Filosofia del giusnaturalismo
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“Napoleon” (2023) di Ridley Scott, con Joaquin Phoenix, Vanessa Kirby, Tahar Rahem, Rupert Everett, Ben Miles, Ludivine Sagnier, Paul Rhys, Sinéad Cusack, Matthew Needham, Youssef Kerkour, Edouard Philipponnat, Miles Jupp, Sam Troughton, Julian Rhind-Tutt, Ian McNeice, Catherine Walker, Scott Handy, Mark Bonner, John Hollingworth e Anna Mawn.
Ho sottolineato più volte, sui Social Networks e su carta, che la storia non riguarda soltanto gli avvenimenti e i fenomeni esteriori politico-istituzionali, bellico-militari, sociali, economici, culturali e criminali, e le vite esteriori dei personaggi realmente vissuti noti e meno conosciuti, ma concerne anche tutto quel che contiene la dimensione psicologico-spirituale conscia e subconscia dell’immaginario individuale e collettivo ossia il pensiero interiore – ai livelli della consapevolezza e dell’inconscio – o la fantasia circoscritta nelle menti di quelle figure storiche, con le quali inevitabilmente ci identifichiamo, insieme ai contenuti di quella degli autori delle opere della letteratura popolare e colta, dei libri e degli articoli giornalistici di divulgazione della storia stessa e delle scienze, delle realizzazioni artistiche (inerenti la pittura, la scultura, l’architettura e la musica classica e leggera), del teatro, dei lungometraggi cinematografici e delle ‘fiction’ televisive (in questi ultimi due casi, vi sono i soggettisti, gli sceneggiatori, i produttori, i registi, gli attori principali e secondari, le comparse e i tecnici), nonché di quel che vi è nelle psicologie ossia nell’immaginazione dei lettori, degli spettatori e degli studiosi di ogni età, condizione socio-economica ed epoca.
La storia, quindi, comprende quanto è presente nelle fantasie – che non sono soltanto invenzioni, ma anche modalità alternative di vedere il reale - coscienti e inconsce dei soggetti umani di ogni tempo, e quelle sono meglio espresse dalla letteratura, dal teatro, dalla cinematografia e dalle produzioni televisive (tenendo presente il fatto che i soggetti e le sceneggiature di questi ultimi tre ambiti del sapere umano, sono pur sempre dei testi letterari).
Tale considerazione ha valore, ovviamente, anche nel caso del film del regista britannico Ridley Scott “Napoleon”, uscito in questi giorni nelle sale italiane e di ogni altra parte del mondo, ultima trasposizione cinematografica delle gesta del Grande Corso, che hanno ispirato numerose pellicole fin dall’epoca del cinema muto (ricordiamo, a questo proposito, il “Napoleone” del regista francese Abel Gance, risalente al 1926). Il “Napoleon” scritto da David Scarpa e diretto da Scott può essere ritenuto un lungometraggio storico proprio in quanto è principalmente storia dei contenuti della sfera psicologico-spirituale conscia e inconscia dell’immaginario di coloro i quali ne sono stati gli artefici e del pubblico degli spettatori e degli studiosi che lo visionano. Tali contenuti sono imperniati sugli eventi storici e su come oggettivamente sono accaduti, sulla base di quanto è riportato nelle fonti, ma sono pur sempre rielaborati e rivissuti dalle immaginazioni o dalle spiritualità degli individui umani che hanno costruito il film in esame, così come qualsiasi altro lungometraggio cinematografico e qualsiasi altro sceneggiato televisivo, così come dello Spirito degli spettatori e degli studiosi. E lo stesso dicasi per la letteratura e per gli stessi libri e articoli giornalistici di divulgazione storica e scientifica; in ultima analisi, essi rispecchiamo l’Essere Spirituale degli autori, dei lettori e degli studiosi, i quali si ritrovano in tal modo a scrivere, a leggere e a pensare di se stessi. La realtà è storia, sosteneva il filosofo Benedetto Croce, ed è, afferma il sottoscritto, in ultima istanza storia di noi stessi, delle pieghe più riposte del nostro Spirito.
Il “Napoleon” di Ridley Scott è un esempio mirabile di come al cinema, nel senso più complessivo del termine, possa essere applicato il principio di indeterminazione di Heisenberg, estrapolandolo dal campo della fisica subatomica, per il quale nello studio dell’infinitamente piccolo lo stesso uso degli strumenti tecnologici più sofisticati da parte dell’uomo altera la situazione delle particelle infinitesimali, e di conseguenza non potremo mai sapere com’era in origine il loro assetto. La rievocazione di fatti storici attraverso i soggetti e le sceneggiature e l’impostazione cinematografica, modifica la storia medesima, offrendo la rappresentazione dell’interiorità, dell’anima profonda dei realizzatori, degli spettatori e degli studiosi delle opere cinematografiche, senza lasciarci vedere come in origine si svolsero quegli avvenimenti nella loro totalità. E ribadisco l’idea che la letteratura e i libri di divulgazione storica e delle scienze disvelano pur sempre le anime profonde di coloro i quali ne sono artefici, lettori e studiosi, ci avvicinano alla realtà oggettiva, che tuttavia è in ogni caso filtrata attraverso la spiritualità umana.
Il lungometraggio diretto da Scott descrive per sommi capi la parabola dell’ascesa e della caduta di Napoleone Bonaparte (1769-1821), che da anonimo ufficiale dell’esercito francese negli anni turbinosi della prima rivoluzione diviene generale e successivamente, grazie alle sue imprese militari, Primo Console, imperatore dei francesi e conquistatore dell’Europa, fino alla sconfitta definitiva nella battaglia di Waterloo, il 18 giugno 1815, da parte delle armate inglese e prussiana, ed all’esilio nell’isola di Sant’Elena, sperduta nell’oceano Atlantico, dove terminò i suoi giorni.
Scott guida questo ultraspettacolare megakolossal britannico-statunitense realizzato con un poderoso dispendio di mezzi (il ‘budget’ finale è oscillato tra i centotrenta e i duecento milioni di dollari), con indubbia professionalità, coniugando il dramma e l’ironia, l’azione avventurosa e la tensione emotiva, la grandezza epica e gli aspetti grotteschi della condizione umana, le possenti sequenze di battaglia e le parentesi romantiche e sentimentali, la raffinatezza figurativa ed il crudo ed aspro realismo.
Sul piano della filosofia della comunicazione di massa cinematografica, è sempre il pensiero-immaginario conscio e subconscio neo-mitologico e neo-epico degli artefici, degli spettatori e degli studiosi contemporanei della pellicola “Napoleon” che viene fuori, con i propri ideali etico-morali, sociologico-politici, scientifico-conoscitivi, legislativi e scespiriani-marlowiani-alfieriani che ora porto all’evidenza.
Da un lato troviamo le idealità progressiste – coincidenti cioè con l’avanzamento della Ragione illuminista dell’uomo – della socializzazione del potere militare, politico ed economico, per cui possono accedere ad esso anche gli individui appartenenti alla base della società civile oltre ogni subalternità, e non soltanto i membri della classe aristocratica minoritaria dominante nell’Antico Regime; del desiderio degli appartenenti alle classi popolari di porsi su un piano di uguaglianza con i rappresentanti del ceto aristocratico, senza alcun complesso d’inferiorità (il riferimento è al plebeo Bonaparte che assume le redini del governo della Francia e si relaziona nella parità con i monarchi europei); dell’aspirazione di un popolo – quello francese nell’Europa a cavallo tra i secoli XVIII e XIX, nello specifico - a stare nell’uguaglianza per quel che concerne i diritti ed il protagonismo politico internazionale e storico, con altre nazioni al di fuori di ogni subordinazione; dell’eliminazione degli eccessi della rivoluzione francese e dell’integrazione nel sistema legislativo delle idee innovative collegate a questo immane rivolgimento politico, sociale ed economico (a vantaggio della classe borghese in ascesa, sul consenso della cui opinione pubblica lo stesso Bonaparte fondò la propria autorità); dell’identificazione degli attori e delle comparsa del film “Napoleon” di Scott con i personaggi e con le altre soggettività individuali e collettive di un’epoca, così da sentirsi edificatori di primo piano del divenire della storia, con un ruolo dirigente, e questo favorisce il radicamento mentale e sociale delle categorie filosofico-politiche dell’uguaglianza nel protagonismo pubblico e storico tra tutti gli individui umani senza eccezioni, della libera democrazia e della libera omnicrazia di base; del riconoscimento della necessità di precise norme giuridico-legislative che nel contesto del diritto internazionale tutelino la libertà, l’integrità e la pari dignità giuridica nella piena sovranità tra tutti i Paesi di un continente e del mondo intero; della cooperazione o del lavoro comune per il raggiungimento di obiettivi moralmente positivi (pensiamo all’attiva collaborazione della maggior parte degli Stati europei per sconfiggere l’imperatore Napoleone I e riportare la pace e gli equilibri geo-politici nel continente; della convivenza sociale multietnica e multiculturale.
Dall’altro vi sono le idealità retrograde – che sono altrettante espressioni della degenerazione dell’Essere Spirituale razionalistico-illuministico-idealistico dell’uomo – della volontà di potenza o di dominio di un solo individuo su interi popoli e Paesi, con l’annichilimento della loro libera e democratica autodeterminazione; dell’Europa vista come rappresentante della civiltà umana più evoluta nel quadro globale e depositaria, pertanto, del diritto d’imporla in ogni altra area geografica della Terra e ai popoli in essa insediati, secondo una iniqua logica imperialistica e colonialistica (rammentiamo la campagna in Egitto del generale Bonaparte, ma anche la rappresentazione complessiva della civilizzazione europea da parte della pellicola in questione).
I suddetti ideali sostanziano storicamente il pensiero-immaginario, la comunicazione verbale scritta e parlata (nella lingua inglese e in altre lingue, come quella italiana, attraverso le traduzioni, gli interpretariati e le mediazioni linguistiche e interculturali), e i comportamenti interpersonali e pubblico dei soggetti umani realizzatori, spettatori e studiosi del “Napoleon” di Ridley Scott e non solo.
Diceva ancora Benedetto Croce che la storia è sempre contemporanea, e quest’asserzione vale per i contenuti dell’immaginario delle persone legate al “Napoleon” di Scott e di quelle connesse ad ogni altra produzione cinematografica dagli inizi della Settima Arte fino ad oggi (come per quel che contengono gli immaginari della letteratura, dei libri e degli articoli giornalistici divulgativi storici e scientifici, delle opere delle arti visive, di quella musicale e del teatro, e delle ‘fiction’ televisive).
Possiamo anche affermare che il principio di indeterminazione di Heisenberg applicata alla comunicazione della storia, tramite i libri e gli articoli di divulgazione, la letteratura popolare e colta, e, naturalmente, la cinematografia e gli sceneggiati televisivi, implica il fatto che nessuna espressione comunicativa umana può considerarsi esaustiva su una figura o su un argomento storici, non può esplicitare la verità storica nella sua completezza, ma offrire, semmai, una parte della verità, una porzione di essa, che implica, lo ripeto, anche quel che si trova – consciamente e inconsciamente - nelle menti degli esseri umani generatori del movimento storico. In tal senso, la verità, esteriore ed interiore o psicologica, della storia del genere umano costituisce un processo di scoperta e acquisizione che, probabilmente, non avrà mai termine, e che coinciderà sempre con la conoscenza di noi stessi, delle profondità ancora insondate della nostra anima. Questo perché l’intera umanità, del passato, del presente e del futuro, rientra nell’Uno-Tutto pensante divino dell’universo, che ingloba in sé ogni ente materiale e immateriale (il pensiero umano conscio e subconscio, appunto), che unifica in un ‘continuum’ il passato, il presente ed il futuro.
Il film “Napoleon” di Scott – il cui titolo originario è stato “Kitbag”, poi cambiato in “Marengo” durante le riprese, utilizzando il nome della celebre vittoria di Bonaparte sugli austriaci dell’anno 1800 - mi ha ispirato queste riflessioni filosofiche. Va detto che il lungometraggio, che è proiettato nelle sale nella versione di due ore e quaranta minuti circa, ma la sua versione completa è di più di quattro ore, come ha precisato lo stesso regista, e mi auguro di poterla visionare presto.
Evidentemente Ridley Scott ha ripreso il vecchio progetto di Stanley Kubrick di un film su Napoleone (risalente agli inizi degli anni Settanta); ma l’odierna pellicola napoleonica non regge il confronto con la suggestione spettacolare di due precedenti capolavori cinematografici di questo filone storico-drammatico-avventuroso: “Guerra e pace” (1967) e “Waterloo” (1970), entrambi diretti dal regista russo Sergei Bondarchuk (ricordiamo che quest’ultimo ebbe a disposizione in quelle occasioni decine di migliaia di comparse dei reparti dell’Armata Rossa).
L’interpretazione di Joaquin Phoenix si muove tra l’intensità ardimentosa e tragica, la solennità scaturita dalla aspirazione ad un destino individuale di portata grandiosa e gli spunti ironici e quasi dissacranti (vuoi vedere che gli danno l’Oscar?), affiancato da una volenterosa Vanessa Kirby nel ruolo di Giuseppina Beauharnais e dagli altri attori, tutti professionalmente corretti.
Infine oserei dire che Napoleone Bonaparte è nello Spirito conscio e subconscio di noi europei e occidentali, e di tutti i membri del genere umano, per cui Napoleone siamo stati, siamo e saremo sempre noi, nei meandri del nostro animo, nel bene e nel male.
I KOLOSSAL DELL’ANIMA – L’IMPERO ITALIANO NEO-MITOLOGICO E NEO-EPICO DELL’IMMAGINARIO
“Maciste, l’eroe più grande del mondo” (1963) di Michele Lupo, con Mark Forest, Giuliano Gemma, Josè Greci, Mimmo Palmara, Livio Lorenzon, Erno Krisa, Piero Lulli, Paul Muller, Alfio Caltabiano, Arnaldo Fabrizio, Calisto Calisti e Harold Bradley.
In una imprecisata regione del Medio Oriente, la città e la popolazione di Nefer sono assoggettate alla più potente e ambiziosa città di Cafaus. Ma a Nefer, alcuni patrioti guidati da Evandro si addestrano come gladiatori per prepararsi all’insurrezione contro le truppe occupanti di Cafaus. Il fortissimo Maciste si schiera con i ribelli e li aiuta a liberare la città dai soldati di Cafaus e a conquistare quest’ultima, eliminando una volta per tutte la sua minaccia espansionista.
Incentrato su un soggetto e una sceneggiatura firmati da Francesco Scardamaglia e Roberto Gianviti, e prodotto da Elio Scardamaglia, “Maciste, l’eroe più grande del mondo” è un film fantasy-avventuroso di sontuosa spettacolarità e realizzato con dovizia di mezzi. Il regista Michele Lupo governa il lungometraggio con lodevole mestiere, mescolando con cura azione, ironia, umorismo e romanticismo.
Gli ideali etico-morali, sociologico-politici e legislativi meta-giuridici e intra-giuridici progressisti che risaltano nella nuova epica e nella nuova mitologia scespiriane, marlowiane ed alfieriane, che a loro volta permeano la sfera psicologico-spirituale conscia e inconscia dell’immaginario individuale e collettivo della comunicazione di massa cinematografica verbale o letteraria (nella lingua italiana parlata e scritta, e in altre lingue mediante le traduzioni, gli interpretariati e le mediazioni linguistiche e interculturali) e non-verbale (comportamentale, situazionale e visiva) della pellicola “Maciste, l’eroe più grande del mondo” di Lupo, sono i seguenti: la libertà e l’autodecisione democratica-omnicratica di una società civile da ogni forma di sottomissione ad una potenza straniera imperialistica e colonialistica; l’apertura degli individui ai diritti alla vita e alla libertà dei soggetti umani più deboli oppressi dai più forti, esercitando così il ruolo di liberatori (rammentiamo il personaggio di Maciste, impegnato nella liberazione dei subalterni); i membri della classe lavoratrice che assumono il ruolo dirigente di costruttori della vita pubblica e della storia, esercitando un’autorità pari a quella dei loro dominatori (ricordiamo gli operai del combattimento della città di Nefer, i quali sconfiggono le forze armate di Cafaus, abbattendo la supremazia di questa città su altri popoli; la cooperazione indirizzata al bene comune; la giustizia del popolo opposta alle leggi di uno Stato sottoposto al dominio di una ristretta minoranza aristocratica; l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, al di là della gerarchia socio-classista (è il caso del plebeo Xandros e della principessa Chelima, uniti dall’amore); la consapevolezza della necessità di norme legislative adeguate per l’affermazione delle suddette idealità nel contesto sociale.
Gli ideali sopra illustrati storicamente hanno attraversato e attraversano il pensiero-immaginario ai livelli della coscienza e del subconscio, il linguaggio verbale parlato e scritto (in italiano e in altri idiomi), e i comportamenti interpersonali e pubblici dei soggettisti e sceneggiatori, del regista, degli attori principali e secondari, delle comparse, dei tecnici e degli spettatori e degli studiosi del passato e del presente del film “Maciste, l’eroe più grande del mondo” di Lupo. Con questa mia recensione filosofica, inoltre, ho fatto diventare il lungometraggio in esame una entità pensante e intelligente facente parte dell’impero filosofico e spirituale del mio immaginario, al servizio dell’evoluzione dello Spirito razionalistico-illuministico-idealistico dell’umanità, della Terra e dell’universo, e che rende gli italiani guide morali del genere umano verso una civiltà realmente evoluta.
Nel ‘cast’ figura il giovanissimo Giuliano Gemma, che di lì a poco sarebbe diventato una celebrità con gli “spaghetti western”.
I KOLOSSAL DELL’ANIMA – L’IMPERO ITALIANO NEO-EPICO E NEO-MITOLOGICO DELL’IMMAGINARIO
“Ercole sfida Sansone” (1963) di Pietro Francisci, con Kirk Morris, Richard Lloyd, Liana Orfei, Enzo Cerusico, Aldo Giuffrè, Diletta D’Andrea, Fulvia Franco, Jole Mauro, Andrea Fantasia, Pietro Tordi, Marco Mariani, Nando Angelini, Mario De Simone, Aldo Pini, Ugo Sasso, Stefano Sabatini, Walter Grant e Cinzia Bruno.
Un mostro marino infesta le acque intorno all’isola di Itaca, minacciando le vite dei pescatori; il re Laerte decide quindi di inviare una spedizione comandata da Ercole e alla quale si aggrega anche il principe Ulisse, ancora ragazzo, allo scopo di uccidere il grosso animale. Il mostro è eliminato da Ercole con un colpo di arpione, ma la nave in cui l’eroe greco e gli altri membri della spedizione sono imbarcati finisce nel vortice di una tempesta, che la spinge verso il Mediterraneo orientale. Ercole, Ulisse e gli altri naufraghi approdano quindi sulle coste della Palestina, dove i Giudei sono in lotta contro gli oppressori Filistei. A guidare i Giudei nella resistenza ai dominatori vi è Sansone il Davita, noto per la sua eccezionale forza e per la sua imbattibilità. I greci sono animati dal solo desiderio di tornare a Itaca, ma vengono catturati dai Filistei. Su suggerimento dell’aristocratica Dalila, il re Seren dei Filistei ordina ad Ercole di affrontare, sconfiggere e fare prigioniero Sansone, garantendo a lui e ai suoi compagni il ritorno ad Itaca a bordo di una nave, una volta raggiunti gli obiettivi della missione. Lo scontro tra Ercole e Sansone è furibondo, ma prosegue senza che vi sia un vinto né un vincitore, tanto che il primo svela al secondo l’ordine impartitogli da Seren e gli propone di unire le forze inscenando una falsa cattura agli occhi dei Filistei, così da trargli in inganno e, giocando d’astuzia, fuggire entrambi dalle loro grinfie, verso la libertà. I Filistei, però, non concedono tregua né a Sansone né ad Ercole, tendendogli una trappola; i due eroi si oppongono energicamente ai guerrieri filistei, ma rischiano di soccombere a causa del numero preponderante dei nemici. Il provvidenziale arrivo di una nave greca guidata dallo stesso monarca Laerte ribalta le sorti della battaglia, consentendo a Sansone, ad Ercole, ad Ulisse e agli altri greci di mettersi in salvo.
Scritto e diretto da Pietro Francisci, “Ercole sfida Sansone” (il titolo in inglese è “Hercules, Samson and Ulysses”) è un film di avventure fantasy capolavoro di vistosa spettacolarità e girato con grandi mezzi. Francisci dirige il lungometraggio con professionalità, mantenendolo sul filo dell’ironia e di una trama avvincente e ricca di azione.
Gli ideali etico-morali e sociologico-politici evoluti che storicamente hanno permeato e permeano la dimensione psicologico-spirituale conscia e subconscia dell’immaginario individuale e collettivo, che riempie la comunicazione verbale parlata e scritta (nella lingua italiana e in altre lingue) e l’agire ai livelli interpersonale e pubblico, del soggettista, sceneggiatore e regista, degli attori principali e secondari, e degli spettatori e degli studiosi di ieri e di oggi, del film “Ercole sfida Sansone” sono evidenziati qui di seguito: l’opposizione al dominio imperialistico e colonialistico straniero che tiene un intero popolo sotto il tallone, in nome della libera e democratica autodeterminazione delle genti; i lavoratori manuali che rifiutano ogni subordinazione ad un potere dispotico esterno ad essi e che si battono per la propria libertà, affermando un’autorità pubblica egualitaria rispetto a quella dei membri della classe sociale dominante (il riferimento è agli operai delle fatiche fisiche Sansone ed Ercole); la cooperazione per il conseguimento di obiettivi moralmente elevati; l’apertura ai diritti ed alla dignità degli appartenenti alle classi sociali popolari, lavoratrici e meno abbienti; (nell’isola di Itaca e nella Giudea); le vicende ambientate nella storia antica che riempiono il pensiero dei soggetti umani contemporanei, della seconda metà del Novecento e dei primi decenni del Duemila, come nel caso del sottoscritto Gianluigi Cofano, per ritrovare in esse nuove mitologie e nuove epiche – scespiriane, marlowiane ed alfieriane - con cui immettere linfa spirituale nelle proprie esistenze; gli italiani, i quali pongono loro stessi come simboli di una civiltà avanzata per gli altri popoli del mondo, nel contesto di un impero spirituale dell’immaginario, emancipandosi dalle responsabilità nel secondo conflitto mondiale.
Nel film “Ercole sfida Sansone” di Francisci, inoltre, si parla non solo di conflitti armati e di tragedie per le popolazioni civili nel Medio Oriente, ma anche di uno scambio di prigionieri che deve avvenire nei pressi della città di Gaza. E’ un sorprendente collegamento con l’attualità geo-politica, che israeliani, palestinesi e occidentali stanno vivendo in queste ore.
Tra gli attori impegnati, si distinguono la sensuale ed infida Liana Orfei nel ruolo di Dalila, il tirannico e scaltro Aldo Giuffrè, nel ruolo del re Seren, e il simpatico Enzo Cerusico in quello di Ulisse.
I KOLOSSAL DELL’ANIMA – L’IMPERO ITALIANO NEO-MITOLOGICO E NEO-EPICO DELL’IMMAGINARIO
“Ercole, Sansone, Maciste e Ursus gli invincibili” (1964) di Giorgio Capitani, con Alan Steel, Red Ross, Yar Larvor, Nadir Baltimore, Elisa Montes, Conrado San Martin, Lia Zoppelli, Nino Del Fabbro, liana Orfei, Livio Lorenzon e Luciano Marin.
Ercole, figlio di Zeus, per prendersi una pausa di riposo dopo le celebri fatiche, si reca nel regno di Lidia, in cerca di appetitose donzelle. Qui s’invaghisce della principessa Onfale, figlia della regina Nemea. Onfale, però, non intende legarsi al semidio, in quanto già innamorata di Inor, il figlio del capo di una tribù ribelle delle montagne. A rendere più complessa la faccenda, ci si metteranno anche Sansone, Maciste e Ursus.
Basato su un soggetto e una sceneggiatura di Roberto Gianviti, Sandro Continenza e Giorgio Cristallini, “Ercole, Sansone, Maciste e Ursus gli invincibili” è un film fantasy-avventuroso di produzione italo-franco-spagnola. Il regista Giorgio Capitani governa con professionalità il grosso spettacolo realizzato con un largo impiego di mezzi , mantenendolo lungo il solco dell’avventura infarcita da ironia e umorismo.
Da evidenziare l’ideale etico-morale progressista che guida la comunicazione verbale (nella lingua italiana scritta e parlata, e in altre lingue) e non-verbale (comportamentale, situazionale e visiva) dei soggettisti e sceneggiatori, del regista e degli attori principali: quello degli operai manuali – i quattro personaggi mitologici protagonisti, nel caso specifico – che si pongono su un piano di uguaglianza e senza complessi di inferiorità nei confronti degli esponenti della classe minoritaria aristocratica dominante, detentrice esclusiva del potere politico, proprietaria di enormi ricchezze economiche e materiali, e beneficiaria di numerosi privilegi.
I KOLOSSAL DELL’ANIMA – L’IMPERO ITALIANO NEO-MITOLOGICO E NEO-EPICO DELL’IMMAGINARIO
“La leggenda di Enea” (1962) di Giorgio Rivalta, con Steve Reeves, Carla Marlier, Gianni Garko, Lula Selli, Mario Ferrari, Maurice Poli, Enzo Fiermonte, Robert Bettoni, Liana Orfei, Giacomo Rossi Stuart, Benito Stefanelli, Luciano Benetti, Nerio Bernardi, Pietro Capanna e Charles Band.
Sette anni dopo la distruzione di T***a, Enea ed i T***ani superstiti approdano nel Lazio e si stabiliscono lungo il fiume Tevere, con l’approvazione del re Latino, sovrano dei Latini. Ma Turno, re dei Rutuli, disapprova la presenza dei troiani nel territorio laziale, che potrebbero essere d’intralcio alla sua ambizione di dominare l’intero Lazio, e ordina ad Enea di andarsene insieme a tutti i suoi compatrioti. Si arriva così alla guerra e l’esercito di Rutuli e Latini comandato da Turno pone assedio al villaggio dei T***ani. Per evitare il peggio, Enea oltrepassa le linee nemiche e chiede aiuto agli Etruschi, ottenendolo. Con il sostegno dei guerrieri Etruschi, i T***ani riescono a prevalere sull’armata di Turno, nonostante l’appoggio dato a quest’ultima dai Volsci comandati dall’intrepida Camilla, la quale perde la vita in battaglia. Ridotti a mal partito, i Rutuli e i Latini si ritirano ed Enea, viste le ingenti perdite dalla sua parte, propone al re Latino uno scontro individuale ad armi pari con Turno. Quest’ultimo accetta il duello all’ultimo sangue con Enea ma è il troiano alla fine a prevalere, uccidendo Turno. Conquistato il diritto per la sua gente a dimorare nel Lazio, la terra da cui proveniva Dardano fondatore della stessa T***a, Enea e gli altri troiani penseranno ora a porre le fondamenta a quella che secoli dopo sarà la civiltà di Roma.
Liberamente tratto dall’ “Eneide” di Virgilio, basato su un soggetto ed una sceneggiatura firmati da Ugo Liberatore, Arrigo Montanari e Luigi Mangini, e seguito del film “La guerra di T***a” di Giorgio Ferroni, “La leggenda di Enea” è un lungometraggio fantasy-avventuroso di vigorosa spettacolarità e realizzato con molti mezzi. Il regista Giorgio Rivalta dirige la pellicola con un professionismo degno di stima, saldando il l’avventura al ‘pathos’ drammatico ed alla meticolosa rievocazione storico-ambientale dell’antico Lazio.
Gli ideali antropologico-ontologici, etico-morali, sociologico-politici, scientifico-conoscitivi e legislativi meta-giuridici e intra-giuridici evoluti – che esplicitano il progresso dello Spirito razionalistico-illuministico dell’uomo - facenti parte della nuova epica e della nuova mitologia – dalle risonanze scespiriane, marlowiane ed alfieriane - dell’epoca contemporanea, che storicamente attraversa la sfera psicologico-spirituale conscia e inconscia dell’immaginario individuale e collettivo, che a sua volta è contenuto nella comunicazione di massa cinematografica verbale (nella lingua italiana scritta e parlata, e in altre lingue del mondo tramite le traduzioni, gli interpretariati e le mediazioni linguistiche e interculturali) e non-verbale (comportamentale, situazionale e figurativa) del film “La leggenda di Enea” di Rivalta, sono stati vissuti nelle loro interiorità dagli artefici della pellicola in esame e dagli spettatori come dagli studiosi di ieri e di oggi.
Queste idealità liberaldemocratiche-liberalomnicratiche-egualitarie-socialiste (al tempo medesimo) italiane e, più in generale, occidentali, sono le seguenti: il rifiuto di una collettività di essere subordinata, come una etnia ed una classe sociale, al volere dispotico di un solo individuo detentore del potere e di ingenti ricchezze materiali, con l’esercizio da parte della prima di un’autorità pari e superiore a quella del tiranno (pensiamo ai troiani che si oppongono alla brama di supremazia del monarca Turno); l’immigrazione in un’area territoriale considerata come un fattore di sviluppo della civilizzazione umana e non come una minaccia per la sicurezza delle popolazioni residenti (dietro il mito di Enea e dei profughi troiani giunti nell’Italia centrale più di mille anni prima di Cristo, riecheggiano i flussi migratori che dall’Asia minore e dalla Grecia raggiunsero le rive italiche, ed esso richiama inevitabilmente alla mente lo scottante problema dell’attuale emigrazione lungo le rotte del Mediterraneo verso i nostri lidi); la società multietnica e multiculturale nella quale tutti i soggetti umani hanno eguali diritti (rammentiamo i troiani che aspirano ad affermare la loro uguaglianza nella dignità e nelle prerogative con le comunità dell’antico Lazio, dai Latini e dai Rutuli, agli Etruschi ed ai Volsci); la convivenza sociale imperniata sul diritto e non sulla legge del più forte, in maniera tale che la libertà e la giustizia siano assicurate a tutti i soggetti umani senza distinzioni, e non soltanto ad alcuni privilegiati; il rifiutare ogni assetto gerarchico nei rapporti umani, che divida gli individui in superiori e inferiori, in nome dell’affermazione dell’eguaglianza nei diritti e nel protagonismo pubblico e storico (ricordiamo il fatto che Enea e i T***ani respingono la brama di supremazia di Turno su di essi); la cooperazione tra genti diverse per un interesse comune ed eticamente positivo (il riferimento è ai T***ani che si alleano con gli Etruschi per respingere l’aggressione delle forze di Turno); la consapevolezza che anche un’ampia realtà sociale può perseguire liberamente e democraticamente scopi moralmente deteriori e sostenere il piano di dominio di un despota (rammentiamo la popolazione dei Latini che appoggia con entusiasmo il proposito di Turno di scacciare i T***ani dal Lazio); il soggetto umano singolo che supera l’egocentrismo e l’egoismo per porre se stesso al servizio della collettività; la coscienza della necessità di norme giuridiche-legislative che garantiscano la concretizzazione sociale delle idealità sopra sottolineate; gli italiani e, in un senso più complessivo, gli occidentali che assumono la funzione di maestri nel progresso della civilizzazione per l’umanità intera..
Da segnalare, infine, la massiccia determinazione di Steve Reeves, nel ruolo di Enea, la raffinata perfidia di Gianni Garko, in quello di Turno, e la tragica rassegnazione di Mario Ferrari, nei panni di Latino.