Fabrizio Vielmini

Expert on Russia, Caucasus and Central Asia

24/10/2023

Nel Caucaso si ridefiniscono le alleanze. E turchi e azeri si esercitano alla guerra
Vertice tra Russia, Turchia e Iran. La crisi in Nagorno Karabakh ha spostato Baku verso Mosca e Erevan verso Parigi
https://ilmanifesto.it/nel-caucaso-si-ridefiniscono-le-alleanze-e-turchi-e-azeri-si-esercitano-alla-guerra
Fabrizio Vielmini

I ministri degli Esteri di Russia, Turchia ed Iran si sono riuniti ieri a Teheran con i loro colleghi di Azerbaigian ed Armenia per il secondo vertice del gruppo “3+3”. Gli alti diplomatici hanno discusso diverse questioni di cooperazione e sicurezza nella regione, in primo luogo come chiudere definitivamente le ostilità fra azeri ed armeni dopo che i primi hanno risolto con le armi la questione del separatismo armeno nella regione del Nagorno Karabakh un mese orsono.
Sullo sfondo degli altri conflitti in corso, si assiste ad un confronto fra due formati di negoziati diplomatici: i russi contendono all’UE ed ai suoi sponsor americani l’onore della mediazione finale e le conseguenti ricadute in termini d’influenza sui futuri equilibri della regione. Tradizionalmente al fianco di Mosca, l’Armenia cerca ora di schierarsi nel campo occidentale considerandosi tradita dagli alleati che non sono intervenuti contro gli azeri. Di converso, questi ultimi, irritati dal sostegno europeo agli avversari, si ritrovano in linea con la Russia. All’inizio di ottobre, il presidente azero Aliev si è rifiutato di partecipare al vertice UE di Granada dove il premier armeno Pashinian lo attendeva per trattare. In paga, Pashinian ha disertato una riunione della CSI in cui Putin ed Aliev si aspettavano di chiudere la questione. La scorsa settimana, Pashinian ha reiterato al parlamento europeo le sue accuse alla Russia, pur confermando di essere è pronto a concludere un trattato di pace con Baku entro la fine dell'anno.
Il “patto caucasico” 3+3 è nato quale piattaforma multilaterale regionale consultiva per iniziativa della Turchia di Erdoğan, all’indomani della guerra armeno-azera che aveva scosso gli equilibri del Caucaso così come si erano consolidati in 35 anni d’indipendenza del Karabakh. L’idea ha finora funzionato solo parzialmente. Contrariamente a certe voci della vigilia, il terzo membro del trio sud-caucasico, la Georgia continua a rifiutarsi di prendere parte ai colloqui 3+3 in opposizione alla Russia (accusata di sostenere i propri separatisti osseti ed abkhazi).
La riunione di ieri doveva anche rassicurare la parte ospite, l’Iran, che teme di ritrovarsi perdente nella ridefinizione degli assetti regionali. Proprio il Presidente Ebrahim Raisi ha moderato l’incontro bilaterale fra i titolari degli Esteri armeno A. Mirzojan e quello azero J. Bajramov.
Assieme alla Russia, l’Iran teme il rafforzamento dell’asse fra Turchia ed Azerbaigian. Ieri, tremila militari dei due paesi hanno dato il via ad esercitazioni congiunte (“Mustafa Kemal Ataturk – 2023”) con 130 veicoli blindati e fino a 100 pezzi di artiglieria. Le manovre interessano i territori del Karabakh passati sotto il controllo azero così come il Nakhichevan, un’exclave di Baku posta ad ovest dell’Armenia. Il timore di quest’ultima è che gli azeri, dopo aver causato l’esodo di oltre 100.000 residenti armeni del Karabakh, preparino una nuova offensiva per saldare i propri territori e congiungersi alla Turchia. Tale timore alimenta la deriva pro-occidentale dell’Armenia, attivamente incoraggiata dalla Francia. Sempre ieri, il capo della Difesa armeno S. Papikian ha incontrato il suo omologo francese S. Lecornu per formalizzare l’acquisizione di sistemi d’arma da parte di Parigi.
Il tutto è destinato ad alimentare ulteriormente le tensioni diplomatiche franco-azere. La scorsa settimana Baku ha ospitato con grande visibilità mediatica una riunione del “Gruppo di iniziativa contro il colonialismo francese”, con rappresentanti della Corsica e di altri territori d’oltremare di Parigi. Durante l’evento il presidente Aliev ha pronunciato dure critiche contro la Francia, tacciata di “neocolonialismo, violazione dei diritti umani ed ingiustizia”. In tal modo, l’Azerbaigian si viene a trovare all’unisono con la Russia nell’utilizzo di una narrativa “anticoloniale” che Mosca estende a tutto l’Occidente.

Photos from Fabrizio Vielmini's post 11/10/2023

Molto soddisfatto della bella presentazione del mio libro al festival Libropolis di Pietrasanta in compagnia di Alessandra D'Arrigo, domenica scorsa

27/09/2023

I profughi armeni si ammassano a Stepanekert
Oltre l'Ucraina. Baku ha fretta di chiudere la partita del Karabakh. Erevan chiede l'intervento di una missione dell'Onu. Human Rights Watch: «terribile crisi umanitaria»
https://ilmanifesto.it/i-profughi-armeni-si-ammassano-a-stepanekert
Fabrizio Vielmini

Dopo il colpo di mano con cui martedì ha debellato le forze separatiste armene, l’Azerbaigian vuole chiudere in fretta la partita. I militari di Baku procedono nella “bonifica” del territorio prendendo controllo dei punti fortificati su cui per 35 anni hanno sventolato le bandiere dell’“Artsakh” (gli stessi colori di quelle armene ma con un elemento decorativo aggiuntivo).
Solo nell’ex-Stepanekert, la capitale che presto porterà solo il nome azero di Khankendi, rimangono zone fuori controllo azero, dove si ammassa la popolazione armena in fuga dai villaggi. I profughi cercano anche rifugio nelle caserme della forza d’interposizione russa che hanno dichiarato ieri di aver assistito 826 civili, inclusi 440 bambini.
Human Rights Watch ha denunciato la “terribile crisi umanitaria e la grave incertezza sul loro futuro” a cui fan fronte migliaia di civili del Karabakh. Baku invia aiuti e dichiara che i diritti verranno rispettati, garanzie a cui pochi credono provenendo da un regime dove ogni dissenso è stato finora duramente represso.
Nonostante la responsabilità per l’uccisione fortuita del vice-comandante, la Difesa azera si dice soddisfatta della “cooperazione delle forze russe nel disarmare i banditi armeni”. Ieri alcune agenzie russe hanno riportato un ulteriore attacco azero ad un deposito di munizioni russo, notizia rivelatasi poi errata essendo il bersaglio armeno. Nondimeno, la scena politica russa è divisa sull’acquiescenza di Putin nei confronti di Baku. Per ora prevale il sostegno per le posizioni azere di fronte al “tradimento” dell’Armenia che aveva cercato la protezione dell’Occidente. L’invasione viene giustamente considerata quale uno schiaffo alle politiche di Washington e Bruxelles ed una lezione per quanti nel girone russo pensassero di cambiare campo.
Si assiste ad un certo cortocircuito nelle linee degli attori geopolitici attivi da decenni nella partita del Karabakh, tramite cui hanno cercato di manipolare gli equilibri del crocevia strategico del Caucaso. Ciò è stato visibile giovedì, durante un “briefing sulla situazione nella regione” convocato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Qui i russi hanno affermato il proprio “ruolo di primo piano nel promuovere la normalizzazione tra Armenia e Azerbaigian”. Impotenti, anglo-americani ed europei si sono limitati ad esprimere solidarietà agli armeni e generiche condanne per l’uso della forza.
Sempre paralizzato il governo di Erevan dove continuano manifestazioni di piazza, ieri fermamente represse dalla polizia, contro il premier Pashinjan. L’Armenia chiede il dispiegamento di una missione ONU (riconoscendo così l’incapacità dell’UE, che ha già inviato osservatori sul campo all’inizio dell’anno) pur dichiarando di “non vedere minacce imminenti” per la popolazione armena karabakhi. Un messaggio contrastante è giunto dal presidente Khachaturyan il quale ha parlato di una possibile ripresa dell’offensiva azera. Karabakh a parte, gli armeni temono che il prossimo obbiettivo di Baku sia il corridoio di Sjunik, la striscia di territorio che separa l’Azerbaigian della Turchia, ciò che però trascinerebbe l’Iran dentro un nuovo conflitto regionale.

01/08/2023

La fatal Crimea, pen*sola per molti popoli, posta della guerra in corso, cuore della moderna identità russa, orizzonte delle ambizioni di Kiev. Una mia recensione del volume dello storico Aldo Ferrari

CRIMEA, UNA TERRA IN EQUILIBRIO FRA CIVILTÀ SOLO IN APPARENZA IRRIDUCIBILI
Scaffale - Lo storico Aldo Ferrari torna sulle vicende di una zona dove per Putin si gioca il futuro della Russia. Per il Mulino il volume del docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia
https://ilmanifesto.it/crimea-una-terra-in-equilibrio-fra-civilta-solo-in-apparenza-irriducibili
Fabrizio Vielmini, 01.08.2023

L‘attuale conflitto russo-ucraino inizia nel 2014 con la decisione della Russia di Putin di impossessarsi della Crimea. Il destino di questa terra cruciale continua a determinare l’esito della guerra che da un anno e mezzo ormai insanguina il continente europeo. Per comprendere l’importanza della Crimea è fondamentale ripercorrere le tappe della sua eccezionale storia, un compito efficacemente affrontato dal professor Aldo Ferrari, docente dell'Università Ca' Foscari di Venezia, nella sua Storia della Crimea. Dall’antichità ad oggi (il Mulino, pp. 220, 20 e.). Nonostante il taglio conciso, l’opera fornisce un quadro esaustivo dell’affascinante complessità etnica e culturale che da sempre caratterizza questa pen*sola proiettata nel Mar Nero. In virtù della propria posizione, sin dalla più remota antichità la Crimea ha rappresentato un ponte naturale fra le culture mediterranee e quelle eurasiatiche. A partire dalle interazioni fra i nomadi sciti e le civiltà greca e poi romana, si sono sedimentati nella Tauride molteplici strati culturali (unni, goti, armeni, ebrei, genovesi, veneziani, mongoli per non citare che i principali) che ancora segnano il profilo unico di questa terra, ben illustrato dall’apparato cartografico in appendice al volume.
Specialista del mondo russo, Ferrari descrive in particolare l’importanza della Crimea per la Russia quale spazio dall’elevato valore simbolico, destinato a plasmare l’autocoscienza nazionale del grande paese. Proprio qui infatti avviene nel X secolo il contatto fra la Rus’ di Kiev ed il mondo bizantino con la conseguente conversione al Cristianesimo del gran principe Vladimir, da cui la nascita del mito di Mosca quale terza Roma. Ma, prima di dive**re parte dell’impero russo, la Crimea si venne ancora a trovare al centro dei commerci fra Europa ed Oriente gestiti dalle repubbliche marinare italiane (da cui si origina una piccola comunità latina le cui tracce permangono fino ad oggi) e poi, dal 1441, sede di Khanato (regno) turco-mongolo che la legò alla Turchia ed al mondo dell’Islam.
Riconquistata dalla Russia nel 1783, la pen*sola assunse da subito un ruolo d’eccezione per l’impero degli Zar. In primo luogo in termini strategici e geopolitici, quale base principale per la potenza navale russa. Soprattutto, con la sua piacevole e mite natura mediterranea, “perla” fra lande fredde e difficili, la pen*sola divenne luogo di residenza preferito dall’élite politica ed intellettuale dell’Impero. In termini culturali, oltre a venir considerata “fonte del cristianesimo”, poiché intrisa tanto di vestigia dell’antichità classica quanto del recente colorito orientale musulmano, la Crimea esercitò un potente stimolo intellettuale sugli esponenti delle arti russe che la visitarono. Il padre della letteratura russa, Alexander Puškin, creò addirittura un genere di «testo crimeano» ripercorso dai principali letterati del paese.
Un altro passaggio decisivo della storia crimeana è quello che la vide teatro della devastante guerra che oppose Pietroburgo alla coalizione degli ottomani e delle potenze dell’Occidente europeo nel 1853-55. Allora, la pen*sola si impregnò di sangue russo, radicandosi così ancor di più nell’immaginario collettivo quale elemento consustanziale all’identità nazionale. Il periodo sovietico porterà nuovi stravolgimenti, soprattutto completando l’esodo della popolazione musulmana tatara iniziato nel secolo precedente e decretando arbitrariamente il passaggio alla Repubblica federale ucraina nel 1954. Tale atto, considerato da Krusciov una formalità amministrativa, divenne con la scomparsa dell’URSS causa di tensioni fra Kiev e Mosca, fino alla decisione di quest’ultima di riannettere la pen*sola nel 2014.
In conclusione di questi tortuosi passaggi storici, Ferrari ritiene che l’odierna Crimea rimane una terra maggiormente identificata dalla propria “russità”. Se è certo che il regime di Putin ha strumentalizzato le vicende locali, del pari indubbia è la volontà della maggioranza dei residenti di non voler vivere sotto Kiev. Sorretta dall’Occidente, quest’ultima giura invece che la guerra non avrà fine fino al giorno in cui la sua bandiera non tornerà a sventolare su Sebastopoli. Oltre al contrasto con Kiev, permane quello interno con la popolazione tatara (tornata a rappresentare oltre il 10% dei cittadini), strumentalizzato dagli ucraini in funzione antirussa.
La Crimea rimane un nodo decisivo della politica internazionale, luogo dove continuano a definirsi equilibri e convivenze fra civiltà solo in apparenza irriducibili.

28/07/2023

Africa, problemi per il grano? Ci pensa Putin
Fabrizio Vielmini 28 luglio 2023
https://ilmanifesto.it/africa-problemi-per-il-grano-ci-pensa-putin
Africa. Al summit di San Pietroburgo il presidente russo si spende per consolidare il fronte anti-occidentale. E a sorpresa riappare Prigozhin
Con il Vertice Russia-Africa, ieri e oggi, l’antica capitale imperiale, San Pietroburgo, ritorna ad essere scena per grandi manovre sulla scacchiera geopolitica mondiale. Di fronte alla pressione occidentale sulla guerra in Ucraina, al di là degli affari e dell’influenza militare, la Russia si muove nel “continente nero” cercando di consolidare un fronte “anticoloniale” del “Sud globale” contro le potenze anglosassoni ed i loro sodali europei.
Dato tale forte valore simbolico, l’evento è stato preceduto da settimane di fibrillante azione diplomatica, in cui gli ucraini e gli occidentali hanno cercato di boicottare al massimo la partecipazione dei governi africani. Alla fine, su 54 paesi, solo 17 sono rappresentati da capi di stato o di governo (fra cui l’egiziano Morsi, l’algerino Abdelmadjid Tebboune, il primo ministro dell'Etiopia Akhmed) mentre 23 hanno ceduto alle pressioni occidentali “a non andare da Putin”, abbassando il livello della loro delegazione. In ogni caso 49 bandiere sono presenti sul tavolo, nei fatti una tribuna sufficiente ai fini di diplomazia pubblica dei russi.
Dieci giorni dopo la fine dell’accordo sul grano, agitata da Kiev e dagli atlantici quale espressione della malefica influenza russa sull’“ordine internazionale”, la questione ha ovviamente tenuto banco. Mosca ha di nuovo dato la colpa al diniego occidentale degli interessi russi. Inoltre, Putin ha spiegato ai leader africani che l’Ucraina usava il corridoio commerciale per ottenere clandestinamente armi. Nonostante il limitato smercio in Africa dei grani ucraini, Putin ha riconosciuto l’impatto sui prezzi causato dal ritiro russo e si è detto pronto a compiere ogni sforzo per preve**re una crisi alimentare, anche consegnando gratis ai paesi più bisognosi (quali Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, ed Eritrea) fra 25 e 50.000 tonnellate di grano.
Per Mosca il vertice è inoltre importante per consolidare la cooperazione nel settore della Difesa dei paesi africani, per cui le armi russe costituiscono il 40% degli acquisti complessivi. Soprattutto vi è la questione del ruolo fondamentale che la Wagner ed altri gruppi paramilitari russi giocano per la sicurezza nazionale di paesi quali il Mali e la Repubblica Centrafricana. Poco più di un mese dopo l’ambiguo ammutinamento dei mercenari nella stessa Russia, è ovvio che certi presidenti abbiano non pochi dubbi su cui si attendono che Mosca possa rassicurarli. Non chiaro se in tale impresa partecipi lo stesso “golpista” Evgenij Prigozhin, di cui è stata ieri diffusa una fotografia, apparentemente scattata in uno degli hotel di sua proprietà, raffigurante un incontro con l’ambasciatore centrafricano. Oltre a riconfermare la sua organicità all’odierno potere politico russo, la riapparizione dell’imprenditore della violenza ha aggiunto suspence al contemporaneo colpo di Stato in Niger, forse non casualmente uno dei cinque stati assenti ai tavoli del Vertice, poiché bastione della residua influenza occidentale in Africa (in primo luogo per la Francia che rifornisce d’uranio). Secondo alcune voci, Prigozhin avrebbe anche incontrato i rappresentanti del Mali e del Niger, paesi confinanti dalle cui basi nel primo la Wagner potrebbe fare la differenza nell’esito del golpe in atto nel secondo. Al di là dell’implicazione o meno, un osservatore acuto quale l’ex-deputato S. Markov notava il paradossale parallelismo di ammutinamenti e vicende golpiste create da strutture militari che accomuna Putin ai suoi ospiti africani.
Ulteriore asse di cooperazione vantato da Putin è quello dell’educazione. Putin ha sottolineato la presenza di circa 35.000 studenti africani nelle università russe, di cui più di 6.000 grazie a borse di studio statali. Mosca s’impegna ad aiutare gli alleati africani a sviluppare i propri sistemi d’istruzione, nella formazione degli insegnanti, anche aprendo filiali delle università russe in Africa.
In programma negli incontri vi sono molti altri punti riguardanti la cooperazione tecnica ed infrastrutturale (in particolare è emerso un progetto per una zona industriale russa nei pressi del canale di Suez) ed il consolidamento dei giganti dell’energia russi sui mercati africani. La solidità di questi ed altri canali aperti nel continente verrà verificata nel corso delle prossime settimane, anche in vista del vertice dei BRICS in Sud Africa. Mentre Stati quali l’Algeria hanno chiesto di aderire al consesso dei paesi emergenti (anche data la creazione recente della Banca di Sviluppo BRICS), la Cina (dove la BRICS Bank ha sede) sta anche intensificando i contatti con i paesi africani – il di nuovo capo della diplomazia Wang Yi si è incontrato con i leader di diversi paesi tra cui Sudafrica, Nigeria, Kenya, alla vigilia della loro partenza per San Pietroburgo.

The Second Russia-Africa Summit and the New Global Scramble for the Black Continent - Vision and Global Trends 17/07/2023

Russia will host the heads of States of Africa, another move in the struggle for a new architecture of International Relations, shifting from the Western unipolar hegemonic system towards a more balanced world order, built on a wider participation of actors in global decision-making.

The Second Russia-Africa Summit and the New Global Scramble for the Black Continent - Vision and Global Trends Author: Fabrizio Vielmini – 17/07/2023 On the 27–28 July 2023, St. Petersburg will be the scene of another big international forum part of Russia’s manyfold public diplomacy activities that Vision and Global Trends is following (see previous here: https://www.vision-gt.eu/news/sief-2023-the-26...

29/06/2023

Cremlinologo mio malgrado

29/06/2023

La «Prigozhinshina» non basta, tra selfie e viaggi è tutto normale
MOSCA - Le foto con Kadyrov, una visita in Daghestan... Il Cremlino prova a voltare pagina, ma il "monopolio della violenza" è da ricostruire
Fabrizio Vielmini - https://ilmanifesto.it/la-prigozhinshina-non-basta-tra-selfie-e-viaggi-e-tutto-normale
A quattro giorni dal terremoto della Prigozhinshina (il suffisso “shina” si associa ai protagonisti delle svolte più distruttive della storia russa), il Cremlino si sforza di dare l’idea di un ritorno alla normalità. Ieri, Vladimir Putin ha ricevuto Ramzan Kadyrov con cui ha scattato qualche selfie sorridente. Nel pomeriggio il presidente è volato in Daghestan “per discutere di sviluppo del turismo nel Caucaso settentrionale”. Il viaggio appare bizzarro nelle condizioni post-ammutinamento ma oltre a proiettare un’immagine di sicurezza di sé contribuisce anche a consolidare un’importante costituency del potere putiniano quale la comunità musulmana di Russia: qui “la mancanza di rispetto per il Corano è un crimine, a differenza di altri paesi”, ha rinfacciato Putin ai sui critici europei dopo il vilipendio avvenuto in Svezia.
In realtà, è chiaro che Putin medita alle necessarie ristrutturazioni del quadro politico che permettano di superare le faglie aperte dall’ammutinamento del suo sodale Prigozhin e continuare il confronto aperto con l’Occidente in Ucraina.
Riguardo a Prigozhin, fonti americane lo danno in un hotel di Minsk, “senza finestre” alludendo a timori che un tentativo di “suicidio” venga attuato nei suoi confronti. È probabile che il Cremlino stia realizzando una lenta uscita di scena dello scomodo oligarca, nei cui confronti, contrariamente a quanto affermato da Putin, si è raccolto il consenso di certi settori della popolazione esasperati dalle disfunzioni del sistema – a Rostov, sulla casa da cui Prigozhin ha diretto la “marcia della giustizia” è stata appesa una targa commemorativa a lui dedicata.
Su tale sfondo rimane la questione cruciale della sorte da destinare alla compagnia di ventura Wagner. La sua importanza rimane di rilevo quale una delle formazioni militari russe più efficaci, e quindi imprescindibile tanto per lo sforzo bellico in Ucraina quanto per la proiezione della potenza russa in Africa, dove i mercenari continuano ad operare in coordinazione con la diplomazia di Mosca in una decina di paesi. Dalla Bielorussia inoltre, la Wagner, i cui media continuano a diffondere notizie, si preme di segnalare la sua operatività: “siamo a breve distanza dal confine con l'Ucraina” ha dichiarato ieri uno dei capi wagneriti.
Nel complesso, il compito esiziale che Putin dovrà affrontare nelle settimane a ve**re è quello di una ricostruzione complessiva del sistema politico russo, di quella “verticale del potere” la cui erezione ha considerato sua missione dai primi giorni in cui si è trovato alla guida del Paese. La direzione più impellente in tale compito riguarda restaurare il monopolio della forza e quindi quale misure applicare all’esercito, dove bisogna mettere mano alla questione della corruzione che ha alimentato il supporto a Prigozhin.
La cosa è ben evidente dagli USA, da dove ieri, tramite il “New York Times”, è stato diffuso un affondo contro la reputazione di uno dei principali generali russi, Sergej Surovikin, comandante delle operazioni in Ucraina l’anno scorso ed attualmente vice di Valerij Gerasimov. Secondo gli americani, Surovikin, effettivamente parte di una lista di generali e funzionari considerati “membri onorari” della Wagner, era al corrente dei preparativi della ribellione e questo implicherebbe che molti alti ufficiali erano pronti a schierarsi contro il Cremlino. Il portavoce di quest’ultimo, Dmitry Peskov, ha bollato quale “pettegolezzo” l’informazione, che effettivamente sembra un tentativo atlantico di creare divisioni fra i vertici russi, anche dato il difficile rapporto che intercorre fra Surovikin e il capo della difesa Shoigu.
Il Cremlino ha infine notato con soddisfazione l’ennesima gaffe di Joe Biden che in un incontro con la stampa ha confuso l'Ucraina con l'Iraq. Alla domanda se considerava Vladimir Putin indebolito dai recenti avvenimenti, il sempre più marasmatico presidente ha risposto: “sta chiaramente perdendo la guerra in Iraq” - probabile lapsus di una mente ossessionata dal rimorso per il ruolo svolto nel 2003 nel precipitare l’aggressione di Washington contro Baghdad.

Photos from Fabrizio Vielmini's post 27/06/2023

Grazie al sindaco Ferro e al prof. Iaretti per aver organizzato e contribuito alla bella presentazione del mio libro, "Kazakista: fine di un'epoca", nel mio borgo natio di Villadeati (AL), domenica scorsa. A caldo degli eventi in Russia, è stata anche l'occasione per un dibattito più generale sui destini dell'ex-Urss e sulle implicazioni per l'Europa.

26/06/2023

Il giorno più lungo per Vladimir Putin
A MOSCA E RITORNO. Le prove tecniche della guerra civile chiuse da un colpo di scena: la Wagner fa dietrofront
Fabrizio Vielmini*
https://ilmanifesto.it/il-giorno-piu-lungo-per-vladimir-putin
Ieri, la “marcia della giustizia” dell’imprenditore della violenza Evgenij Prigozhin ha marcato un giorno decisivo nella storia della Russia contemporanea, apparentemente conclusosi senza tragedie ma destinato a segnare ancora a lungo gli sviluppi del grande paese. Nella notte di giovedì, l’oligarca ribelle ha raggruppato le sue forze dimostrando di voler fare sul serio nei confronti dei “traditori” a capo del Ministero della Difesa responsabili degli attacchi denunciati contro i suoi mercenari della compagnia Wagner.
Le prime scoordinate reazioni dal lato del Cremlino hanno dimostrato come il regime di Putin sia stato colto alla sprovvista dalle mosse di Prigozhin. In particolare, mentre l’oligarca si rivolgeva ai militari, Mosca è parsa esitante sulla fedeltà delle forze di sicurezza di fronte alla sfida. È sembrato che un certo panico serpeggiasse dentro la “verticale del potere” (la catena di comando piramidale facente capo a Putin), in particolare ai livelli intermedi, incerti su cosa e come riferire gli sviluppi sul campo al leader supremo, riflesso di un problema da sempre endemico alla macchina burocratica russa.
In ogni caso, a Mosca scatta lo stato d’emergenza. Posti di blocco vengono allestiti dalle varie branche dell’apparato di sicurezza russo, in particolare l’Fsb (ex Kgb) e la recente Rosgvardija (Guardia nazionale), creata da Putin quale reparto pretoriano a puntello del regime. All’alba, i blindati cominciano a circondare i palazzi del potere a Mosca e a San Pietroburgo.
Iniziano anche i tentativi per far desistere Prigozhin. Il primo viene dal generale Surovikin, a lungo considerato un sodale del capo popolo ribelle, che lo esorta a “fermare le colonne”.
IMPASSIBILE, alle 7.30 locali Prigozhin parla da Rostov. Quale un novello Pugaciov, il capo della rivolta cosacca narrata da Pushkin che nel 1773 fu sul punto di rovesciare Caterina la grande, si erge a padrone della principale città del sud della Russia e rinnova gli anatemi contro il Ministero della Difesa. “Le perdite sono state 3-4 volte maggiori di quello dichiarato da Mosca, fino a 1000 caduti al giorno…Ci arrivano messaggi di sostegno dalle truppe, ci incitano a regolare i conti a fargliela finalmente pagare, a chi ci ha mandato al massacro”. Le notizie si susseguono convulse. Fonti vicine alla Wagner riferiscono che Millerovo, importante snodo logistico a Nord di Donetsk e a ridosso del fronte risulta in mano ai ribelli, a cui si arrendono 180 soldati a Bugaevka, nella regione di Voronez.
Mentre Putin continua a tacere, i principali nemici di Prigozhin, il capo della Difesa Shoigu e dello Stato Maggiore Gerasimov, inviano i loro vice a trattare con il dissidente. Spicca in particolare la figura del generale Junus-Bek Evkurov, l’eroe della marcia su Prishtina del 1999, il quale però può solo registrare la determinazione di Prigozhin a “far giustizia e mettere fine a questa vergogna”.
Alle 12.00 italiane, infine, Putin rompe gli indugi. Il leader sfidato sgombra il campo da tutte le ambiguità, in particolare quelle che alludevano ad un coordinamento delle azioni di Prigozhin con il Cremlino, allo scopo di purgare l’apparato di Stato di elementi divenuti scomodi. Putin riconosce tutta la gravità del momento per una Russia improvvisamente sull’orlo di un caos comparabile a quello della guerra civile scaturita dall’Ottobre del 1917. Come allora secondo Putin, giunti alla soglia della vittoria in guerra la Russia può perdere tutto e sprofondare nel sangue. Il paragone è decisamente calzante. Come in quei giorni convulsi, il vacillante capo supremo della Russia parla di una “minaccia mortale per il nostro Stato” e, sempre senza pronunciare il nome di Prigozhin, si appella ai militari affinché rifiutino di unirsi ad ogni azione eversiva.
IN EFFETTI nel pomeriggio le nubi che si addensano sulla Russia sono le più cupe. Da una parte continuano a segnalarsi movimenti riferibili alla Wagner in direzione di Mosca, con relativi primi scontri, fra cui si segnala in particolare l’abbattimento di un elicottero dell’esercito. La Wagner dichiara di aver subito perdite per un attacco a nord di Voronezh. Dall’altra vengono annunciati movimenti di unità cecene verso Rostov, città nei fatti divisa fra i pro-Wagner e le unità fedeli a Mosca. Le prove tecniche per una guerra civile assumono contorni sempre più realistici con la formazione di gruppi a livello locale pronti ad unirsi alla ribellione o a rispondere all’appello di Putin.
Ma a quel punto avviene un colpo di scena: il governo bielorusso comunica che Aleksander Lukashenko è stato incaricato da Putin di mediare un compromesso con Prigozhin. Poco dopo il leader bielorusso annuncia che un accordo per fermare la marcia della Wagner è stato raggiunto. Dal suo canto Prigozhin spiega che la marcia è stata una necessaria protesta verso chi voleva sciogliere la Wagner e che ha ottenuto il suo scopo. Di fronte alla possibilità di spargimenti fratricidi del sangue russo, la Wagner torna nei campi base, “secondo i piani”. Queste parole annunciano un nuovo paradosso della politica russa, in cui gruppi golpisti otterranno immunità penale assieme al loro leader.
COSÌ, AL MOMENTO di chiudere queste righe, il giorno più lungo della Russia di Putin sembra chiudersi in modo incruento. Per ora, dato che dopo quanto successo il 24 giugno la figura di Prigozhin sarà ancora più ingombrante da gestire all’interno della politica russa.

Photos from Fabrizio Vielmini's post 23/06/2023

Per gli internauti del Basso Monferrato: sabato 24, dopo le 17.00 sarò alla libreria Marchia di Asti (C.so Alfieri 329) per un firmacopie del mio libro "Kazakistan fine di un'epoca. Domenica ore 18.30, nel mio borgo natio per una presentazione in compagnia del giornalista Massimo Iaretti

Parliamo di Kazkistan con un vero esperto Fabrizio Vielmini 10/06/2023

Sentiti ringraziamenti a Stefano Orsi per avermi ospitato sul suo canale per presentare il mio libro sul Kazakistan. I primi 12 minuti dell'audio presentano purtroppo un fastidioso riverbero che spero non preverrà l'ascolto complessivo

Parliamo di Kazkistan con un vero esperto Fabrizio Vielmini Per sostenere il canale https://www.paypal.me/Stefano180 IBAN: IT41U0538710400000047399481 Intestato a Stefano Orsi con Causale DONAZIONE.Ci sono aggiorname...

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Turin, 10123

Tutto è incominciato per caso, quando il pennello ha preso a scorrere..