Deportati in India

Deportati in India

Le storie degli 80 mila prigionieri italiani catturati durante la Seconda Guerra mondiale in Africa dagli inglesi in due libri.

16/07/2024

Un grande ringraziamento ai miei nuovi follower! Sono felice di avervi tra noi! Loretta Boncompagni, Agapito Proscio

08/07/2024

PRIGIONIERI DI TUTTI E DIMENTICATI DALL'ITALIA
Nel corso della seconda guerra mondiale gli italiani finirono prigionieri di tutti i paesi in guerra, in tutte le regioni del mondo, in tutti i continenti, "divisi nelle grandi famiglie della cattività" come ha scritto - con una espressione molto suggestiva Nicola Labanca. Nell'agosto del 1943 Badoglio - pur di non far trapelare ai tedeschi nulla sulle trattative in corso con gli Alleati - considerò accettabile la perdita di mezzo milione di uomini. Sappiamo che furono in realtà 650.000 i soldati italiani presi prigionieri dai tedeschi dopo 1'8 settembre e trasferiti nei campi di concentramento in territorio germanico: dalla Polonia all'Olanda. Ma Badoglio non si preoccupò neanche degli altri 650.000 italiani in mano agli inglesi, francesi e americani. A fine luglio 1943 il generale Eisenhower fece trasmettere per radio un messaggio nel quale si assicurava che in cambio della libertà ai prigionieri alleati in mano italiana "le centinaia di migliaia di prigionieri italiani da noi catturati in Tunisia e in Sicilia ritorneranno alle innumerevoli famiglie italiane che li aspettano". Nulla di ufficiale al riguardo compare però nel testo dell'armistizio, mentre solo il 13 ottobre 1943 (lo stesso giorno della dichiarazione di guerra alla Germania) Badoglio si rivolse con un proclama agli italiani prigionieri.
il 6 aprile 1944 fu istituito l'Alto Commissariato per i prigionieri di guerra affidato al generale Pietro Gazzera, che era stato due anni prigioniero tra India e Stati Uniti e che si trovò ad operare in disaccordo con il governo. Finita la guerra alcuni governi aspettarono lo svolgimento del referendum prima di far rimpatriare i prigionieri e i reduci furono comunque prudentemente esclusi dal voto.
L’8 settembre trasformò anche i precedenti alleati in nemici; gli italiani rimasero prigionieri di tutti, su tutti i fronti, in una sorta di colossale girone infernale. I militari italiani sono stati alleati e nemici di tutte le potenze in campo e - di conseguenza - sono stati anche prigionieri di tutte le potenze. Dispersi in tutto il mondo, essi dovettero aspettare la fine della guerra perché si cercasse una soluzione organizzativa che permettesse il loro rimpatrio.
Mentre le esperienze di detenzione furono molteplici (nei diversi paesi, ma anche nei diversi campi), il momento del rimpatrio presentò curiose analogie. Nessun paese detentore mostrò una particolare solerzia nel liberare i militari prigionieri e predisporre il viaggio cii ritorno. Erano altre le urgenze e altre le priorità; mancavano i mezzi di trasporto. Continuò soprattutto a fare molto comodo poter contare su una forza lavoro a disposizione senza condizioni. Infine al rientro ci si scontrò con la difficoltà a comunicare la propria esperienza c con l'incomprensione degli altri per le vicende narrate.
Né l'armistizio breve, né l'armistizio lungo stabilirono clausole per il rimpatrio dei militari italiani prigionieri negli Stati Uniti. Quindi, "tutto era basato sulla buona volontà degli Alleati nel restituire i prigionieri, non avendo alcun diritto (l'Italia) di pretendere il rimpatrio. Per buona volontà si deve intendere interesse degli Alleati" . Fino alla metà del 1945, gli Americani restituirono infatti solo un numero limitatissimo di prigionieri invalidi, malati, anziani e alcuni tecnici utili per la ricostruzione del paese, cioè uomini che non intaccavano gli interessi economici americani, in quanto non avrebbero comunque potuto essere impiegati con le forza lavoro, ma che giovavano assai a migliorare l'immagine che il popolo italiano aveva degli Stati Uniti . La fine delle ostilità sul fronte europeo non accelerò il rimpatrio sollecitato dall'Alto Commissariato per i prigionieri di guerra. Gli americani infatti prevedevano che i prigionieri non potessero essere rimpatriati fino al maggio 1946, in quanto utili per sostenere un ulteriore sforzo bellico fino alla resa dci Giappone. La proposta di mantenere lo status di prigionieri di guerra nonostante la fine delle ostilità e di estendere la cooperazione alla guerra contro il Giappone non incontrò l'opposizione del governo italiano. Sebbene questo possa sembrare "un assurdo militare, morale e giuridico", come fu definito dallo stesso Gazzera, la positiva risposta italiana fu giustificata dai possibili vantaggi politici di cui l'Italia avrebbe goduto.
Dai dati relativi al rimpatrio si può notare che, sebbene fosse volere degli americani non avviare una riconsegna di massa dei prigionieri prima del 1946, le sorti della guerra e la capitolazione giapponese nel settembre 1945 portarono ad accelerare i piani previsti . Il rientro in Italia fu comunque condizionato dall'esigenza di smobilitare le armate americane in Europa, i cui soldati vittoriosi avevano ovviamente la precedenza, e dalla necessità di fornire un sostentamento alimentare alle popolazioni del vecchio continente ormai stremate da sei anni di guerra. I porti d'arrivo previsti per le navi messe a disposizione dal governo americano furono Napoli e Livorno. Il 30 giugno 1946 tutti i militari italiani prigionieri negli Stati Uniti avevano fatto ritorno in patria, esclusi 360 uomini che erano stati trattenuti oltreoceano per vari motivi. I militari italiani prigionieri degli inglesi che si trovavano in Africa Orientale, in India e soprattutto in Australia furono fra gli ultimi a tornare a casa per un problema di trasporti che dipendevano completamente dagli Alleati .
Il piano dei rimpatri pervenuto al Ministero degli Esteri prevedeva il diritto di precedenza per i prigionieri con "maggiore anzianità di prigionia" e dci "padri di famiglia con più figli", inoltre dovevano essere favoriti i prigionieri dislocati nei paesi più lontani secondo il seguente ordine: Australia, Sud Africa, Indie e Kenia, Medio Oriente, Inghilterra e Nord Africa e infine America. Invece gli eventi che seguirono capovolsero completamente quest'ordine di precedenza. Solamente nel gennaio del 1946 il programma effettivo dei rimpatri potè decollare, quando più della metà dei prigionieri provenienti dagli Stati Uniti e la totalità di quelli provenienti dal Nord Africa avevano fatto ritorno in patria. La maggior parte dei prigionieri italiani che si trovavano in Australia dovette aspettare la fine del 1946 e l'ultima nave giunse a Napoli nel febbraio dei 1947 ad un anno e mezzo dalla fine della guerra.
risultavano essere troppo diversi tra loro; divisi tra combattenti e prigionieri della guerra contro gli Alleati, partigiani, internati militari, deportati politici e razziali, non ultimi, coloro che avevano aderito alla repubblica di Salò o addirittura erano entrati a far parte dell'esercito tedesco. Affrontare seriamente e con determinazione tutte le proble1l1atiche legate al reinseri1l1ento c rispondere in maniera efficace alle rivendicazioni provenienti da più parti significava dare vita ad una complessa riflessione sul significato della partecipazione italiana al secondo conflitto mondiale, sulle modalità di tale intervento e sullo sfascio dell'8 settembre. Una strada, questa, che certo avrebbe portato molto lontano in un momento in cui lo scenario, anche internazionale, non favoriva e, di fatto, non rese possibile il compimento di tale percorso. Questa situazione finì per trascinarsi a lungo nel corso degli anni e alle ragioni sopra appena accennate si aggiunse anche quella, certo non secondaria, legata al dibattito ancora oggi assai vivace sulle ragioni dell'abbandono totale delle forze armate da parte delle autorità governative. Secondo Rochat i governi del dopoguerra decisero di accantonare il problema della prigionia perché ciò avrebbe comportato un riesame profondo delle cause della guerra fascista, ma anche del fascismo stesso.
Non si deve dimenticare inoltre che i reduci erano guardati con diffidenza anche per il loro lealismo monarchico. Il rientro di queste enormi masse preoccupava anche per le condizioni del mercato dci lavoro. I governanti non fecero nulla per accelerare il rimpatrio, contando sui tempi lunghi per riassorbire tanta mano d'opera e lasciando comunque all'assistenza privata, in gran parte fornita dalle organizzazioni cattoliche, il compito di sopperire alle carenze dell'assistenza pubblica. Il complesso problema del reinserimento dei prigionieri e dei reduci fu lasciato ai meccanismi della società civile, in pratica alle capacità dci singoli. Secondo alcuni il ritardo dei rimpatri aumentò gli ostacoli al reinserimento degli ex prigionieri nel mondo dci lavoro, specialmente nella situazione di forte disoccupazione che investì l'Italia nel biennio 1946-47.
Per i prigionieri, con il rimpatrio si chiudevano definitivamente i dolorosi anni della prigionia, ma si apriva un mondo sconosciuto che incuteva timore; la carenza di notizie aveva provocato in molti un senso di estraniamento e l'immagine dell'Italia che ognuno conservava non era più quella che si presentava al momento del rientro ). Chi ritornava temeva di essere considerato straniero. La sconfitta aveva cancellato tutto e si temeva il giudizio degli altri, di essere considerati soldati che avevano perso due volte, prima perché avevano perso la guerra poi perché erano stati fatti prigionieri. La prigionia non ha nulla di eroico né agli occhi di chi l'ha vissuta né di chi l'ha solo sentita raccontare, tanto che raramente le iconografie sul tema hanno riscosso un successo di pubblico paragonabile ai racconti di guerra dei reduci.
In realtà gli uomini che rientravano erano dei vinti, politicamente divisi dalle differenti esperienze maturate. Come poi dimostrarono i risultati molto modesti delle liste che si rifacevano formalmente al combattentismo, la preoccupazione della classe politica era più un motivo di polemica politica contro i nostalgici del fascismo che la manifestazione di un reale pericolo . La maggior parte dei reduci infatti preferì il disimpegno politico, in risposta forse all'indifferenza mostrata al loro ritorno e l'unico reale pericolo per la giovane repubblica poteva essere rappresentato da una deriva di tipo qualunquista, che venne però riassorbita rapidamente dal successo dei grandi partiti di massa. Certo è che la maturazione politica dei reduci avrebbe richiesto da parte dell'intera nazione un realistico esame di coscienza su quello che aveva rappresentato il fascismo prima della guerra e sulle responsabilità della guerra stessa. Si preferì invece assecondare - anche a livello collettivo - un processo di rimozione che era stato prima di tutto individuale. Negli anni successivi al rimpatrio, molti ex prigionieri furono colpiti da vere e proprie manifestazioni patologiche, legate alle carenze alimentari patite durante la prigionia, ma anche a fattori psichici. In un testo sull'argomento si legge che "nel quadro della regressione psichiatrica, la vita di un ex prigioniero può riassumersi come un conflitto tra quello che è diventato e quello che era prima. Tra la vita che conduce e quella che si aspettava quando fosse tornato ad una vita normale".
COMMISSIONE ITALIANA DI STORIA MILITARE: LE FORZE ARMATE E LA NAZIONE ITALIANA (1944-1989)

14/06/2024

Un grande ringraziamento ai miei nuovi follower! Sono felice di avervi tra noi! Tamara Bauco Fabrizio Pica, Giuseppe Di Lorenzo

25/05/2024

Un grande ringraziamento ai miei nuovi follower! Sono felice di avervi tra noi! Tildo Sacchini, Gianni Tomaello, Pasquale Mattaliano

22/05/2024

IL PRESIDENTE DELL'A.S. ROMA IN INDIA SI SALVA SPACCIANDOSI PER IL COGNATO
Incredibile la storia dell’ufficiale della “Folgore” Francesco Marini Dettina che trascorre la prigionia sotto “falso nome” e cioè con quello del cognato Francesco de Sanctis.
Il conte Francesco Marini Dettina, romano, è un tenente incaricato al grado superiore ed è il comandante la 26a Compagnia, vicecomandante IX Battaglione del 187° Reggimento Folgore. Viene fatto prigioniero dagli inglesi il 6 novembre 1942 nel corso della seconda battaglia di El Alamein che si svolge tra il 23 ottobre e il 4 novembre 1942. Gli ultimi a cedere ad El Alamein sono
i paracadutisti della Folgore. Abbarbicati al margine della depressione di El Qattara, hanno di fronte il 13° corpo d’armata che, secondo la versione inglese, ha l’ordine di impegnarsi solo per dare vita a un falso scopo, mentre in realtà deve combattere una delle più dure e logoranti battaglie locali di sfondamento
dell’intero fronte. Gli uomini della Folgore resistono eroicamente
per 13 giorni senza cedere di un metro. La loro missione, suicida, è di fermare i carri armati inglesi a mani n**e. Pochi giorni prima dell’inizio della battaglia, i paracadutisti italiani ricevono “l’arma segreta” ovvero bottiglie di birra vuote. Con quelle devono fabbricare rudimentali bombe molotov. I parà della Folgore, nascosti all’interno delle fosse devono attendere il passaggio dei tank nemici e colpirli alle spalle con le molotov. È questo lo scenario da incubo che vede i nostri battersi ad El Alamein.
Il caposaldo comandato da Marini Dettina (che gli vale la Medaglia d’Argento al valor militare) sostiene un urto tremendo, gli inglesi, però, non passano ed anzi finiscono, a decine, per essere fatti prigionieri.
«Scortavo - ricordava Marini Dettina - un Maggiore inglese, che giunto al nostro Caposaldo vide che eravamo in pochi ed esclamò rivolto ai suoi uomini: “Here are few men” (Qui ci sono pochi uomini). La frase mi mise molto in pensiero, lo guardai e gli spiegai in inglese: “Si, siamo pochi, ma le faccio presente che tutte le
armi sono puntate su di voi”».
Il reparto di Marini Dettina ricevuto l’ordine, ripiega per quattro giorni e quattro notti senza rifornimenti di acqua e viveri, continuamente cannoneggiati e mitragliati dagli aerei nemici. Alla fine, circondati, i soldati italiani presentano la forza al Colonnello Camosso, ritto su una camionetta, per poi arrendersi. Alla resa ricevono l’onore delle armi e il nome della loro divisione diventa da allora leggendario. Il tenente Marini Dettina dopo la cattura segue la sorte di tutti gli altri italiani, dapprima recluso in un campo inglese nei pressi di Alessandria d’Egitto e poi imbarcato e trasferito alla volta della colonia indiana.
Dopo un lungo periodo di completa assenza di notizie, il papà del tenente Francesco riceve una lettera firmata Francesco de Sanctis, cioè con il nome del cognato, classe 1913, ma chiaramente con la calligrafia del figlio. Francesco Marini Dettina infatti trascorre tutta la prigionia in India dissimulando la propria identità per sfuggire alla vendetta degli inglesi. Perché questo cambio di nome? Il tenente della Folgore aveva fatto fucilare in Nord Africa due spie
inglesi catturate con addosso la divisa italiana mentre posizionavano catarifrangenti sotto le ali dei nostri aerei, i quali erano specialmente sorvegliati a causa dei continui abbattimenti. Gli inglesi in Nord Africa si servono senza scrupoli di commandos camuffati con divise italiane e tedesche, i quali, con spietata ferocia, catturavano, interrogavano e fucilavano i nostri ignari soldati,
come accadde il 13 settembre 1942. Questi commandos inglesi travestiti “erano quelli esposti a rischi maggiori, in quanto, se catturati con uniformi e armamenti italo-tedeschi, sarebbero stati immediatamente fucilati”.
Superato con coraggio e patimenti il periodo di prigionia rientra in Italia l’11 aprile 1946. Dopo vari ricoveri presso l’Ospedale Militare di Roma e periodi di convalescenza, è collocato in congedo nel dicembre 1946. Laureato in Agraria, imprenditore, all’inizio degli Anni 60 si avvicina ai vertici dell’A.S. Roma. Viene eletto Presidente generale il 1 luglio 1962, ereditando, una situazione economica pesantissima, con un passivo di quasi un miliardo di lire.
Nonostante questo (e pagando di tasca propria), il nuovo presidente vara un generoso, poderoso, quanto sfortunato programma di rilancio della grande Roma. Dirigente moderno, ambizioso, è il primo, proprio al momento del suo insediamento, a teorizzare la volontà di costruire un centro tecnico che mettesse la Roma, dal punto di vista organizzativo, sullo stesso piano delle società del Nord. Simbolo dei grandi investimenti di Marini Dettina, è l’acquisto di Angelo Benedicto Sormani, il famoso Mister mezzo miliardo, ma il traguardo più ambizioso centrato sotto la sua gestione è la prima Coppa Italia dei giallorossi nel 1964. La finale vede di fronte il Torino di Nereo Rocco e appunto la Roma di Lorenzo. All’andata il Toro pareggia nella capitale 0-0 ma al ritorno a Torino, l’1 novembre del 64, con un gol di Nicolè a cinque
minuti dal termine i giallorossi centrano il bersaglio.
Marini Dettina scompare nel dicembre del 2011, avrebbe compiuto 95 anni il 1° gennaio 2012.
(da "Catturati in Africa, internati in India - Storie tra i reticolati" di Lucio Martino, Eidon Edizioni di Genova)
Marco Pini

11/05/2024

LA BRITISH INTELLIGENCE E LA FREE ITALIAN FORCE IN INDIA
Se i prigionieri fascisti in India non rinnegano il loro credo e restano non collaborazionisti anche dopo l’armistizio di Cassibile, dall’altra sponda, già dalle prime sconfitte in Africa, c’è chi inizia a dubitare di quella guerra e dello stesso Mussolini. Nella testa di diversi ufficiali italiani internati inizia a serpeggiare il malcontento anche se è molto difficile poterlo esternare liberamente. Gli Inglesi comprendono, molto prima dell’Armistizio, che quegli uomini disillusi possono essere utili alla loro causa convogliandoli,
con apposita propaganda, in una task force per indurre i commilitoni a schierarsi a fianco della British Army. Infatti il 19 luglio 1940, il primo ministro britannico Winston Churchill autorizza
la creazione dello Special Operations Executive o SOE (l’Esecutivo Operazioni Speciali). Esso, secondo le parole di Churchill, dovrebbe incendiare l’Europa col sabotaggio e la sovversione dietro le linee tedesche.
La vicenda del SOE fa parte della storia segreta della seconda guerra mondiale. Partendo da Londra, dal Cairo, da Algeri, e in un secondo tempo anche da Brindisi e Bari, agenti segreti particolarmente addestrati s’infiltrano in diversi paesi dell’Europa
e Africa lanciandosi con il paracadute, scendendo da piccoli aerei o sbarcando da sommergibili e motoscafi. Il loro compito consiste nel collaborare con la resistenza e i gruppi partigiani, nell’organizzare e addestrare volontari decisi a disturbare ovunque gli invasori nazisti,
nel distruggere strade, ferrovie e linee di telecomunicazione, nel distribuire armi, munizioni ed esplosivi che aerei britannici e americani paracadutano su campi segretamente approntati dai militanti della resistenza.
Dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, il generale “Big Bill” Donovan crea un organismo analogo, l’OSS (Office of Strategic Services, padre dell’attuale CIA), i cui agenti vengono addestrati da membri del SOE. Lo Special Operations Executive viene creato nel più assoluto segreto ed ha una precisa strategia offensiva. Tale strategia è basata sul convincimento, rivelatosi errato, che la sconfitta del nemico tedesco sarebbe potuta avvenire anche senza lo scontro diretto sul continente.
Così sin dallo scoppio della guerra, dapprima in Egitto (nel periodo agosto 1940-luglio 1941) e poi in India (dall’ottobre 1941 al luglio 1943), gli agenti dell’Intelligence britannica avviano diversi tentativi di propaganda tesi ad arruolare i prigionieri italiani per creare una Free Italian Force. La task force deve poi combattere a fianco degli alleati. I risultati raggiunti, benché non eclatanti vanno segnalati
per sottolineare lo spirito antifascista che animava diversi italiani reclusi nei campi spesso sotto il controllo delle camicie nere.
Gli agenti, appartenenti al SOE, Special Operations Executive, e al PWE, Political Warfare Executive sono agli ordini del colonnello Cudbert John M. Thornhill (in Egitto prima e in India poi) e del colonnello Ion Smeaton Munro. Quest’ultimo, a poche settimane dall’entrata in guerra dell’Italia, nel corso di una cena all’Ambasciata
britannica a Roma svoltasi a fine aprile del 1940, viene a sapere dal giornalista Luigi Barzini junior che gli italiani hanno decrittato il cifrario inglese per le comunicazioni riservate. Contatta immediatamente il Ministero dell’Informazione che annulla così il vantaggio tattico acquisito dagli italiani.
I tentativi di propaganda e reclutamento degli antifascisti avviati in Egitto dall’agosto 1940 al luglio 1941 vanno pressoché a vuoto malgrado il colonello Thornhill sia affiancato da alcuni intellettuali italiani come Paolo Vittorelli, Umberto Calosso ed Enzo Sereni. L’Intelligence di Sua Maestà decide allora di dirottare la sua politica in India alla fine del novembre 1941. Anche qui gli agenti inglesi sono al comando di Thornill che viene poi sostituito nel marzo del 1943 dal colonnello A. Johnston. Il numero scoraggiante di prigionieri antifascisti pronti a combattere per gli Alleati fa naufragare definitivamente la missione anche se va sottolineato che, dopo l’8 Settembre, un cospicuo gruppo di italiani reclusi ripudia il fascismo. In realtà i cooperatori sono in numero maggioritario ma non sono decisi ad arruolarsi mentre i non cooperatori restano un numero variabile tra il 30 e il 37 per cento. In sintesi la missione del PWE viene avviata in India
dal colonnello Thornhill, già ufficiale di collegamento in
Egitto del SO1 (settore dello Special Operation Executive,
SOE). In India si riesce, dopo mille difficoltà, a istituire
una unità antifascista mai impegnata in combattimenti,
ma che dopo l’Armistizio verrà impegnata in missioni civili.
L’unità antifascista, formata da ufficiali e soldati Pow
reclutati nei sei campi indiani, viene dislocata nel campo
di Jaipur, appositamente allestito nel gennaio 1943.
Il 24 maggio dello stesso anno l’unità viene battezzata il nome di Italia Redenta e Jaipur diventa ufficialmente il Depot Pioneer Corps
Italia Redenta che a fine 1943 annovera circa 900 uomini.
Con il colonnello Thornhill ci sono anche i maggiori Munro e F.C. Stevens che hanno compiti diversi. Munro si occupa di raccogliere il materiale della propaganda in India e in tutto il Medio Oriente da inviare a Londra alla BBC, deve inoltre pubblicare e diffondere il settimanale in lingua italiana Il Corriere del Campo e pubblicare
in lingua italiana anche il mensile The Bugle che diventa La Diana. Fa installare nei campi sparsi in India apparecchi radio e avvia
le trasmissioni in italiano della All India Radio. Avvia altresì
lezioni di English Basic tra i prigionieri. Soprattutto organizza
e compila il Gallup Poll, uno schedario contenente informazioni sui singoli prigionieri italiani reclusi in India e sui loro familiari.
Il piccolo campo n. 29 di Dehra Dun ospita solo generali. I generali in tutta l’India, all’arrivo di Munro e Stevens, sono cinquantacinque; fra di loro Pietro Gazzera, il generale con maggior prestigio tra quelli detenuti, e Annibale Bergonzoli, il mitico “Barba elettrica”. Tra il marzo e l’aprile 1942 gli ufficiali vengono trasferiti al campo
di Yol, alle pendici dell’Himalaya, circa 10.000 uomini con 3.000 soldati italiani al seguito, impiegati nei servizi del campo.
I britannici ritengono il generale Annibale Bergonzoli il più idoneo al ruolo di capo della Free Italian Force ma egli rifiuta più volte di aderire a possibili profferte britanniche. Internato a Yol viene poi trasferito negli Usa dapprima a Monticello, Arkansas, e poi a Hereford, Texas. Dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre
1943 con gli anglo-americani rifiuta qualsiasi forma di collaborazione, e per questo fatto è punito con l’internamento nel reparto psichiatrico dell’ospedale militare di Long Island, New
York, per circa due anni e mezzo, rientrando in Italia
nel marzo 1946.....
(da "Catturati in Africa, internati in India", di Lucio Martino, Edizioni Eidon)

08/05/2024

Un grande ringraziamento ai miei nuovi follower! Sono felice di avervi tra noi! Gian Carlo Noris, Roberto Carriero

11/04/2024

C'E' CHI HA UNA TOMBA SU CUI PIANGERE MA CAMILLO TIBALDI NO! LA STORIA DI UN GIOVANE DISPERSO NEL MIO TERZO LIBRO CHE STO SCRIVENDO
La storia è quella di un discendente del ramo fiorentino del marchese Victor Riqueti de Mirabeau, la vicenda penosa cioè di Camillo Tibaldi di Roma. Il giovane universitario di scienze politiche, partì volontario allo scoppio della seconda guerra mondiale arruolato nelle truppe coloniali in Africa ad appena 21 anni ed ebbe un drammatico, tragico destino nella prima, violenta controffensiva inglese, la Operazione Compass, contro le nostre truppe. Venne gravemente ferito durante uno dei tanti assalti contro i carri armati, e, soccorso e curato dagli inglesi, sparì nel deserto. Di lui pochissime notizie, tanto che fu dato per disperso , insignito della medaglia d’argento e della laurea ad honorem. Scomparve mentre veniva trasportato su una jeep inglese verso un ospedale più attrezzato di quello da campo dove ricevette i primi soccorsi. Una mina? un bombardamento da parte di "fuoco amico"? o nel tragitto morì e fu sepolto nella sabbia del deserto e la sua scorta non arrivò a destinazione perchè uccisa a posteriori? Domande ancora senza risposta e "Camillino" - come lo chiamava affettuosamente il suo vicino di casa l'attore Aldo Fabrizi - non può ricevere un fiore sulla sua tomba! Certamente, se fosse giunto in ospedale e curato, avrebbe fatto la fine di tanti suoi commilitoni e cioè deportato in India o Australia o altrove. Ne parlerò in un capitolo nel mio terzo libro che sto scrivendo dal titolo "Catturati in Africa, internati in India e Australia". Un particolare ringraziamento all'amico e collega giornalista Rai Stefano Menghini che mi ha documentato su questa vicenda commovente. Onore a Tibaldi e ai giovani scomparsi in guerra e che non vanno dimenticati!
Nella foto: L'ufficiale romano Camillo Tibaldi
Marco Pini

10/04/2024

Entro fine anno il mio terzo libro dal titolo "Catturati in Africa, deportati in India e Australia"!

06/04/2024

Un grande ringraziamento ai miei nuovi follower! Sono felice di avervi tra noi! Roberto Iorio, Stefano Patriarca, Fabio Pregnolato

07/03/2024

CARI AMICI ASCOLANI VI ASPETTO !

05/01/2024

ANCHE QUI CI SONO I MALVIVENTI !!!!!
ARRIVANO RICHIESTE DI AMICIZIA DA PARTE MIA MA NON SONO IO:
FAKE o HACKER

05/01/2024

ATTENZIONE !!!!!
ARRIVANO RICHIESTE DI AMICIZIA DA PARTE MIA MA NON SONO IO:
FAKE o HACKER

11/12/2023

IN MOLTO MI SCRIVETE DA TUTTA ITALIA DOVE TROVARE IL MIO NUOVO LIBRO: SARA' DISTRIBUITO NELLE LIBRERIE ITALIANE A FINE SETTIMANA MA SARA' POSSIBILE ORDINARLO AL LINK SOTTOSTANTE https://www.eidonedizioni.it/products/copia-del-lucio-martino-catturati-in-africa-internati-in-india-storie-tra-i-reticolati-le-vicende-dei-prigionieri-delle-marche-e-di-tanti-altri?_pos=7&_sid=72de65170&_ss=r

08/12/2023

TANTI ANCONETANI FINISCONO IN INDIA E HO CERCATO DI RECUPERARE LE L=RO STORIE

Dopo il successo del primo volume di Catturati in Africa, internati in India che gli è valso il diploma d’onore al Premio letterario di Firenze - che avrebbe dovuto ritirare proprio il 16 dicembre nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio - Lucio Martino presenta in anteprima nella sua città il secondo volume della stessa serie.
Come un grande puzzle l'autore, giornalista di lungo corso, continua a ricomporre in questo secondo volume le alterne vicende di decine di migliaia di soldati italiani catturati in Africa dagli inglesi nel secondo conflitto. Ricostruisce, per quanto possibile, le loro sofferenze e i sacrifici che hanno sopportato tra i reticolati. Naturalmente in primo piano anche le storie degli anconetani. Dopo quelle di CamilloMilesi Ferreti, Elios Toschi, Gino Salvarani, Glauco Luchetti Gentiloni, Giovanni Bosdari, il giornalista ha pescato altre storie di prigionieri dorici come quelle di Antonio Blasi, Alfredo Romagnoli, Alfredo Morea, Lido Saltamartini e altri. Mette in risalto la loro capacità di affrontare i cinque/sei anni di detenzione: chi si inventa un lavoro, chi cerca di fuggire nei modi più disparati, altri ancora che si dedicano allo studio o allo sport... Centinaia di ragazzi non sono mai più tornati dai campi di prigionia in India, Ceylon, Australia e l'autore ricorda uno ad uno i 553 soldati italiani sepolti nei cimiteri militari inglesi.
La capacità di soffrire e di sopportare è stato il valore che ha accomunato tutti: sia i caduti -il cui sacrificio estremo ha un alto valore morale - e i sopravvissuti che hanno nobilitato la loro esistenza dando un senso alla vita.

08/12/2023

VI ASPETTO SE VI PIACE UN PO' DI STORIA

27/09/2023

TANTE LE STORIE E LE VICISSITUDINI DEI SOLDATI ITALIANI PRIGIONIERI DEGLI INGLESI IN INDIA.
Ogni storia, vissuta con coraggio e dignità da migliaia di giovani soldati italiani catturati dagli inglesi in Africa, viene raccontata nel secondo libro di prossima uscita "Catturati in Africa, internati in India- Storie tra i reticolati". Si parla di Lido Saltamartini, Enrico De Gennaro, Armando Gori, Antonio Blasi, Enzo Benedetto, Alfredo Morea, Francesco Marini Dettina, Antonio D'Atri, Alfredo Romagnoli, Vittorio Pighi, Francesco Martusciello, Giovanni Agnes, Nicola Santecchia, Luigi Macioce, Amedeo Soncini, Domenico Raspini, Giuseppe Tentella, Vito Viti, Aurelio Pesetti, Francesco Silvetti, Umberto Priolo, Tommaso Romanelli, Rosalbino Minardi, Luca A. Agnoletto, Bruno Bedoni, Umberto Aprili Cutini, Renato Ingrami, Umberto Tazzer, Cesare Sottocorno, Teodosio Muzi, Giosino Fino, Domenico Iaquinta, Rino Biancani e tanti altri.

27/09/2023

Finalmente il volume secondo di "Catturati in Africa, internati in India" è in mano all'editore: manoscritto di 254 pagine + un centinaio di foto! Vi terrò informati come procede!

04/04/2023

ARRIVA PER L'ESTATE "CATTURATI IN AFRICA, INTERNATI IN INDIA: STORIE TRA I RETICOLATI"
VOL. II

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