Camera Penale Distrettuale del Molise
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Pacchetto sicurezza: l'Unione delibera lo stato di agitazione.
Il contenuto dell’intero “pacchetto sicurezza” approvato dalla Camera dei Deputati il 18 settembre 2024, lungi dal porsi in sintonia con un programma di riforma della giustizia in senso liberale, rivela nel suo complesso e nelle singole norme una matrice securitaria sostanzialmente populista, profondamente illiberale e autoritaria, caratterizzata da uno sproporzionato e ingiustificato rigore punitivo nei confronti dei fenomeni devianti meno gravi ed ai danni dei soggetti più deboli, caratterizzandosi per l’introduzione di una iniqua scala valoriale, in relazione alla quale taluni beni risultano meritevoli di maggior tutela rispetto ad altri di eguale natura, in violazione del principio di ragionevolezza, di eguaglianza e di proporzionalità. Contrariamente a ciò che avrebbe dovuto caratterizzare l’azione politica di un Governo ispirato ai principi del diritto penale liberale, si è, invece, assistito ad una irragionevole moltiplicazione delle fattispecie di reato, in spregio al principio di offensività e ad un costante aggravamento delle pene, in senso contrario ai più elementari principi di proporzionalità, secondo paradigmi che rispondono piuttosto alla più tipica logica del populismo giustizialista e del diritto penale simbolico. L’Unione esprime la più ferma contrarietà ai contenuti del cd. pacchetto sicurezza e forte preoccupazione in relazione alla prosecuzione dell’iter parlamentare e delibera lo stato di agitazione, riservandosi di assumere ogni possibile iniziativa che coinvolga l’Avvocatura, l’Accademia e l’intera società civile al fine di sollecitare il Parlamento ad adottare tutte le opportune modifiche alle norme del pacchetto sicurezza in senso conforme alla Costituzione ed ai principi del diritto penale liberale. In allegato la delibera.
GIUNTA DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE
Delibera del 30 settembre 2024
La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane
Premesso che
come già evidenziato nelle nostre Delibere del 20 novembre 2023 con la quale è stato deliberato lo stato di agitazione e del 25 gennaio 2024 con la quale è stata deliberata l’astensione da tutte le attività del settore penale, il contenuto dell’intero “pacchetto sicurezza”, DDL AC 1660-A recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, approvato dalla Camera dei Deputati il 18 settembre 2024, lungi dal porsi in sintonia con un programma di riforma della giustizia in senso liberale, rivela nel suo complesso e nelle singole norme una matrice securitaria sostanzialmente populista, profondamente illiberale e autoritaria, caratterizzata da uno sproporzionato e ingiustificato rigore punitivo nei confronti dei fenomeni devianti meno gravi ed ai danni dei soggetti più deboli, caratterizzandosi per l’introduzione di una iniqua scala valoriale, in relazione alla quale taluni beni risultano meritevoli di maggior tutela rispetto ad altri di eguale natura, in violazione del principio di ragionevolezza, di eguaglianza e di proporzionalità.
Contrariamente a ciò che avrebbe dovuto caratterizzare l’azione politica di un Governo ispirato ai principi del diritto penale liberale, si è, invece, assistito ad una irragionevole moltiplicazione delle fattispecie di reato, in spregio al principio di offensività e ad un costante aggravamento delle pene, in senso contrario ai più elementari principi di proporzionalità, secondo paradigmi che rispondono piuttosto alla più tipica logica del populismo giustizialista e del diritto penale simbolico, che mirano esclusivamente a lucrare consenso, facendo leva su di un sentimento di insicurezza a sua volta strumentalmente diffuso nella collettività, pur a fronte di una ormai costante e significativa diminuzione dei reati che dura ininterrottamente da circa trent’anni e che ci colloca tra i paesi più sicuri d’Europa.
Si tratta di scelte del tutto prive di giustificazione, non solo perché non rispondono ad alcuna effettiva messa in pericolo della sicurezza dei cittadini, ma anche in quanto l’aumento delle fattispecie di reato e della misura delle pene, per diffusa e condivisa esperienza, non assicura alcun effetto deterrente e, conseguentemente, non raggiunge neppure gli obiettivi di miglioramento delle condizioni di sicurezza pubblica, che hanno dichiaratamente ispirato il DDL in questione.
Abbiamo, inoltre, più volte stigmatizzato, come l’affidare al sistema repressivo penale la soluzione di ogni situazione di marginalità, di devianza, o di potenziale conflitto sociale, anziché percorrere la strada
dell’incremento della prevenzione e della riduzione delle cause di disagio sociale che generano i fenomeni della ribellione e della devianza, o anche solo del dissenso politico, finisce con l’alimentare inutilmente una crescente domanda di punizione e con l’incrementare irrazionalmente un sistema carcerocentrico produttivo di ulteriore sovraffollamento, incompatibile con ogni forma di rieducazione, a sua volta causa dell’aumento del fenomeno della recidiva.
Tali gravi discostamenti del DDL da tutti i paradigmi propri del Diritto penale liberale, che avrebbe dovuto ispirare l’azione di governo, sono stati puntualmente stigmatizzati da UCPI anche nell’ambito della Audizione davanti alla Commissione Affari Costituzionali del 20 maggio 2024, con riferimento agli artt. 270-1quinquies.3 c.p.; 435 c.p., nonché agli interventi normativi di cui agli artt. 10, 11, 12, 13 e 14 e 15 del DDL, sottolineandosi come si offra alla collettività il falso e deformante “messaggio di sicurezza ed efficienza che con tali misure normative si vuole dare, come se si trattasse della soluzione ai fenomeni criminali in esse previsti, quasi che, nell’attuale assetto normativo, non fossero già presenti adeguate disposizioni di legge che puniscono l’occupazione abusiva di immobili, il borseggio, le rivolte in carcere o l’aggressione ai danni dei rappresentanti delle forze dell’ordine”.
Abbiamo in particolare rilevato come la fattispecie di reato di “rivolta in istituto penitenziario”, introdotta con il nuovo art. 415-bis c.p. (art. 26), integrata anche da condotte dichiaratamente inoffensive come la resistenza passiva, ovvero da semplice disobbedienza, costituisca un pericoloso arretramento, in quanto introduce una norma evidentemente contraria ai principi di ragionevolezza, di proporzionalità e di offensività, e che si espone, a causa della sua complessiva indeterminatezza, ad una utilizzazione e ad una applicazione arbitraria stante l’inammissibile generico riferimento al “contesto” nel quale la condotta si consuma.
E’ stato altresì osservato come tale inasprimento delle sanzioni e tale criminalizzazione di condotte non violente risulti del tutto irrazionale, considerato come la stessa Commissione di indagine, istituita dal DAP a seguito delle rivolte scoppiate nelle carceri nel marzo 2020, abbia concluso che la risposta punitiva vada in una direzione “ostinata e contraria” rispetto ad una vera prevenzione e dissuasione rispetto a tali comportamenti, invitando ad “una riflessione sulle condizioni di degrado e abbandono in cui versavano molti degli istituti penitenziari” e che, pertanto, anziché punire severamente comportamenti inoffensivi quali la resistenza passiva, ci si dovrebbe fare urgentemente carico degli obblighi imposti al decisore politico dalla Costituzione e dalla CEDU, che fanno divieto di infliggere pene o trattamenti inumani o degradanti.
È apparsa altrettanto pericolosa ed iniqua la equiparazione al fine della applicazione di simili norme ai “centri di trattenimento” (art. 27) nei quali viene attuata la cd. detenzione amministrativa che, pur risolvendosi in una integrale limitazione della libertà personale, dovrebbe essere comunque oggetto di un regime di tutela penale certamente differenziato proprio in base al differente status delle persone in essi collocate.
Eguale severa critica è stata formulata con riferimento all’ulteriore allargamento del catalogo dei reati c.d. ostativi, con l’inserimento nell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario anche della menzionata fattispecie descritta dall’art. 415-bis c.p. nonché dall’art. 415 c.p. “Istigazione a disobbedire alle leggi”, fattispecie di pericolosa interpretazione ed applicazione se ricondotta alle ipotizzate condotte di rivolta, che finirà con l’aggravare la già drammatica situazione di sovraffollamento che sta inesorabilmente affliggendo le carceri italiane.
È stato altresì osservato come persino i fenomeni relativi alle più recenti rivolte carcerarie sono stati infatti caratterizzati da moti estemporanei condizionati più dal disagio che da vere e proprie spinte criminali, privi di una qualche organizzazione e di alcuna finalità eversiva, che sembrano aver bisogno più che di dure risposte repressive, di ascolto della realtà, di quella presenza dello Stato che si concretizza di una maggiore azione di assistenza, di prevenzione e di recupero, in favore della realtà della detenzione che è stata, al contrario, irresponsabilmente abbandonata al suo destino.
Analoga errata prospettiva si è adottata con riferimento ai reati di occupazione degli immobili (Disposizioni in materia di sicurezza urbana), trattandosi di contesti che necessitano di diversi, più vasti e complessi interventi di riorganizzazione delle risorse dei territori e di prevenzione dell’illegalità, piuttosto che di una eccessiva criminalizzazione del dissenso e di inasprimenti sanzionatori o di incremento dei poteri della Polizia giudiziaria (art. 321-bis), ovvero di aree di disagio sociale problematiche che più ragionevolmente potrebbero essere gestite attraverso una maggiore efficienza delle amministrazioni ed una più oculata presenza delle istituzioni.
La norma, peraltro, andrebbe a sovrapporsi a quelle precedentemente entrate in vigore, che già puniscono la condotta di occupazione abusiva di un immobile, creando un coacervo disordinato e sovrabbondante di norme e disponendo un regime sanzionatorio così grave, che rischierebbe di essere lesivo del principio di proporzionalità sancito dalla Costituzione.
Di particolare gravità risulta essere la cancellazione del differimento obbligatorio della pena per le donne incinte o madri di prole in tenera età e la previsione di detenzione delle stesse negli istituti a custodia attenuata per detenute madri, luoghi evidentemente incapaci di gestire le più elementari urgenze sanitarie, la cui limitatissima presenza sul territorio (4 in tutta Italia), rischia di confinare dietro le sbarre ordinarie dei penitenziari femminili le madri ed i loro neonati, detenuti senza colpa, quando invece si sarebbe dovuto proseguire nel solco della proposta di legge, presentata nella scorsa legislatura, tesa ad istituire in ogni regione case-famiglia per madri detenute e bambini e in questa direzione avrebbe dovuto muoversi l’azione del Governo e del Parlamento.
Altrettanto iniqua e vessatoria è l’introduzione della modifica al codice delle comunicazioni elettroniche (art. 98-undertricies) che comporta una gravissima limitazione di uno dei più elementari diritti della persona quale è quello costituito dalla libertà di comunicazione, laddove si è inibito il rilascio di un contratto telefonico al “cittadino di uno Stato non appartenente alla Unione europea”, per il solo fatto di essere sprovvisto di titolo di soggiorno (art. 32).
È stato da noi in ogni sede denunciato come il contenuto del pacchetto sicurezza, approvato di recente dalla Camera, appare caratterizzato da un irragionevole rigore punitivo nei confronti dei fenomeni devianti meno gravi e ai danni dei soggetti socialmente più deboli, distinguendosi per l’introduzione di un’iniqua scala valoriale, in relazione alla quale taluni beni risultano meritevoli di maggior tutela rispetto ad altri di eguale natura, in violazione dei principi di eguaglianza e proporzionalità, attivandosi nei confronti di alcune categorie di soggetti anche solo indagati per determinati reati, misure di prevenzione personale particolarmente limitative della libertà di movimento e di fruizione di servizi essenziali.
Riteniamo che debba essere analogamente censurata e contrastata, come certamente estranea alla sensibilità ed alla storia giuridica del nostro Paese e contraria ai principi della nostra Carta costituzionale, l’introduzione di ogni forma di “castrazione chimica” quale mezzo di contrasto ai pur gravi reati determinati da motivazioni sessuali, fatta oggetto di un ordine del giorno approvato dalla Camera con il quale si istituiscono una commissione o un tavolo tecnico volto a porre rimedio ad una asserita “mancanza di adeguate misure di prevenzione” in termini di recidiva di tali reati.
La contrarietà dell’avvocatura penale alla filosofia stessa che ispira l’intero DDL è stata ancora una volta espressa nell’ambito dell’incontro avuto con il Ministro della Giustizia Carlo Nordio il 24 settembre 2024.
Assistiamo infatti ad una inaccettabile pan-penalizzazione a vasto spettro, che implica la creazione di nuove fattispecie di reato, la criminalizzazione di condotte che non erano state mai ritenute offensive, uno sproporzionato aumento delle sanzioni a tutela univoca dei tutori dell’ordine, l’introduzione di nuove ostatività alla concessione di benefici penitenziari, l’aumento delle prerogative della Polizia
giudiziaria, alla quale sarà addirittura consentito il porto di armi diverse da quelle ufficialmente in dotazione.
Constatiamo come tali riforme finiscano con il modificare pericolosamente i rapporti stessi fra il cittadino e lo Stato, fra il principio di autorità e quello di libertà, impostando le stesse relazioni sociali sulla base di una asserita esigenza di sicurezza strumentalmente amplificata.
Siamo convinti che nessuna pur legittima e condivisibile richiesta di sicurezza e nessuna forma di illegalità e di devianza consenta di adottare misure e rimedi sproporzionati che, oltre che a rivelarsi inefficaci rispetto ai fini, finiscono con il torcere l’intero sistema penale in senso radicalmente illiberale ed autoritario, indebolendo le radici di quei principi costituzionali che costituiscono la salvaguardia delle libertà fondamentali di tutti i cittadini e della stessa convivenza democratica, in quanto posti a tutela della libertà di manifestazione e di espressione del dissenso.
Come enunciato dal nostro Manifesto del Diritto Penale Liberale e del Giusto Processo, «Liberale è il modello di diritto penale che legittima l’intervento punitivo solo quando è strettamente necessario e proporzionato alle esigenze di tutela, oltre che rispettoso della persona che lo subisce» (Canone 3.) e che «Ogni eccesso punitivo, che superi il principio del “minimo sacrificio necessario”, costituisce un arbitrio dello Stato e, nei casi più gravi, un delitto. È compito precipuo delle istituzioni assicurare il pieno rispetto della persona del colpevole, che non può mai essere oggetto di strumentalizzazione in nome della prevenzione dei reati» (Canone 5.);
Denunciamo come i principi di ragionevolezza, di proporzionalità e di offensività, propri di quel diritto penale liberale al quale dovrebbe tendere ogni moderno Stato di diritto, vengono evidentemente travolti, mediante l’instaurazione di un sistema deliberatamente impostato sull’impronta di un “diritto penale del nemico” e su di una responsabilità da “colpa d’autore”, nella quale la stigmatizzazione penale si attiva non per “quello che si fa”, ma per “quello che si è”.
Ribadiamo, pertanto, la necessità di tutelare con ogni mezzo tali indefettibili e non negoziabili principi e valori, promuovendo ogni possibile iniziativa al fine di sensibilizzare tutti i settori della società civile, della Politica, della Accademia e dell’informazione, riservandoci la sollecita organizzazione di eventi nazionali nell’ambito dei quali manifestare la contrarietà dell’Avvocatura penale alla introduzione delle norme contenute nel pacchetto sicurezza, denunciando i rischi della svolta illiberale che esse prefigurano, svelando altresì la natura fallimentare dello strumento repressivo ai fini del perseguimento della pur necessaria sicurezza dei cittadini.
Tanto premesso
esprime
la sua più ferma contrarietà ai contenuti del cd. pacchetto sicurezza e la sua più forte preoccupazione in relazione alla prosecuzione dell’iter parlamentare del DDL AC 1660-A recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, approvato dalla Camera dei deputati il 18 settembre 2024 per la evidente violazione delle norme in esso contenute ai principi costituzionali e sovranazionali;
delibera
lo stato di agitazione riservandosi di assumere ogni possibile iniziativa che coinvolga l’Avvocatura, l’Accademia e l’intera società civile nell’ambito di un confronto sui temi imposti dall’iniziativa normativa, al fine di sollecitare il Parlamento ad adottare tutte le opportune modifiche alle norme del pacchetto sicurezza in senso conforme alla Costituzione ed ai principi del diritto penale liberale, sensibilizzando l’opinione pubblica sul pericolo che simili legislazioni securitarie e illiberali possano incidere irreversibilmente sulla tenuta democratica dell’intero sistema penale, riservandosi l’organizzazione di eventi nazionali e la proclamazione di giornate di astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria.
Roma, 30 settembre 2024
Il Presidente UCPI
Avv. Francesco Petrelli
Il Segretario UCPI
Avv. Rinaldo Romanelli
https://camerepenali.it/cat/12660/pacchetto_sicurezza_l%E2%80%99unione_delibera_lo_stato_di_agitazione.html
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VIII OPEN DAY DELL'UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE - RIMINI 7/8 GIUGNO 2024 - Seconda Giornata
VIII° OPEN DAY - ALIENAZIONE E ACCELERAZIONE Dignità dell'Uomo, tra carcere e intelligenza artificiale.
Rimini 7 e 8 giugno 2024
Tutti a Rimini il 7 e l'8 giugno per l'VIII Open Day UCPI. Aperte le iscrizioni, nel primo commento il link per le informazioni e le iscrizioni.
Ad Armando Veneto l'abbraccio di tutti i penalisti italiani.
L’Avvocato Armando Veneto, è stato assolto dalla Corte d’Appello di Catanzaro per non aver commesso il fatto. L’Avvocato Veneto è tra i padri fondatori dell’Unione Camere Penali Italiane, ne ha presieduto il Consiglio con competenza e grande autorevolezza e rappresenta un esempio per tutti noi, anche per come, con grande dignità e rispetto, ha sofferto in silenzio durante questo doloroso e ingiusto percorso. Ad Armando l’abbraccio affettuoso di tutti i penalisti italiani, che mai gli hanno fatto mancare la stima e la vicinanza durante questo lungo periodo necessario per stabilire, anche pubblicamente, quella verità che tutti noi abbiamo sempre conosciuto e nella quale non abbiamo mai smesso di credere.
Roma, 1 marzo 2024
La Giunta
Calendarizzazione della separazione delle carriere 01/03/2024 Calendarizzazione della separazione delle carriere La politica non si faccia condizionare dalla costante azione di contrasto della magistratura. La nota della Giunta. Finalmente il 25 marzo prossimo prenderà il via alla Camera dei Deputati la trattazione del Disegno di Legge Costituziona...
Carcere: non c’è più tempo…
Continuano i suicidi nei luoghi di detenzione e la mancata tutela della dignità di tutti i detenuti. Prosegue l’assenza dei più volte sollecitati interventi urgenti volti alla eliminazione del fenomeno del sovraffollamento in continuo drammatico aumento. Si persevera con politiche giudiziarie e legislazioni irrazionali e dannose che vanno in senso contrario ai valori e ai principi che devono governare la necessaria e urgente riforma dell’esecuzione penale. Non c’è più tempo. La nota della Giunta e dell’osservatorio carcere UCPI
➡️ https://bit.ly/3SUiZO5
Non si tratta più di tutelare solo la dignità dei condannati ma di preservarne la vita. Dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere avevamo denunciato il rapporto fra simili terribili eventi e le parole d’ordine e gli slogan di una politica irresponsabile che ignorando i valori intangibili della dignità del condannato e delle finalità delle pene ritiene che il condannato possa essere ridotto ad una cosa lasciata a marcire. Collocando così il carcere al di là dei confini della civiltà e del rispetto della persona. Ma i fatti di Reggio Emilia nella loro ulteriore atrocità appaiono tanto più allarmanti perché, oltre che rispondere a quel medesimo contesto culturale, costituiscono l’evidente esito di una politica che ha da tempo abbandonato il carcere al suo destino e dimostrano come sia totalmente errato l’avere intrapreso una strada volta a privilegiare l’aspetto contenitivo e afflittivo della pena, la funzione autoritaria e securitaria del regolamento penitenziario e del trattamento, introducendo con il pacchetto sicurezza norme contrarie ad ogni principio di civiltà giuridica. Così come contrarie ad ogni principio di dignità e di umanità sono le condizioni nelle quali sono costretti a vivere i detenuti, condannati a pene definitive e in attesa di giudizio, spesso in condizioni di oggettiva illegalità per carenza dei minimi presidi igienici, sanitari e psichiatrici e troppo spesso ridotti in uno stato di disperazione e di abbandono. Abbiamo appena finito di denunciare con tre giorni di astensione dalle udienze il numero e la frequenza atroce dei suicidi nei luoghi di detenzione, carceri e CPR, ed un ennesimo suicidio di un giovane detenuto si è compiuto nel carcere di Latina. Denunciamo l’assoluta inidoneità dei rimedi sino ad oggi immaginati dal Governo, l’assenza dei più volte sollecitati interventi urgenti volti alla eliminazione del fenomeno del sovraffollamento in continuo drammatico aumento e l’insistenza su politiche giudiziarie e legislazioni irrazionali e dannose che vanno in senso contrario ai valori e ai principi che devono governare la necessaria e urgente riforma dell’esecuzione penale e tutelare la dignità e la vita di tutti i detenuti. Non c’è più tempo …
Roma, 12 febbraio 2024
La Giunta
L'Osservatorio Carcere UCPI
Interrompere l'ascolto dell'intercettazione di comunicazioni tra difensore ed assistito 15/01/2024 Interrompere l'ascolto dell'intercettazione di comunicazioni tra difensore ed assistito In discussione alla Commissione Giustizia del Senato l’obbligo di interrompere l’ascolto dell’intercettazione di comunicazioni tra difensore ed assistito. UCPI scrive ai Senatori per sottolinea....
Noi penalisti ancora in attesa che torni il diritto di fare appello Non credo sia difficile immaginare il senso di frustrazione che il difensore avverte quando vede umiliata la propria funzione
Il rinvio della riforma costituzionale dell'ordinamento giurisdizionale sarebbe un grave errore. 13/11/2023 Il rinvio della riforma costituzionale dell'ordinamento giurisdizionale sarebbe un grave errore. Se si rivelasse vera la notizia diffusa dalla stampa secondo la quale il governo intende rinviare la riforma costituzionale dell’ordinamento giurisdizionale, per dare impulso solo alla rifor...
In difesa dell'autonomia e dell'imparzialità del Giudice.
Un giudice di Milano viene processato dalla Procura per aver esercitato le proprie fondamentali funzioni di controllo giurisdizionale. E' in atto un costante attacco all’autonomia delle giurisdizione, ogniqualvolta il Giudice non si adegui alle richieste del Pubblico Ministero viene identificato come un ostacolo alla “Giustizia”, poiché nella narrazione ormai affermatasi come comune, il Pubblico Ministero è l’unico a saper distinguere ciò che è lecito da ciò che è illecito, a saperne indicare i responsabili, ad avere il potere di contrastare il male, senza bisogno che vi sia alcun Giudice e alcun successivo giudizio a riconoscere la bontà del suo operato. Il documento della Giunta UCPI
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La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane,
preso atto che
- nei giorni scorsi si è assistito ad un violento attacco mediatico nei confronti del Giudice per le Indagini Preliminari di Milano, “responsabile” di aver accolto “solo” 11 su 153 richieste di custodia cautelare in carcere formulate dalla Direzione Distrettuale Antimafia nell’ambito di una indagine avente ad oggetto l’asserita esistenza di un “sistema mafioso lombardo”, che sarebbe costituito da esponenti della mafia siciliana, della ‘ndrangheta e della camorra;
- al fine di dimostrare la superficialità delle valutazioni compiute dal Giudice e l’inadeguatezza a svolgere il proprio ruolo, si è affermato che il magistrato, per sostenere l’infondatezza delle tesi sostenute dalla DDA, avrebbe fatto ricorso, con la tecnica del copia e incolla, al contenuto del blog di un Avvocato;
- tali informazioni sono state evidentemente veicolate dagli organi inquirenti nell’intento di innescare una campagna di delegittimazione del Giudice, resosi responsabile di non aver accolto le richieste formulate dalla DDA, a corredo del tempestivo annuncio che il provvedimento sarebbe stato impugnato davanti al Tribunale per il Riesame;
- la contestazione rivolta al Giudice si è successivamente rivelata non corrispondente al vero, posto che la parte di testo riportata nel provvedimento di rigetto riproduceva uno stralcio di una ordinanza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bari, del 25 maggio del 2019;
- l’attacco rivolto alla funzione del Giudice ha indotto il Presidente del Tribunale di Milano ad emettere un comunicato nel quale si è dovuto ribadire l’ovvio principio secondo il quale «il controllo del gip, lungi dal dover essere classificato come patologia, evidenzia il fondamentale principio dell’autonomia della valutazione giurisdizionale, in un sistema organizzativo e tabellare che impone il rispetto del principio del giudice naturale»;
osserva
che da oltre trent’anni si è venuta a creare nel nostro sistema una situazione di egemonia di fatto del Pubblico Ministero, protagonista assoluto della scena processuale, mediatica e politica, detentore della verità, unico a saper distinguere ciò che è lecito da ciò che è illecito, a saperne indicare i responsabili, ad avere il potere di contrastare il male, senza bisogno che vi sia alcun Giudice e alcun successivo giudizio a riconoscere la bontà del suo operato.
Si è così conseguentemente sviluppata una progressiva insofferenza verso gli altri soggetti della giurisdizione, la cui naturale ed ineliminabile funzione di controllo è ritenuta, nella migliore delle ipotesi, un inutile ostacolo che impone rallentamenti al naturale percorso della giustizia, a danno della sicurezza dei cittadini e dei superiori fini perseguiti dal Pubblico Ministero.
Se, dapprima, bersaglio di tale insofferenza è stato l’Avvocato, identificato con il proprio assistito e percepito come un difensore del reato, anziché come il garante dei diritti del cittadino sottoposto a procedimento penale, successivamente, come più volte paventato nelle analisi dell’UCPI, destinatario di questo stesso sentimento è divenuto il Giudice.
Ogni qualvolta quest’ultimo non si adegui alle richieste del Pubblico Ministero, esercitando le proprie fondamentali funzioni di controllo sostanziale e processuale, riconducendo la sua presunta verità ad una semplice ipotesi accusatoria, anche il Giudice accompagna l’Avvocato nell’ineluttabile destino di essere identificato come un inammissibile ostacolo alla “Giustizia”.
La funzione di giudicare, che è la più alta tra quelle che i consociati demandano allo Stato nel patto fondativo di ogni società civile, garantendo il corretto esercizio e l’esistenza stessa di tutti gli altri poteri, non può che essere esercitata in piena autonomia e con assoluta imparzialità, quali presupposti necessari affinché la decisione del Giudice sia percepita dai cittadini come autorevole e affidabile.
Tale autonomia è costantemente vulnerata dall’intervento egemonico del Pubblico Ministero dentro e fuori il processo, quale incontrastato promotore di iniziative giudiziarie capaci di mutare le sorti della politica, di decidere il destino delle persone e dei patrimoni, percepito al posto del Giudice come unico soggetto capace di soddisfare la domanda di giustizia.
L’attacco mediatico nei confronti del GIP di Milano, per aver posto in essere quel controllo che appartiene fisiologicamente alla propria funzione giurisdizionale, pone ancora una volta l’accento sulla necessità di una riforma costituzionale dell’Ordinamento Giurisdizionale che rafforzi la figura del Giudice, come attore principale della giurisdizione, garantendone la piena autonomia e indipendenza dal Pubblico Ministero, attraverso la creazione di due distinti Consigli Superiori della Magistratura.
Appare innegabile, infatti, che condividere la medesima collocazione ordinamentale, abitare la stessa “casa”, significa consentire all’abitante più forte di riverberare il proprio potere sugli altri, condizionandone l’autonomia, con indebite commistioni e improprie pressioni, veicolate anche attraverso la capacità di condizionamento dei meccanismi elettorali che presiedono alla elezione della componente togata del Consiglio Superiore della Magistratura.
Tanto premesso
- denuncia i tentativi di delegittimazione subiti dal Giudice per le indagini preliminari di Milano e manifesta la propria approvazione per l’autonomia e imparzialità dimostrata nell’esercizio di controllo e verifica delle richieste cautelari del P.M.;
- sottolinea l’esistenza di un pericoloso attacco all’autonomia della giurisdizione, portato sia dall’interno, che dall’esterno alla magistratura;
- ribadisce la necessità di una riforma costituzionale dell’Ordinamento Giurisdizionale che, attraverso la creazione di due distinti Consigli Superiori della Magistratura, rafforzi l’autonomia del Giudice, tutelandolo da condizionamenti interni.
Roma, 30 ottobre 2023
La Giunta