Fabio Porru, MD

Fabio Porru, MD

Ricercatore scientifico al Dipartimento di Sanità Pubblica dell'Erasmus Medical Center di Rotterdam

11/11/2023

Last week I started my period as Visiting Researcher at Università Cattolica del Sacro Cuore. I will be working here on behalf of the Department of Epidemiology of the Erasmus MC for the next five months.

The first day was just great. I met a group of colleagues on their first week of public health residency and gave a small lecture on introduction to research. It was wonderful to see how curious and critical they are.

Photos from Erasmus MC's post 30/09/2023
Wij lopen kanker kansloos 31/05/2023

Together with a group of colleagues from Health Sciences of the Erasmus MC, we have created a team (the Fast and Curious) and we are joining The Run4Daniel organized by the Erasmus MC Foundation and the Daniel den Hoed Fonds as part of the "Make Cancer Chanceless" campaign. The event will be on the 16th of June. You can read more information here.

The goal of the event is raising money for scientific research at the Cancer
Institute of the Erasmus MC. In case you would like to have a walk or a run
with us, you can join us for the 5 or 10 km walk/run. You find more
details about the different options here: https://lnkd.in/d5csfKqq. You
can also support the campaign with a donation at this
page: https://lnkd.in/dXTANgP4

Wij lopen kanker kansloos We are a group of friends and colleagues from the Health Sciences departments of the Erasmus MC. On Friday, June 16, 2023 we are joining The Run4Daniel organized by the Erasmus MC Foundation - Daniel den Hoed Fund as part of the Make Cancer Chanceless...

26/05/2023

Oggi sarò all' Alma Mater Studiorum - Università di Bologna a parlare di salute mentale all'università! L’incontro è aperto a tuttə.

Grazie al Gruppo Prometeo per avermi invitato a partecipare ad una delle loro tante iniziative sul tema della salute mentale.

🔥 SALUTE MENTALE: UN SISTEMA INGOMBRANTE 🔥

"La società della prestazione nel mondo accademico e della formazione"

💬 In questo ultimo mese, come Gruppo Prometeo abbiamo organizzato alcuni momenti di formazione e discussione collettiva riguardo al macrotema della salute mentale.
Abbiamo raccontato la costruzione della legge 180/78 e l'impatto che questa ha avuto nel costruire un nuovo modello di psichiatria, analizzato i limiti del nostro modello sanitario e dei servizi presenti sul territorio, sottolineando quelli che sono gli impatti di un modello psichiatrico biomedico che segue una logica individualistica del concetto di cura e i risvolti in termini di salute mentale per persone appartenenti alla comunità LGBTQIAP+.

🌧 Purtroppo a causa dell'emergenza climatica abbiamo dovuto rimandare la discussione su salute mentale in carcere, ma la riproporremo presto insieme a nuovi spunti.

‼️ Per concludere questo ciclo di incontri, vi invitiamo VENERDÌ 26 MAGGIO ORE 18 in PIAZZA SCARAVILLI, AULA 21, per parlare insieme di cosa voglia dire viversi il contesto accademico nella società della prestazione e le sue ricadute sulla salute mentale della comunità studentesca.

Abbiamo scelto di organizzare questo incontro nel cuore della zona universitaria per coinvolgere la comunità tutta.

In dialogo con noi, ci saranno

🔺 Giuliano Tomei, dottorando in psicologia clinica appartenente ad ADI (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani)

🔺 Fabio Porru, MD ricercatore presso il Dipartimento di Sanità Pubblica dell'Erasmus MC di Rotterdam

🔺 Federico Chicchi, professore di Sociologia dei processi economici e del lavoro UNIBO

Vi aspettiamo!

Gruppo Prometeo 🔥🔥

08/05/2023

La scorsa settimana, insieme a Lex Burdorf, ho avuto il piacere di condividere quello che ho imparato e il frutto del mio lavoro di dottorato sulla salute mentale in chi studia all'università in una lezione per l'Honours Class at the Erasmus University College (EUC).

Sono rimasto senza parole (o almeno "senza parole" per i miei standard) davanti alla meravigliosa curiosità e all'approccio critico di questa classe. Quando prepariamo una lezione, proviamo sempre ad avere qualche slide con effetto "colpo di scena" per tenere la classe sveglia e partecipe. Beh, con loro non solo non serviva, ma sembrava persino impossibile, dal momento che hanno anticipato quasi sempre i contenuti con domande miratissime.

È stata una figata! Mi ha fatto ve**re ancora più voglia di insegnare. Bellissimo.

25/04/2023

MANCANZE DI RISPETTO A UNIBA

Negli ultimi giorni la Repubblica ha pubblicato alcuni articoli sulle mancanze di rispetto tra le mura dell' Università degli Studi di Bari Aldo Moro.

"Bocciata venti volte all'esame con la prof che ci insultava: ho avuto la forza di non togliermi la vita ma ora è giusto tutelare gli studenti"
Offese agli studenti ed esami killer all'Università di Bari, il Garante: "Segnalate a me, rispondo a tutti"

A questi rispondo con un dato e un passaggio da un mio articolo realizzato proprio su un campione della popolazione studentesca di UniBa.

"Nel nostro campione, quasi una persona su tre non si è sentita trattata con rispetto da esponenti del corpo docente. Studi precedenti mostrano che le mancanze di rispetto da parte di corpo docente e staff unviersitario (es. insegnare tramite l'umiliazione) sono comuni e associate con uno stato di salute peggiore e un ridotto senso di appartenenza (Barrett and Scott, 2018; Levett-Jones et al., 2009). Invece, sentirsi trattat con rispetto aumenta la ricompensa percepita da chi studia, la quale bilancia l'elevato sforzo accademico, limitandone gli effetti avversi sulla salute di chi studia (Porru et al., 2021; Wege et al., 2017). Combattere le mancanze di rispetto e promuovere una buona relazione tra chi studia e chi insegna può contribuire a ridurre lo stress legato all'università ed ad aumentare il coinvolgimento di chi studia per la propria carriera, mettendo ogni studente e ogni studentessa nelle condizioni di interfacciarsi al proprio carico di lavoro mantenendo un buono stato di salute ed un miglior rendimento (Slavin and Smith, 2019)."

Però le persone ignoranti e che non ascoltano la scienza sono solo i no-vax. Continuo a ripeterlo: se le ragioni etiche e di civiltà non sono sufficienti, lo si faccia per seguire quel che suggerisce la ricerca. Se anche questa possibilità non sarà perseguita, allora benvenga la terza opzione, che è quella legale.

Fonte:
Porru, Schuring, Bültmann et al., 2022, Associations of university student life challenges with mental health and self-rated health: A longitudinal study with 6 months follow-up, Journal of Affective Disorders:
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0165032721010168

What does a scientist look like? Children are drawing women more than ever before 12/02/2023

What does a scientist look like? Children are drawing women more than ever before Study is based on 20,860 sketches drawn by children over 5 decades

Le lunghe liste di attesa negli ospedali, spiegate - Il Post 02/02/2023

Le lunghe liste di attesa negli ospedali, spiegate - Il Post Come mai bisogna aspettare mesi per fare una visita specialistica o un esame e quali sono le possibili soluzioni

HESI-ITA.pdf 13/12/2022

HIGHER EDUCATION STRESS INVENTORY

Una delle domande da porsi davanti ai risultati di ogni studio scientifico è "come lo hanno misurato?".
Davanti ad una notizia, la nostra curiosità è più spesso attirata dall'eccitazione dei risultati che non dalla noia dei metodi. Ma per affermare che esiste una associazione tra due variabili, quelle variabili devono essere misurate in maniera attendibile. Per misurare in maniera attendibile, è fondamentale avere uno strumento di misurazione la cui validità sia stata verificata e provata. Questi strumenti non piovono dal cielo.

Buona parte del mio lavoro sulla salute mentale in chi studia all'università è stato dedicato alla preparazione di strumenti per la misurazione di costrutti come lo stress studio-correlato e il burnout specifici per il contesto studentesco italiano. Quanto l'ambito fosse poco considerato è chiaro anche da questo: quando ho iniziato a fare ricerca in questo ambito, nel 2016, non esistevano scale specifiche per il contesto studentesco italiano. Nel corso degli anni, abbiamo validato diverse scale, e con una sola eccezione, sono disponibili gratuitamente per chiunque voglia utilizzarle per il proprio lavoro (tesi incluse). Le trovate sulla mia pagina ( https://employees.publichealthrotterdam.com/profile/fabio-porru/) sotto la voce Output>Instruments and tools.

Dirlo fa tanto Big Bang Theory, ma la preparazione dei questionari mi ha sempre entusiasmato tantissimo. È un poco come il fantacalcio con i dati che poi avrei avuto disponibili per gli studi successivi. Una delle prime scale ad entusiasmarmi fu la Higher Education Stress Inventory (HESI) sviluppata da Maria Dahlin del Karolinska Insitutet di Stoccolma, uno dei posti che ho avuto il piacere di visitare durante gli studi, mia meta dei sogni prima di imbattermi in Rotterdam. La HESI permetteva di studiare diversi fattori, accademici e non, che hanno il potenziale di generare stress in chi studia. Tra questi sono inclusi aspetti come le mancanze di rispetto da parte di docenti, la pressione finanziaria, le carenze organizzative dell'università, che consideravo importanti per la salute mentale di chi studia, senza avere dati a supporto. Per trovare e permettere ad altri gruppi di studiare questi aspetti, abbiamo validato la HESI anche in italiano, e la trovate qui:
https://drive.google.com/file/d/1w33Jp365rKx_cj0ZQshZRn90H8AWxX_p/view?usp=share_link

HESI-ITA.pdf

06/12/2022

CHI INSEGNA DEVE INSEGNARE, NON UMILIARE.

[Oggi sulla prima pagina de L'Unione Sarda trovate un mio intervento sull'utilizzo dell'umiliazione come modalita/strumento di insegnamento, in riferimento alle parole del ministro Valditara. Visto che il formato di pubblicazione non lo rende facilmente condivisibile con una foto, lo riporto qui sotto.]

Mi occupo di disturbi mentali in chi studia all’università, dei fattori che ne facilitano l’insorgenza, e delle loro conseguenze. Avendo lavorato su questo tema prima da studente in medicina e chirurgia all’Università di Cagliari, poi da ricercatore all’Erasmus MC di Rotterdam, ho letto con disappunto e fastidio le parole del Min. Valditara sull’uso dell’umiliazione con fine educativo, che vanno contro ogni evidenza scientifica ma offrono l’occasione per discutere su questo tema.

Ricordo quando ad un esame un docente vomitò con rabbia ad un collega le parole: “Tu ucciderai le persone”. Una risposta sbagliata, per quanto sbagliata, non giustifica l’umiliazione o il terrorismo psicologico. Giustifica un voto basso, una bocciatura. Ma tutto questo può e deve esser fatto con rispetto. Insegnante significa “che insegna”, e chi insegna deve insegnare, non umiliare.

Alcuni docenti confondono la mancanza di preparazione ad un esame o perfino a lezione con l’autorizzazione alla derisione. Nei corsi di laurea sanitari capita che questi comportamenti siano giustificati dalle responsabilità della futura professione. Proprio in vista delle future responsabilità, chi studia deve acquisire la migliore preparazione possibile e chi insegna deve accompagnare e guidare questo percorso. Diversi studi sulle facoltà di medicina mostrano che l’utilizzo dell’umiliazione per insegnare, suggerito dal ministro, è pratica comune. Mancanze di rispetto e terrorismo psicologico non solo non sono utili, ma generano distress psicologico che, a differenza dell’eustress (lo stress che ci aiuta a rendere di più), ha ripercussioni negative sulla performance e sulla salute. La scienza è chiarissima: essere sanə è fondamentale per la performance. Inoltre, la paura dell’umiliazione riduce la collaborazione e la condivisione di dubbi e idee, utili per l’intera classe. Chi insegna è una risorsa per chi studia ma spesso è percepito come una minaccia.

La ricerca ci dice che accendere la passione di chi studia è una strategia migliore. Se ci piace fare qualcosa, la facciamo meglio. Facendo qualcosa che ci piace in un modo che ci piace, aumenta la motivazione e migliorano qualità di vita e salute, ingredienti fondamentali per portare avanti i nostri studi e il nostro lavoro nel modo migliore. L’Università è per antonomasia il centro dell’innovazione e della scienza, ma proprio dove dovrebbe sentirsi a casa, la scienza è spesso ignorata.

I vari “è il rischio del mestiere”, “bisogna saper reggere la pressione” o “è selezione naturale” sono discorsi tipici di chi non attribuisce alla salute mentale la stessa dignità di quella fisica. Nessuno si sognerebbe di fare questi discorsi per rischi professionali per la salute fisica. Per altro, non è sempre possibile eliminare ogni “rischio del mestiere” ma è nostro compito rimuovere quelli che possiamo rimuovere e minimizzare gli altri. Le mancanze di rispetto rientrano tra questi.

Tutto il discorso vale ovviamente per ogni disciplina e livello accademico. Riguarda anche le tante persone che siedono poco sopra nella scala gerarchica, come quelle impegnate con scuole di specializzazione e contratti di ricerca. L’Università italiana ha una struttura gerarchica molto verticale. Il problema è che, oltre a ruolo e responsabilità, in base alla posizione gerarchica si gode di diversa dignità: chi sta in basso ha diritto a meno dignità di chi sta in alto. Si subisce e si deve subire da chi sta più alto e, nell’immediato o in seguito, si scarica su chi sta in basso, portando ad un mantenimento intergenerazionale di queste dinamiche. Sebbene ogni mancanza di rispetto vada condannata e perseguita, è più lecito aspettarsi maggiore professionalità da chi insegna che non da chi studia, e chi ha un ruolo istituzionale spesso fallisce nel rappresentare il modello di competenza e di professionalità che dovrebbe veicolare.

Gli Atenei devono impegnarsi a promuovere il rispetto come valore fondante del sistema accademico per ogni livello e direzione e a garantire gli strumenti per la segnalazione di comportamenti incongrui, seguite da verifiche ed eventuali provvedimenti disciplinari congrui. Centinaia di studi dipingono uno scenario d’emergenza circa la salute mentale di chi studia all’università. E se non basta un’ampia letteratura scientifica, c’è la cronaca dei tanti suicidi tentati e di quelli portati a termine. Quando un problema assume dimensioni simili, non si può attribuire la responsabilità all’individuo: il problema è del sistema.

30/09/2022

Ho letto l'ennesimo articolo che pretende di spiegare il concetto di neurodiversità mostrando chiaramente quanto non sia stato minimamente compreso il significato di tale definizione, che viene come al solito confusa con quella di neurodivergenza, e privata della forza politica e identitaria attribuitale fin dal primo momento dalla sociologia Australiana Judy Singer.

E allora, visto che sembra così difficile reperire informazioni corrette sulla neurodiversità, vi metto qui un capitolo della nuova edizione di Eccentrico in cui lo spiego in modo chiaro, semplice e documentato, sperando che possa essere utile.

Il paradigma della neurodiversità
(Da: Eccentrico, l’autismo in un saggio autobiografico, ed. effequ)

La scienza medica può aiutarci a comprendere il perché di alcune delle caratteristiche che contraddistinguono le persone autistiche, e sicuramente quello medico è un punto di vista fondamentale, ma non è l’unico. È interessante notare come negli ultimi anni anche studiosi di fama mondiale nel campo dell’autismo come Simon Baron-Cohen[1], abbiano cominciato a spostare il discorso sull’autismo fuori da un modello prettamente medico.

Questo perché, se rimaniamo legati a doppio filo a una visione esclusivamente medica dell’autismo, non riusciremo a cogliere tutti quegli aspetti che rendono problematica la vita delle persone autistiche non in quanto difettose, ma nel momento in cui interagiscono con una società neurotipica. In questo senso, lo stesso Baron-Cohen suggerisce di abbandonare la dicitura di “disturbo” poiché “quando esaminiamo la cognizione e la biologia dell'autismo, verosimilmente ciò che vediamo non è la prova di un disturbo ma piuttosto la prova di una differenza”[2]. Secondo lo studioso britannico, invece di parlare di malattia o disturbo potrebbe essere più utile utilizzare il paradigma della disabilità perché “il linguaggio della disabilità è molto diverso dal linguaggio del disturbo. La disabilità richiede il supporto della società, l'accettazione della differenza e della diversità e un "ragionevole adattamento" della società, mentre il disturbo è generalmente considerato come bisognoso di una cura o un trattamento. Questi sono quadri molto diversi.
Il concetto relativamente nuovo di neurodiversità può essere prezioso per risolvere questo problema”.[3]

L’idea di neurodiversità, sviluppata a partire da quello che viene definito il modello sociale della disabilità, ci permette infatti di considerare l’autismo non solo in base alle possibili (perché ancora non chiare) cause biologiche e genetiche, ma di focalizzare l’attenzione sul punto cruciale, sul momento nel quale le caratteristiche dell’autismo possono diventare problematiche, e cioè nel momento dell’interazione con un gruppo che condivide caratteristiche sociali, culturali e comunicative differenti.

Ma cosa s’intende per neurodiversità? C’è molta confusione intorno a questa definizione. Molte persone, comprensibilmente, si lasciano ingannare dai due termini che creano questo sostantivo: “neuro” e “diversità”, e pensano che la neurodiversità sia sinonimo di un qualche disturbo neurologico o di una specifica differenza come l’autismo o l’ADHD.

In realtà quello di neurodiversità è uno di quei concetti utili che ci aiutano ad allargare la nostra visuale sul mondo. Per comprendere bene cosa significhi, dobbiamo partire dal concetto su cui essa si basa, la diversità, che non va interpretata come termine comparativo, non significa cioè diversa o diverso dalla norma, anormale, ma va intesa come sinonimo di variabilità, di varietà.

Da questa idea di variabilità è nata una definizione come quella di biodiversità, che l’articolo 2, § 6 della Convenzione sulla Diversità Biologica delle Nazioni Unite definisce “variabilità tra gli organismi viventi di ogni origine compresi, tra l’altro, gli ecosistemi terrestri, marini ed acquatici e i complessi ecologici di cui sono parte; questo comprende la diversità in una stessa specie, tra le specie e quella degli ecosistemi”[4]. E in quest’ottica va quindi letta la parola neurodiversità, come omologo neurologico di biodiversità. La neurodiversità umana è quindi la variabilità tra i sistemi nervosi di ogni essere umano, l’insieme delle differenti caratteristiche che costituiscono la neurologia di ciascuna persona sulla terra.

Questa idea rivoluzionaria e liberatoria, dal forte potere politico e identitario, fu coniata nel 1998 dalla sociologa e attivista autistica Judy Singer, e da allora è stata oggetto di fraintendimenti e interpretazioni anche lontane da quello che la sua creatrice voleva intendere[5].

All’interno di questa enorme variabilità che contraddistingue i nostri cervelli, nella neurodiversità che accomuna tutte e tutti, esistono però determinate caratteristiche che sembrano presentarsi con una maggiore frequenza in alcune persone. Per la maggioranza della popolazione (circa l’80%) parliamo allora di sviluppo neurologico tipico, ferme restando le inevitabili e naturali differenze tra un individuo e l’altro, anche in questa generalizzazione. Con Neurotipica, o neurotipico, intendiamo quindi la maggioranza, coloro che in una serie di caratteristiche hanno seguito uno sviluppo neurologico simile. Questo risulta in un modo abbastanza omogeneo di percepire gli stimoli interni ed esterni, di elaborarli e quindi in una certa uniformità (sempre generalizzando) nel modo di relazionarsi a se stessi e all’ambiente.

Il restante 20%, più o meno, rappresenta le cosiddette neurodivergenze o neuroatipicità, ed è composto da quelle persone che, per un motivo o per un altro, hanno seguito uno sviluppo neurologico più o meno differente rispetto alla media: il loro sistema nervoso, in alcune aree e in maniere differenti da individuo a individuo, si è organizzato in modo appunto atipico. In questa ideale categoria si fanno rientrare le persone autistiche, ADHD, dislessiche, disprassiche, tourettiche, discalculiche, disgrafiche ecc.

È un concetto importantissimo, quello di neurodiversità, perché ci allontana da una narrazione che vede alcune caratteristiche neurologiche come necessariamente problematiche o intrinsecamente deficitarie, spostando l’attenzione invece sulle differenze. Solo da qui può partire un discorso paritario e reciproco. Differente infatti non vuol dire inferiore o difettoso ma, appunto, semplicemente differente. Cosa che, tra l’altro, non mette in discussione le difficoltà che alcune di queste differenze possono causare.

Pensando in termini di neurodiversità cominciamo però a mettere al centro della questione la società, che deve assumersi le proprie responsabilità nella creazione e nel mantenimento delle barriere che inevitabilmente crea sul cammino di chi viene percepito come differente. È lo slittamento da una visione che ha sempre cercato esclusivamente di “riparare” la persona autistica, a una che invece prova a rendere consapevole la società intera delle differenti possibilità attraverso le quali può esprimersi l’organizzazione neurologica dell’essere umano.

Parlare di neurodiversità non è un capriccio, e in generale non lo è parlare di diversità, di variabilità, cercare di guardare alle differenze individuali come caratteristiche e non paragonarle a un illusorio Ideale di normalità che impone come contropartita il concetto di anormalità, di indesiderabilità, di difetto. Non è un capriccio, pensare in termini di neurodiversità perché permette di andare oltre l’idea di deficit, permette di guardare alle potenzialità di ciascuna persona qualsiasi esse siano, consente di avvicinarsi in modo costruttivo anche alle caratteristiche più problematiche che alcune persone posseggono, cercando soluzioni che partano dal punto di vista e dalle necessità di ciascun individuo, e non dalle aspettative che nutriamo verso di loro.

Pensare in termini di differenze, anche da un punto di vista neurologico, ci permette di assicurare pari dignità ai diversi funzionamenti, alle varie espressioni della diversità umana, e questo senza necessariamente dover minimizzare le difficoltà ma anzi inquadrandole nel giusto contesto, non stigmatizzandole ma comprendendole.

NOTE:
[1] Simon Baron-Cohen è professore nei Dipartimenti di Psicologia e Psichiatria dell'Università di Cambridge e Fellow al Trinity College di Cambridge. È Direttore dell'Autism Research Center di Cambridge.
[2] Baron-Cohen, S. (2017). Editorial Perspective: Neurodiversity - a revolutionary concept for autism and psychiatry. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 58(6), 744–747. doi:10.1111/jcpp.12703
[3] ibid.
[4] Convenzione sulla Diversità Biologica delle Nazioni Unite (CBD, art. 2, § 6)
[5] La definizione della stessa Judy Singer è consultabile sul suo blog: Singer, J. What is neurodivesity? in «Neurodiversity 2.0», www.neurodiversity2.blogspot.com/p/what.html
Per chi preferisce la lettura in italiano, consiglio la traduzione di questo articolo disponibile qui: https://neuropeculiar.com/2020/03/14/che-cose-la-neurodiversita/
-----
Se ti interessa quello che scrivo, metti un LIKE a questa pagina e segui il mio blog: fabrizioacanfora.eu
-----

Timeline photos 18/08/2022

Il nostro progetto procede!

Iedereen wil een kansrijke start voor hun kind. De afdeling Kinder- Jeugdpsychiatrie/psychologie wilt samen met ouders van jonge kinderen onderzoeken wat kan helpen bij het eerder opsporen van kwetsbare situaties rondom de zorg van je kind. Ook onderzoeken zij wat voor hulp de situaties beter maken.

Een manier om moeilijke situaties bij kinderen, ouders of zorgverleners te ontdekken is door gebruik te maken van registratie gegevens/data die verzameld zijn door verschillende organisaties bij grote groepen mensen. Denk bijvoorbeeld aan het consultatiebureau die gegevens verzamelt over de groei en ontwikkeling van je kind.

Ben jij ouder van jonge kinderen en wil jij meedenken over hoe we situaties die de gezonde ontwikkeling moeilijk maken beter kunnen ontdekken, en kijken hoe dit verbeterd kan worden? Meld je aan bij Dr. Lisan Hidding door een mail te sturen naar [email protected].

Het gaat om twee online groepsgesprekken van ongeveer 90 min. Je ontvangt een bedankje in de vorm van een cadeaukaart.
Heb je vragen? Neem contact op met Dr. Lisan Hidding.

13/08/2022

♥️

Cari amici, mi spiace non essere più con voi dopo 70 anni assieme. Ma anche la natura ha i suoi ritmi. Sono stati anni per me molto stimolanti che mi hanno portato a conoscere il mondo e la natura umana.
Soprattutto ho avuto la fortuna di conoscere gente che mi ha aiutato a realizzare quello che ogni uomo vorrebbe scoprire. Grazie alla scienza e a un metodo che permette di affrontare i problemi in modo razionale ma al tempo stesso umano.
Malgrado una lunga malattia sono riuscito a portare a termine tutte le mie trasmissioni e i miei progetti (persino una piccola soddisfazione: un disco di jazz al pianoforte…). Ma anche, sedici puntate dedicate alla scuola sui problemi dell’ambiente e dell’energia.
È stata un’avventura straordinaria, vissuta intensamente e resa possibile grazie alla collaborazione di un grande gruppo di autori, collaboratori, tecnici e scienziati.
A mia volta, ho cercato di raccontare quello che ho imparato.
Carissimi tutti, penso di aver fatto la mia parte. Cercate di fare anche voi la vostra per questo nostro difficile Paese.
Un grande abbraccio
Piero Angela

18/07/2022

Dear candidates from the Erasmus MC, this is for you! Help our colleagues from Promeras with their project, so that Promeras may try to help you. And if you don't, follow their page so that you can get posted about their projects and event. There will be more also about mental health, so keep in touch!

PhD students, we need your help! ⏱ Are you working too many hours? After a meeting between AAV and Promeras, concerns were raised about overwork. To get insight into the extend of this issue, we’d like to monitor the exact hours that PhD students work and on which tasks they spend their valuable time 🥸. If you’d like to help us by documenting this for 2 consecutive weeks, please email us via 📩[email protected] or 📩 [email protected], subject: “Registration working hours”. And we promise: we will process the data fully anonymously. We and others thank you! 🤩

Photos from Factanza's post 15/07/2022
24/06/2022

Enlightening presentation by Prof. Hanneke Takkenberg at the symposium organized by .

She discussed two levels of s*x and gender inequalities in research: outcomes from clinical studies and academic career opportunities.

These two aspects are strongly related. If science stays in the hand of a non-diverse leadership, research questions will keep reflecting this lack of diversity.

You can read more about this also in the brilliant work led by Sara Dada and Kim van Daalen MPhil BSc entitled “Challenging the "old boys club" in academia: Gender and geographic representation in editorial boards of journals publishing in environmental sciences and public health”.

Fabio Porru, MD

Laureato in Medicina e Chirurgia (MD) all’Università degli Studi di Cagliari, con una tesi intitolata “La salute mentale degli studenti universitari italiani: il progetto UniCares” (https://bit.ly/3bflO46)

Lavoro come ricercatore scientifico al Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam (Paesi Bassi).

Il mio lavoro di ricerca è focalizzato sulla salute mentale da una prospettiva di popolazione tramite due progetti principali. Come parte dell’unità di medicina occupazionale, lavoro al mio progetto di Dottoratodi Ricerca sui fattori determinanti per la salute mentale degli studenti universitari e dei lavoratori. Allo stesso tempo, lavoro allo sviluppo di una strategia di screening per la depressione.

Sono convinto che il ruolo del ricercatore non debba limitarsi alle mansioni prettamente accademiche, e che sia fondamentale restare in contatto con la società. Per questo, parallelamente all’attività accademica, cerco di portare avanti un’attività di divulgazione riguardo salute mentale, sanità pubblica ed epidemiologia. Il mio obiettivo è quello non solo di rendere più fruibili alcune informazioni su questi ambiti, ma anche quello di avvicinare studenti e giovani professionisti al mondo della ricerca.

Videos (show all)