è espressa anche a livello internazionale, collaborando con enti esteri ed organizzando un premio europeo che ha già vissuto due edizioni con alta frequenza di pubblico e consenso internazionale.


• INIZIATIVE LETTERARIE A CONCORSO

Concorsi conclusisi con la produzione di un libro a tema
- Antologia del Ricordo

- 365 Aforismi per un Anno

- Ridendo con la Poesia

- Subdoli voli

- Una storia provinciale

- I pensieri della buonanotte

- Il viaggio

- Cara Italia

- Quattro versi in padella


• CONSULENZA E SERVIZI VIA WEB

L’associazione attraverso il web svolge attività di consulenza letteraria per gli autori. È, infatti, attivato un servizio professionale di utilità per quanti scrivono e vogliano perfezionare le proprie opere per essere editate, consistente in impaginazione del testo e revisione linguistica e dell’espressione letteraria.
Al fine di promuovere la conoscenza fra gli autori che partecipano alle attività letterarie ed artistiche da essa promosse, l’associazione ha posto la propria presenza anche sui social network Facebook e su Twitter.


• INIZIATIVE INTERNAZIONALI

Collaborazione con Enti
- The Constantinian University di Providence (Rhode Island – U.S.A.), l’associazione ha realizzato e prodotto il volume celebrativo bilingue inglese-spagnolo “Register of Honour of The Constantinian University”, che raccoglie i profili biografici di eminenti personalità europee che negli anni hanno partecipato ad iniziative accademiche dell’ateneo. Il volume è stato edito nell’ottobre 2006, in occasione del Columbus Day / Día de la Hispanidad, ricorrenza comune agli Stati Uniti ed alla Spagna.

- Amministrazione comunale Città di Fiumicino - In ambito dei servizi alla cultura l’associazione ha collaborato, senza nulla pretendere in termini economici, con l’Amministrazione Comunale della Città di Fiumicino alla progettazione e realizzazione dell’evento per la conferenza di Gemellaggio ed i workshop correlati, svoltisi nei giorni 24 e 25 novembre 2007 nell’ambito delle celebrazioni europee per la celebrazione del Cinquantenario dei Trattati di Roma.


Europe Award
Premio fondato nell’anno 2005 e destinato a persone, gruppi di lavoro, istituzioni ed imprese attivi in ambito europeo, con il fine di tributare un riconoscimento per meriti acquisiti nello svolgimento dell’attività operativa. In particolare il premio mira a riconoscere quanti si siano distinti nell’adozione di regole per la tutela della salute delle persone, il rispetto e la sostenibilità dell’ambiente e l’osservanza dei diritti dei lavoratori, sì da rendere più serena la vita sociale ed economicamente proficua la collaborazione tra aziende, lavoratori ed utenza.
Il premio ha già vissuto due edizioni con successo di pubblico sia nazionale che proveniente dall’Unione Europea ed a cui hanno partecipato numerose personalità accademiche e politiche: il 12 marzo 2005 a Roma presso l’Hotel Midas Palace in occasione della cerimonia di inaugurazione, e il 24 novembre 2007 a Fiumicino presso l’Hotel Courtyard in occasione della celebrazione del Cinquantenario dei Trattati di Roma.


Le 1001 Storie degli Italiani nel Mondo
Iniziativa culturale, volta agli Italiani residenti all’estero per la pubblicazione dell’omonima raccolta di 480 pagine delle più significative storie di vita e di lavoro (85 diverse testimonianze), narrate dagli stessi protagonisti presenti nei cinque continenti e raccolte in circa due anni di lavoro. Un documento attuale di storia economica, sociale, culturale a testimonianza dell’intraprendenza di un popolo, del suo coraggio, del suo temperamento nell’affermarsi, nell’integrarsi e nel prosperare con successo. Il libro, pubblicato nel mese di aprile del 2010, è stato presentato a Roma in Campidoglio il 7 aprile 2010 durante una manifestazione-conferenza, posta sotto il patrocinio del Ministero degli Esteri, della Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio e dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma cui hanno partecipato gli autori delle storie contenute nel libro, autorità istituzionali e rappresentanti di associazioni degli italiani nel mondo.
Altre presentazioni del libro sono state successivamente organizzate in paesi esteri:

- il 17 luglio 2010 presso la sala municipale di Bragado, Buenos Aires – Argentina
- il 18 settembre 2010 a La Habana, Cuba
- il 26 settembre 2010 a Toronto, Canada

Sortino social club
Iniziativa promozionale per la presentazione in anteprima del film-documentario di Giusy Buccheri, Sortino social club -storie di una comunità siciliana emigrata in Australia, che si è tenuta a Roma presso il Nuovo Cinema L’Aquila il 28 febbraio 2011. La manifestazione ha avuto il Patrocinio di: Presidenza del Consiglio Provinciale di Siracusa; Comune di Sortino; Ambasciata Australiana; Presidenza del Consiglio regionale del Lazio; Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana; Provincia di Roma; Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma; Biblioteche di Roma; Unione dei Comuni “Valle degli Iblei”; Ice, Istituto per il commercio con l’estero.


• CONFERENZE
Un mare rivolto alla Storia
Sempre nel settore dei servizi l’associazione ha progettato, organizzato e realizzato la conferenza “Un mare rivolto alla Storia”, tenutosi il 23 marzo 2007 a Fiumicino presso l’Hotel Courtyard. La manifestazione, destinataria a concorso di un contributo economico dell’Assessorato all’Ambiente e Turismo della Città di Fiumicino, ha visto la partecipazione di un ricco parterre di personalità istituzionali del Governo italiano, dell’Amministrazione locale e di rappresentanti nazionali di categoria. La conferenza ha ottenuto un notevole successo in termini di partecipazione e plauso, riuscendo a coinvolgere cittadinanza, operatori economici e scuole del territorio.


Subdoli voli
Il 4 aprile 2009 presso l’Hotel Hosianum di Roma, in occasione della presentazione ufficiale del volume antologico “Subdoli voli”, l’associazione ha organizzato una conferenza dal titolo omonimo al libro sul tema delle zanzare in ambiente urbano e i danni epidemiologici che ne derivano. La conferenza, tenuta da eminenti epidemiologi che hanno relazionato sui rischi sanitari ed ambientali causati dalla presenza di tali insetti, ha visto la partecipazione attenta ed interattiva del numeroso pubblico presente.


• LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA
L’associazione ha avviato nell’autunno 2012 il laboratorio di scrittura creativa, articolato in tre livelli di corso on-line: base (i cui partecipanti vengono guidati costantemente al fine di conseguire l’apprendimento ed il dominio delle tecniche di scrittura creativa); avanzato (che mira a far consentire di impadronirsi delle tecniche linguistiche e retoriche della narrativa e dello stile nella letteratura) e, ultimo, un corso basato sulla creazione di un romanzo a partire dall’idea sino al suo sviluppo e realizzazione. I corsi, che si sono rivelati un immediato successo di pubblico e di gradimento da parte dello stesso, sono proseguiti sino al 2017 con un corso di scrittura creativa dedicata al genere letterario poliziesco in tutte le sue declinazioni.


• EDITORIA
L’associazione ha aperto sin dal 2007 un settore della propria attività alla produzione editoriale con il marchio Edizioni Pragmata www.edizionipragmata.it, per la pubblicazione e promozione di opere letterarie.

Documentazione ulteriore delle attività su esposte può essere riscontrata presso i siti: www.pragmata.info e www.edizionipragmata.it.

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