Iesari e Muscolini, laboratori.
Pagina divulgativa dedicata ai nostri laboratori.
Il trionfale ritorno alla normalità sembra essere oggi il principale messaggio che ci arriva dai media, ma nella realtà come spesso accade le cose non sono così facili e lineari.
Quanto abbiamo vissuto e stiamo vivendo non può essere iscritto in una parentesi momentanea, completamente slegata dal prima e dal dopo e che non avrà nessuna influenza sulla nostra quotidianità.
Quindi non saremo più quelli di prima?
Forse la domanda giusta da farsi è piuttosto “sarebbe salutare per me tornare ad essere quell* di prima?”.
Non perché i giorni appena trascorsi debbano per forza averci portato ad alte e profonde riflessioni o drastici cambiamenti di vita, ma piuttosto perché “tornare ad essere quelli di prima” significherebbe pretendere che niente sia mai accaduto e pretendere di nascondere o ignorare qualcosa di improvviso e spiacevole che ci è accaduto non porta mai buoni frutti.
Il lavoro interiore che ci aspetta, ora che l'emergenza acuta è rientrata, non è tanto tornare agli equilibri di prima, ma cercarne uno nuovo, che comprenda quanto abbiamo vissuto, perso ed imparato.
Dove quanto accaduto arrivi infine a fare parte, arricchendolo, del nostro personale racconto di vita
Abbiamo chiuso i nostri post in quarantena affacciandoci al mondo esterno, dopo mesi trascorsi costruendo le nostre quotidianità all’interno delle rispettive abitazioni.
I giorni sono trascorsi rapidi e da qualche settimana a questa parte il mondo è pressoché ripartito e noi ci troviamo impegnati a svolgere un nuovo compito: riprenderci la normalità.
Intesa non come il riappropriarci di qualcosa che già avevamo, bensì come una ricostruzione su basi a noi familiari.
In questo post vogliamo illustrare questo concetto attraverso un piccolo reportage fotografico che vede come protagonista il trasloco della Fumetteria 42 e il suo proprietario.
Dal momento in cui apriamo la porta fino a quando non mettiamo ordine stiamo vivendo una nuova normalità fatta di piccoli passi nell’ignoto e gioie da affetti che nonostante il distanziamento sociale rimangono tali.
La normalità si adatta a quel che viviamo, possiamo traslarla in altre dimensioni, fare in modo che si adatti a quel che stiamo vivendo, ma il contesto influenzerà sempre il vissuto odierno.
Così ci siamo chieste perché aspettare un ritorno alla normalità quando magari è già questa la tanto attesa normalità?
Esperienze comuni e semplici (nonché articolati) cambi di prospettiva.
La quarantena non è stato un paraocchi che ha indirizzato il nostro sguardo bensì una finestra spalancata sul vissuto nella sua interezza fra presente, passato e futuro.
Ci ha insegnato a non fidarci della prima impressione pregiudizievole.
In fotografia è importante il colpo d'occhio, ma anche la comprensione di quel che si sta vivendo. Perché il nostro punto di vista è un punte sulla realtà che ci circonda e le persone che ne fanno parte e viceversa in una grande continuità.
Le considerazioni sviluppate da Silvia in merito sono molto “fotografiche” se mi fate passare il termine, ovvero:
Viviamo le nostre vite da dentro il nostro punto di vista.
Questo da una parte è fondamentale, perché ascoltarci è ciò che ci permette di crescere e vivere la nostra vita in maniera quanto più autentica possibile.
Ma allo stesso tempo può essere fuorviante se dimentichiamo due cose:
- che il nostro punto di vista è comunque una visione parziale del tutto e non corrisponde pienamente alla realtà.
- che ognuno di noi indossa poi di volta in volta degli occhiali che deformano ulteriormente il nostro vissuto.
Esperienze passate e intense emozioni, vissute nel qui e ora, possono far vacillare la nostra bussola interiore, impedendo a noi stessi di vedere la direzione desiderata.
Questi giorni di quarantena ci hanno insegnato che stare fermi è possibile.
Allo stesso modo, quando sentiamo di sapere già che una cosa finirà in un certo modo, perché così è sempre andata e noi non possiamo fare nulla per impedirlo, o quando ci sentiamo sommersi da emozioni troppo intense ricordiamoci che stiamo indossando occhiali deformati e che non è quindi il momento migliore per prendere decisioni...
Se non quella di respirare e prenderci cura di noi fin quando saremo più lucidi e sereni.
A presto.
Simona e Silvia
Fase due.
Esco di casa. Ho il portafogli, i documenti e sono vestita (cosa da non sottovalutare dopo due mesi in casa).....manca qualcosa?
Forse.
I preparativi per uscire si fanno universalmente un po' più lunghi.
La mascherina.
I guanti. Personalmente preferisco tenere una boccetta di igienizzante nel marsupio.
Posso vedere una persona a me cara, posso lavorarci, ma devo tenere la giusta distanza.
Ho preso tutto? Comprese le precauzioni che fanno sì che le relazioni sociali non si limitino alle videochiamate?
Altra domanda: cosa significa tutto ciò?
Significa che stiamo riscrivendo la grammatica delle nostre azioni.
Che forse dobbiamo andare un po' più lenti e compiere gesti consueti con inconsuetudine.
In sostanza:
I primi tentativi di ritorno alla normalità possono coglierci di sorpresa.
È facile che poche cose siano nuovamente accessibili per come ce le ricordavamo e per questo sarà necessario mettere in campo nuove strategie di adattamento.
Ognuno con i suoi tempi ed ognuno con i suoi modi.
A presto.
Silvia e Simona
Oggi post col doppio punto di vista.
Ci hanno detto che da domani, con alcune restrizioni, potremo uscire da quella porta.
Da casa, dal rifugio che abbiamo amato e odiato in questi giorni.
Ci hanno detto che stiamo entrando in un'altra fase, all'ombra delle nostre tane sicure.
Ci hanno chiesto di far luce sui nostri rapporti d'amicizia nonché sentimentali.
Dove muoveremo i nostri passi fuori da quella porta?
Come riprenderemo contatto con lo spazio intorno a noi?
È un po' come quando, nel cuore della notte, ti alzi per andare a prendere un bicchiere d'acqua, ma non accendi la luce.
Così procedi a tentoni, in un posto familiare e ignoto al contempo, guadagnando un centimetro alla volta, con cautela.
Certo, può capitare di sb****re l'alluce contro il comodino e la cosa non è piacevole.
Ma forse avere affetti solidi e stabili aiuta anche in questo frangente: a comprendere, col confronto, quanto quell'urto può aiutarci a trovare la direzione in questo “dopo” imminente.
Mai come adesso sembra che il dopo quarantena sia finalmente imminente.
Finalmente?
In realtà non per tutti è così.
La scorsa settimana abbiamo parlato di adattamento, di imparare a stare un po' comodi, a riconoscerci in questa nuova quotidianità.
Molte persone sono ancora intente in questo lavoro e già si vedono costrette a vivere in una nuova dimensione, con ritmi e abitudini che non possiamo capire ancora quanto e se subiranno un effettivo cambiamento.
Altri magari invece si scopriranno ad aver smaniato così tanto per questo cambiamento per poi ritrovarsi nuovamente fuori sincrono, insoddisfatti.
I cambiamenti interni non hanno lo stesso ritmo di quelli esterni.
E va bene così.
Non dobbiamo aspettarci di essere o di sentirci in nessun modo particolare, ma solo osservare come ci sentiamo giorno dopo giorno e capire quanto il nostro ritmo interiore è armonico con quello che percepiamo fuori.
Partire da questo piccolo esercizio di osservazione può sicuramente essere utile per far nascere in noi le domande giuste per i nostri prossimi passi “dopo la quarantena”
A presto.
Simona e Silvia
Gran parte dell'attenzione mediatica in questi giorni è concentrata sul “dopo”, su quello che faremo quando “finalmente tutto questo sarà finito”.
Proiettarsi nel futuro è una reazione fisiologica e normale quando si vive un periodo doloroso o stressante, una specie di salvagente che la nostra mente ci offre per reggere l'urto delle difficoltà che stiamo vivendo.
Nel mentre però altre cose fondamentali ci accadono. Dopo un iniziale periodo di smarrimento e confusione infatti, iniziamo una fase di adattamento.
Adattiamo, modelliamo le nostre giornate in modo più o meno consapevole alle nostre nuove routine.
Anche questo è un processo fisiologico, nonostante ci possano essere comprensibili resistenze all'adattarsi a questa inaspettata quotidianità.
Non sarebbe affatto strano quindi, iniziare a sentirci “comodi” nelle nostre nuove giornate e in qualche modo al sicuro.
Anzi, potrebbe essere un modo per ti**re un po' il fiato in attesa del prossimo grande cambiamento che ci aspetta...e al nostro nuovo adattamento.
Anni fa il mio maestro di karate mi disse una frase che terrò sempre a mente: - il karate è come l'acqua: si adatta al recipiente -
Ho scoperto col tempo che gli esercizi di adattamento sono infiniti, da quando ti adatti all'ambiente per fare delle foto e non snaturare il senso di quel che vedi a quando, come scriveva Silvia, ti adatti ad una situazione inizialmente scomoda.
Il lato positivo di questo nuovo ridimensionamento del vissuto è che può essere adattato alla misura del nostro essere, anche questo come altri esercizi rimarcati sulla nostra pagina, può essere un buon metro di misura per comprendere come il concetto di libertà si adatta alla persona che lo vive, anche quando, come in questo caso sembra non esserci margine di libertà.
A presto, questa settimana doppio appuntamento che la scorsa eravamo in riunione anche per altre questioni.
Come ben sapete le riflessioni e gli autoritratti che proponiamo sortiscono da considerazioni personali e dalle diverse esperienze di quarantena che stiamo vivendo.
Partiamo da una precisazione:
Io e Silvia, stiamo affrontando la nostra quotidianità in parallelo. Già prima del lockdown le nostre vite erano diverse, questa peculiarità, logicamente, si riflette anche in questo restringimento dei nostri rispettivi mondi.
Fra la sua quotidianità con suo marito, proprietario di un negozio (che al momento non solo sta fronteggiando una complessa riapertura, ma anche un trasloco) e la mia vita a stretto contatto con la mia coinquilina che lavora in un alimentari (quindi nel bel mezzo di questo capovolgimento di abitudini, è una delle poche che lavora ed ha lavorato costantemente) fra lo stress, fra i dubbi lavorativi, individuali e comuni e fra i “tengo botta con una mia personale normalità”, ci è balzato all'attenzione un aspetto del “Qui e Ora” che non avevamo subito notato ovvero:
il rumore di fondo.
In fotografia il rumore si ottiene quando le condizioni di luce sono sfavorevoli, luci basse o quasi assenti, e per riuscire a portare a casa l'immagine desiderata si deve alzare un'impostazione chiamata iso. Purtroppo il prezzo da pagare per degli iso alti è il rumore. Ovvero la chiara presenza di pixel sul fotogramma.
I puristi dicono che “il rumore è un errore, è sbagliatissimo”, mentre io, che sono solo un'artigiana e non una purista, posso dirvi che il rumore può anche starci.
Perché se si ha ben chiaro quel che si vuol comunicare, dei pixel sovradimensionati non prenderanno il centro della scena rubandone il senso.
A meno che non scegliamo noi di renderli importanti.
Quindi il rumore di fondo, a volte, ascoltandolo con attenzione e non contestualizzandolo, distoglie l'attenzione dal momento che si sta vivendo. Affolla la mente, la chiude e la ingabbia. Oppure, in altri casi, diventa come il mito della caverna di Platone: le ombre assumono i connotati della verità/realtà e ci fanno cadere in fallo.
Nella vita, come in fotografia, le considerazioni che scaturiscono dal rumore di fondo possono farci giungere a illuminanti conclusioni, se però non assumono i connotati di un'assoluta verità.
E voi, diteci, che ruolo hanno i vostri “pixel” in queste giornate atipiche?
Qualche giorno fa sono rimasta spiazzata da me stessa.
Mi son trovata, nell'arco di una sola giornata, ad osservare diversi mutamenti d'umore.
È stato strano sentirmi, quasi in rapida successione, fragile e forte; felice e arrabbiata.
Ho compreso che probabilmente questo isolamento sociale ha un suo “peso” sulle nostre emozioni; così nel corso di una delle nostre riunioni settimanali ne abbiamo discusso e son venute fuori queste considerazioni e i conseguenti autoritratti:
In condizioni normali non siamo abituati a rendercene conto ma le emozioni sono per loro natura fuggevoli e finite nel tempo. Durante una giornata proviamo diverse emozioni e anche il nostro umore può di conseguenza esserne influenzato.
Questo periodo di apparente immobilità esterna acuisce il normale movimento delle nostre emozioni, con il rischio di esasperarle. Vivendo così repentini cambi di umore.
Per chi già parte da una buona conoscenza di sé ed ha già imparato ad amarsi e rispettarsi questo periodo può essere usato come motore di crescita interna e di ulteriore conoscenza di sé stessi.
Ci sono pur sempre alcune parti di noi che riusciamo ad evitare per vari motivi e che in questo momento potrebbero mostrarsi a noi con eccessiva forza.
Per farvi un esempio, in terapia c'è un tempo ed un modo per avvicinarsi ai contenuti più dolorosi di ognuno di noi. Rispettarli è fondamentale per far sì che ci si senta abbastanza sicuri e pronti da poterli affrontare insieme.
In questo periodo di incertezza è normale che non “ci si senta abbastanza sicuri e pronti” da poter fronteggiare tutte le emozioni che ci investono. E allora che fare? Osserviamo le nostre emozioni durante la giornata, accettiamole e viviamole con la consapevolezza che sono comunque passeggere e quando ce ne dovessimo sentire sopraffatti, o anche solo quando ne abbiamo voglia, portiamole fuori, esprimiamole, condividiamole... anche con un autoritratto!
A presto
Tra le emozioni che potremmo vivere in riferimento all'emergenza che ci sta attraversando c'è comprensibilmente la paura.
In particolare, la paura dell'ignoto. Non sappiamo né capiamo bene che cosa sta accadendo né quanto sarà difficile o possibile tornare alla nostra quotidianità.
La mente umana ha bisogno di risposte chiare e certe, ma la realtà è invece mutevole e difficilmente definibile in maniera univoca. Solitamente riusciamo a tollerare questo divario, ma quando le incertezze aumentano come in questo periodo (e ci riportano alla nostra vulnerabilità) ecco che la paura torna a farci visita.
E' importante a questo punto permetterci di provarla perché ignorarla ci impedisce di confrontarci con i nostri limiti e di osservare le nostre risorse. Inoltre, ignorarla non significa assolutamente superarla, ma piuttosto rimanervi incastrati e lasciare che questa ci ferisca e basta.
Il passaggio da persone fisiologicamente impaurite a persone impaurite, arrabbiate e ferite è breve. E ancor più breve è il passaggio verso il diventare persone che feriscono, giudicano...odiano...gli altri a causa della loro personale paura, ormai così intensa da non riuscire più a vederla.
Non c'è una ricetta magica contro la paura. La paura è un'emozione umana e come tale ha una sua funzione e un suo valore. Accettarla ed osservarla sono due buone pratiche per gestirla senza venirne sopraffatti.
In fotografia un buon esercizio da fare è il cambio di prospettiva.
Una scena, seppur statica, muta anche solo spostandoci di pochi millimetri.
Un collega un giorno mi disse: – non ti fissare, giraci intorno, vedi cosa accade spostandoti -
Aveva ragione. Muovendomi, anche solo di qualche passo, tutto appariva molto più chiaro.
Sono certa la vita sia questo: vedere le cose da prospettive diverse e non immobilizzarsi nella precisione del primo approccio.
A volte la differenza la fa lo sguardo col quale osserviamo il mondo intorno a noi.
Ci avete mai pensato?
A presto!
Dopo poco più di due settimane di quarantena inevitabilmente l'ambiente intorno a noi si fa un po' più stretto.
La sensazione che avvertiamo è simile a quando provi ad indossare nuovamente quei vecchi jeans dei tuoi diciotto anni. Sempre belli, ma difficili da allacciare.
Allora chiudiamo gli occhi, inspiriamo e una volta riaperti proviamo a guardare l'ambiente consueto, e a noi familiare, con occhi nuovi, testiamo la nostra libertà.
Così da sentire a pieno che la libertà non è un concetto esterno a noi, bensì è insita nel nostro corredo genetico; così da comprendere che se anche l'ambiente intorno a noi si fa stretto possiamo adattarlo su di noi come farebbe un sarto con un abito fuori misura.
È vero, fuori da ogni dubbio: sono giornate di chiusura.
Ma al contempo, guardandole bene, sono anche giornate di spazi pieni.
Un pensiero va a tutti quelli che non hanno la possibilità, la fortuna di sentirsi al sicuro nelle loro case in questi giorni.
Crediamo che durante queste giornate, potrebbero essere utili dei piccoli esercizi di gratitudine, per non dimenticarne il profumo, dentro tutti i comprensibili dubbi, i timori e i fastidi che le attraversano.
Ricordate: mentre veniamo delimitati dagli spazi in cui viviamo, come le onde possiamo permetterci di andare oltre con il pensiero, di fare progetti per il futuro, e di rientrare nel nostro nido, mettere ordine nelle nostre giornate e ascoltare cosa questo rinnovato silenzio ci suggerisce di ascoltare.
Così che sia possibile che questo periodo di stop forzato, di orari stravolti, diventi anche portatore di nuovi stimoli e rinnovati obiettivi.
A presto.
Simona e Silvia
Fino a dieci giorni fa eravamo tutti nella stessa corrente vorticosa. Agende, calendari, telefoni e pc zeppi di impegni, di scadenze e di appuntamenti da raggiungere a perdifiato.
Dieci giorni fa, un lasso di tempo che se rapportato, che so, alle ferie, trascorre rapidamente senza accorgercene.
Ora la questione è diversa: siamo fermi.
Chiusi nelle nostre case, chiusi nel nostro paese, chiusi nelle nostre città, chiusi in Italia.
In questo momento di confini netti (dentro e fuori ad esempio) tutti noi stiamo cercando di tenerci impegnati, non solo per mantenere la lucidità, ma anche, forse soprattutto, per fuggire al mostro angosciante dal quale tutti ci hanno sempre messo in guardia: la noia!
Ma scappare così da qualcosa senza comprenderne la natura non può essere controproducente?
Abbiamo mai pensato che la noia può essere una risorsa?
Ci si dimentica spesso che il “fare” dovrebbe essere il prodotto del “pensare” e del “sentire”, cioè il risultato di due domande: “cosa conosco di quanto sta accadendo intorno a me?” e “come mi sento rispetto a questo?”. Da qui la domanda successiva: “cosa voglio/posso fare?”.
Va da sé che nella quotidianità non sempre questo è necessario, ma quando qualcosa diventa. Improvvisamente discordante nelle nostre vite allora forse è il tempo di fermarci e rifarci queste domande.
E quindi? Cosa fare quando, come in questi giorni, ci viene intimato di fermaci?
In questo caso, allora, potrebbe essere utile volgere a nostro favore questo vuoto, questa FORSE noia per poi osservarla e osservarci.
Come la stiamo vivendo? Quali sono le cose che rendono piacevoli o difficili le nostre giornate? E solo allora...cosa posso fare? E soprattutto, è utile o necessario in questo momento “fare”?
Trovate le differenze!
È evidente, nella prima foto eravamo lontane da qualsiasi pensiero legato al dover affrontare una pandemia e continuare a lavorare.
Questa situazione ci ha fatte riflettere parecchio:
Partiamo dal metro, dallo strumento, dall'unità di misura, dalla nostra altezza, dalla distanza di sicurezza, dalla distanza da tenere rispetto agli altri in questo stranissimo periodo.
Ora pensate all'anormalità di quel che stiamo vivendo.
Pensate alla vostra quotidianità oggi.
Pensate a quante volte avete riso di cuore in queste ore.
Ora guardate tutto insieme e consideratevi un punto in mezzo ad una stanza (la stessa di Sarte, Jung e Prandello. Attenti, loro vorrebbero abbracciarvi, tanto non hanno nulla da perdere...sono morti!).
Guardate la vostra giornata e i vostri rapporti.
Vi siete normali nonostante l'anormalità del momento?
Sapete perché?
Perché quel metro è nelle vostre mani, quel metro siete voi...voi siete la misura della vostra normalità e poi abbiamo i mezzi, dalla nostra, quelli di cui abbiamo abusato in alcune circostanze.
La tecnologia ci aiuta a non fermare del tutto i motori, noi andiamo avanti e riusciamo in questa inconsueta normalità a tutelare la nostra salute. Ma non è un atto puramente egoistico se visto bene, considerate che farlo significa anche tutelare tutto ciò che dona senso alle nostre giornate.
Come le nostre relazioni, o il nostro lavoro.
Quando sentiamo il peso di questi attimi prendiamo un bel respiro e ripetiamoci:
siamo il metro della nostra normalità e possiamo decidere ciò che determina la vicinanza con le persone.
Autostrada.
Di ritorno da San Benedetto.
Alla guida la Iesari.
Io alla messaggistica istantanea.
Alzo lo sguardo e..... - non dovevamo uscire là? -
Indico un punto fermo mentre l'uscita scivola via tranquilla dalla mia visuale.
Un errore.
Una svista.
- dove guardavi? -
- guardavo la strada ! -
Giù risate.
Conosco gente che si sarebbe arrabbiata non poco per questo errore.
Invece, invece sono nate queste foto e questa riflessione:
Che bello sbagliare strada.
Intenso alle volte perdersi oppure mancare quell'uscita dell'autostrada. Perché forse è troppo presto e proseguire nella stessa direzione, al momento, ci offre la possibilità di continuare quel preciso pensiero. Poi c'è sempre l'uscita successiva e sarebbe sempre un'opportunità, sarebbe prendersi il tempo necessario.
E allora perdiamoci, guardiamo strade nuove, adentriamoci in pensieri nuovi e conseguenze nuove.
Portiamo freschezza e novità.
Pratichiamo la curiosità.
Simona e Silvia
Le giornate si allungano e lo sguardo punta verso l’alto.
Oggi parliamo di “alzare il tiro”.
Cosa c'entra con l'identità e la percezione che abbiamo di noi?
Beh, partiamo da un assunto: quando ci chiedono "quanto sei alto?" noi indichiamo il nostro metro, metro e qualcosa, per descriverci. Difficilmente includi in quella descrizione, la tua altezza complessiva, ovvero compresa di braccio alzato sopra la tua testa.
A volte i progetti che abbiamo sono sagomati sull'interezza della persona (con le braccia lungo i fianchi) così in alcuni momenti è interessante puntare il dito sopra la nostra testa, non soffermando lo sguardo necessariamente alla luna, ma anche oltre. La confidenza con sé stessi porta a viaggiare anche in verticale, trovando coordinate atipiche.
Se "la felicità è ciò che mette un punto fermo alla fuga in avanti del desiderio" (P. Ricoeur docet), allora ci farebbe decisamente comodo accorgerci quando raggiungiamo un nostro obiettivo e godercelo.
Avere un desiderio, un obiettivo da raggiungere, è il motore che ci spinge avanti la nostra energia. Ma ognuno di noi ha una quantità di energie limitate e anche un naturale bisogno di ricaricarsi.
È importante fermarsi a godere delle risorse che abbiamo nel nostro presente e esercitarsi nella gratitudine. Da qui possiamo poi partire per tendere una linea verso i nostri progetti, focalizzarci sui vari piccoli obiettivi da raggiungere mano mano che ci avviciniamo alla meta e... ..non dimenticarsi di prendersi delle pause per osservare il panorama delle nostre giornate nonché lo spettacolo della strada fatta.
Grazie al Cag Kalimera (le foto qui sotto sono state fatte presso i loro locali) che ha aperto le porte al progetto Goals. Cooperativa Sociale Il Faro Osservatorio di Genere
Ciao
Simona e Silvia
P. S.: Si consiglia la lettura di "Quando siete felici fateci caso." di Dan Wakefield e Kurt Vonnegut
Vi ricordate la stanza di Jung, Sarte e Pirandello?
Ecco s’è trasformata in un ristorante, perché l’identità ragiona meglio a stomaco pieno (si nota che non siamo foodblogger dal mal celato dettaglio dei piatti vuoti).
Poi la stessa stanza è diventata un’automobile perché, ovvio, dovevamo traslare le nostre persone da “A” a “B”.
Queste due foto ci collocano geograficamente. Il nostro lavoro ha come sede fissa le nostre menti, i nostri cuori e i luoghi nei quali siamo chiamate a svolgerlo. Per il resto, spessissimo, le nostre riunioni le teniamo così.
Perché la convivialità e i chilometri che scorrono sotto le ruote favoriscono il confronto, perché a volte anche quel mezzo di bianco mette le dovuta leggerezza in un discorso decisamente impegnativo.
Non è il luogo o la divisa che determina l’efficacia di un lavoro, bensì la dedizione dietro ad esso e la voglia di farlo ESSERE parte di sé.
A presto.
Silvia e Simona
Se fossimo al centro di una stanza in compagnia di Pirandello, Jung e Sarte potrebbe essere una fortuna oppure potrebbe significare che siamo morti.
Concentriamoci sulla fortuna.
Ci troviamo in uno spazio a noi nuovo con tre grandi pensatori, ognuno dei quali ha teorizzato e dissertato intorno alla questione della maschera (anche se l’esistenzialismo di Sartre tocca tale argomento in un altro modo meno specifico).
Ognuno dei tre soggetti indicati, avrà un’idea di noi a partire da quel che vedono, come farebbe chiunque, e qui entra in gioco il concetto di maschera legato all’identità.
Possiamo definire la Maschera come una rappresentazione stilizzata e superficiale di un nostro aspetto.
Indossandone una, focalizziamo la nostra attenzione su uno speciflato della nostra personalità.
Se questo viene fatto per mostrare tale caratteristica, o piuttosto per mascherarne altre, sta ad ognuno di noi comprenderlo.
Perché allora non approfittare di questo periodo di Carnevale per un piccolo esercizio?
Quali sono le Maschere che indossiamo con più piacevolezza?
Quali sono i “ruoli” che interpretiamo ogni giorno e ci fanno sentire più a nostro agio?
E quali sono invece le Maschere che ci sentiamo messe addosso a forza, o che magari dopo averle indossate comodamente per anni ora ci vanno strette?
L'invito è a riflettere in modo un po' serio e un po' faceto, ricordandoci sempre che la Maschera fa per definizione parte del nostro essere Persona ed è un modo sano e necessario di mostrare al mondo, di volta in volta, solo alcuni aspetti di noi.
Quando però sentiamo di non riuscire a fare a meno di alcuni nostri modi di essere in particolare a prescindere dal contesto in cui ci troviamo, potrebbe essere utile fermarci ad un riflessione più profonda rispetto a cosa quella Maschera dice di noi e a che cosa ci serve in questa nostra fase di vita.
A presto.
Silvia e Simona
È dal dieci Settembre che non pubblichiamo nulla.
Strano come fuori dai social le giornate siano piene, eppure.....salti un appuntamento coi social ed è un po’ come quando non ti fai la ceretta per aleno sei mesi.
In tutto questo tempo il nostro laboratorio ha macinato chilometri emotivi, s’è declinato trasformandosi in un abito di gran sartoria (ossia adeguandosi a chi avevamo davanti), ci ha messe in contatto con un numero imprecisato di ragazzi, ci ha viste in macchina ad ottimizzare il tempo tenendo, nel corso dei nostri spostamenti, delle significative riunioni.
Abbiamo scritto, fatto foto, parlato e spessissimo ci siamo stupite.
Ci siamo fatte attraversare da tutte queste variegate identità e ne siamo uscite stanche, soddisfatte e pronte a ricominciare. ALTRO GIRO, ALTRA CORSA.
Pronti?
Stiamo cercando di comprendere come rendere la comunicazione di questa pagina efficacie.
Purtroppo (o per fortuna) dovete sorbirvi i nostri selfie/autoritratti.
I nostri laboratori toccano aspetti della vita personale che difficilmente si prestano alla pubblicazione sui social, non perché si tratta di immagini particolarmente forti, ma perché si tratta, come suggerito in un altro post da qualcuno, di n**o dell’anima.
Quel che facciamo attraverso il nostro lavoro è restituire aspetti dell’identità che a volte sfuggono anche ad uno sguardo attento.
Ci preme far sì che la comunicazione con sé stessi funzioni e magari parli in modo inaspettato.
In otto mesi e poco più abbiamo lavorato con persone diversissime fra loro, con storie particolarissime e ognuna delle persone che si è abbandonata al nostro obiettivo e alla nostra penna ci ha consentito rendere ancor più incisivo questa narrazione dell’Io in divenire.
In questo selfie avevamo da poco (ri)arredato lo studio di Dott.ssa Silvia Iesari - Psicologa clinica per una sessione di ritrattistica cucita addosso al nostro committente.
Perché noi facciamo sartoria, non siamo un ingrosso.
Buon pomeriggio da Simona Muscolini. Pensieri Visivi
Lo sappiamo, da quando abbiamo aperto questa pagina non siamo state costanti negli aggiornamenti, abbiamo promesso d’esserlo, in realtà ci stiamo provando.
Vediamo cosa accade da questo post in poi.
Noi ce la mettiamo tutta.
A presto.
In questa occasione utilizziamo il classico selfie e non l’autoritratto per clebrare una giornata a noi cara.
Innanzitutto chiariamo un punto: da cosa si nota la differenza fra autoritratto e selfie?
Beh, basta guardare l’inquadratura e le nostre facce enigmatiche.
In questo caso il messaggio è soltanto uno: Happy Towel Day!
Nel caso vi sfuggisse di cosa si tratta vi invitiamo alla lettura di Guida Galattica per Autostoppisti per comprenderci a pieno.
Buon fine settimana.
La ritrattistica non è mestiere.
Per la fotografa è un racconto (sì, “fotografa” perché parliamo della nostra esperienza) e per la psicologa...IDEM!
Al momento, per ovvie questioni legali, legate al lavoro con minorenni, non possiamo pubblicare scatti dei nostri laboratori.
Possiamo soltanto dirvi che si sono aperti mondi nuovi ai nostri occhi, ci sono state raccontate storie soltanto con uno sguardo.
Tutto ciò ci emoziona e spinge a voler fare di più.
Siamo in cerca di nuovi ingaggi e nuovi percorsi da sperimentare.
In questi due anni di gestazione del progetto e quattro mesi di lavoro abbiamo compreso che un passo è l’inizio di un grande cammino.
A presto!