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liberi cittadini con l'intento di sensibilizzare sul rispetto e l'importanza degli alberi

15/07/2024

ORTENSIA, IL FIORE VENUTO DALLE OMBROSE FORESTE DELLA CINA
(Hydrangea)

"Ortensia,
fiore antico che rallegra il giardino di antichi sentieri,
di primavere lontane, come velette e ombrellini bianchi
di un passato mai dimenticato."

ETIMOLOGIA
Il nome scientifico di questo genere (Hydrangea) risale ufficialmente a Linneo che lo descrisse nell'opera Species Plantarum (1753) con queste parole:

"Hydrangea. Gron. virg. 50.
Habitat in Virginia. - Frutex ex ordine Arbustivarum XIX, foliis oppositis, floribus in cymam digesti"
(trad: Hydrangea. Gron[ovius] [Flora] virg[inica] 50
Vive in Virginia. - Frutice dell'ordine XIX delle arbustive, a foglie opposte, fiori raccolti in cima.)

Linneo stesso, come si vede, si rifà per questa pianta all'opera Flora Virginica (1739) del botanico olandese Gronovius, che è stato quindi probabilmente il primo a usare il nome scientifico Hydrangea. Tale nome viene dalle parole greche ὕδωρ (hydor) « acqua » e ἄγγος (angos) « vaso » e quindi significa « vaso d'acqua », per la forma dei frutti simili a coppe per l'acqua.
Il loro nome botanico, Hydrangea, ci conduce anche ad una terrificante figura mitologia, l’Hydra, con capelli a forma di serpente simili alle asperità presenti sopra la capsula contenente i semi di questa pianta.

ORTENSIA
Il nome più diffuso di ortensia (nome volgare) deriva da un altro nome scientifico del medesimo genere, Hortensia, che gli fu attribuito dal naturalista Philibert Commerson che la "scoprì" nel 1771 durante un lungo viaggio in Asia e in Madagascar.
Le due scoperte, una in Nordamerica, l'altra in Asia, corrispondevano a due specie diverse, ma le due specie furono riconosciute come appartenenti a uno stesso genere. Per il criterio di precedenza, prevalse il nome Hydrangea (ufficializzato nel 1753) su Hortensia (ufficializzato solo nel 1773). Il secondo nome, tuttavia, è rimasto nell'uso popolare come nome volgare, a spese del primo.

DESCRIZIONE
Il genere comprende diverse specie di piante legnose arbustive. La particolarità di questa pianta sono i fiori, riuniti in infiorescenze più o meno sferiche, dette corimbi o pannocchie, che portano fiori per lo più sterili, soprattutto quelli esterni, per cui sono sostituiti dai sepali, grandi e petaliformi, mentre le altre parti fiorali sono abortite.
L'ortensia è un arbusto perenne che si spoglia completamente delle foglie in inverno e riprende a vegetare in primavera.
Nella maggior parte delle specie i fiori sono bianchi, ma possiamo trovare anche fiori di colore blu, rosso, rosa, violetto o viola scuro.
La colorazione dei fiori dipende dal pH del suolo. Ad esempio, se il terreno è acido, si avranno fiori tendenti al blu, se invece è basico/alcalino i fiori saranno rosati. Il cambiamento è dovuto al pigmento del fiore che è sensibile alla presenza di ioni d'alluminio.
In Cina, attualmente, vengono coltivate trentatré specie di ortensie, ma la più diffusa nel mondo è quella di origine giapponese. Per questo motivo l’ortensia è denominata anche "rosa del Giappone".

CURIOSITA'
Philibert Commerson diede questo nome alla pianta in onore della donna di cui era innamorato, Hortense de Nassau, figlia del principe di Nassau, appassionato botanico, che lo aveva accompagnato in una spedizione precedente. La giovane donna era sposata con un suo caro amico e quindi non libera di poter ricambiare i suoi sentimenti.
Da qui, probabilmente, l'accezione negativa che alcuni attribuiscono al fiore: l’ortensia simboleggia infatti il distacco, l'abbandono e la sofferenza in ambito sentimentale, anche se spesso, vista l’abbondanza di questo fiore, viene utilizzato dai wedding planner per ornare sala da pranzo e chiese.
Altri invece lo fanno risalire al nome di una amante di Commerson, Hortense Barrè, che pare lo avesse accompagnato, vestita da uomo, nella spedizione guidata da Bouganville.

STORIA
L’ortensia è una pianta antichissima, di cui si sono trovate tracce fossili risalenti all’era terziaria ed in periodi successivi (oligocene-miocene).
Nei giardini giapponesi la presenza e la popolarità delle ortensie era già importante durante il XVII secolo. La chiusura delle frontiere del Giappone dal 1639 al 1856, ha impedito l'accesso alle sue varietà e la conseguente diffusione.
Grazie comunque ad alcuni "cacciatori di piante" europei, tra cui il botanico svedese Cari Peter Thanberg, allievo di Linneo e il dottor Phihpl Franz von Siebold, diversi esemplari vennero trafugati e classificati dal punto di vista botanico.
In lingua cinese le ortensie sono chiamate "Fiori degli otto immortali" ed erano coltivate già in epoca Ming, nei giardini della regione di Jangnan, ad Ovest di Shangai.

SIGNIFICATO DELL'ORTENSIA
Nel linguaggio dei fiori, la tradizione fa risalire il significato dell’ortensia alla nascita di un primo amore o comunque di un amore che sta nascendo o anche il ritorno di un amore passato.
Il significato dell’ortensia può però variare di sfumatura a seconda del colore. Il bouquet composto da fiori di ortensia bianchi è un invito alla nascita di un amore sincero e indica che tutti i pensieri sono rivolti alla persona amata.
Se i fiori sono blu, vuol dire che, malgrado il carattere capriccioso dell’amata, l’amore provato nei suoi confronti è ardente e profondo. Regalare un mazzo di ortensie rosa significa che la persona che lo riceve è la sola e unica che amiamo ed è un invito esplicito ad approfittare delle gioie dell’amore.
Insomma…. Un’ortensia per ogni occasione.

IN ERBORISTERIA
Molti erboristi parlano dell'efficacia di questa pianta nel trattare problemi ai reni, specialmente i calcoli.
Le parti utilizzate a fini medicali sono la radice e la corteccia della radice. Contengono composti minerali di magnesio, fosforo, zolfo e calcio che distruggono chimicamente e modificano le pietre di ossalato di calcio e carbonato di calcio, di cui sono formati i calcoli, presenti nei reni e nella cistifellea. Consiglio sempre qualsiasi utilizzo di piante e fiori sotto stretto controllo medico.

15/07/2024

L'abbattimento di un albero
È una questione che va considerata attentamente, sia per costruire una strada, una casa, sia perché le foglie sporcano il tetto e bloccano le fogne.
Un albero:Assorbe CO2 "problematico" per produrre O2 "vitale" e immagazzina C carbonio, riempie le lame di terra con le sue radici verticali servendo da guida, riflette e assorbe parte delle radiazioni solari, mantiene la freschezza locale e contribuisce alla formazione di nuvole con il fenomeno della vaporizzazione.
Produce foglie: cibo per la terra e per te, le radici orizzontali servono a recuperare nutrienti, dona zucchero al micelio in cambio di nutrienti assorbe polvere e gas inquinanti, fornisce habitat e cibo per uccelli, insetti e roditori, può servire da barriera sonora e visiva...
In breve, oltre a catturare CO2 un albero produce: fresco! Acqua! Ossigeno! L'unica tecnologia che può salvarci!
Pianta alberi, pianta.

07/07/2024

LA FRANGOLA, IL COLORE NELLA CORTECCIA
(Frangula alnus)
Preziosa pianta officinale, la frangola è conosciuta e viene utilizzata da secoli per via delle sue proprietà benefiche, e in particolar modo per alleviare i disturbi legati all’intestino pigro e alla stitichezza.
In questa guida sulla frangola, detta anche “rabarbaro dei contadini” scopriremo le caratteristiche della pianta medicinale, i casi nei quali se ne consiglia l’utilizzo e le precauzioni d’uso.
BOTANICA
La frangola è una pianta officinale arbustiva appartenente alla famiglia delle Rhamnaceae, il cui nome scientifico è Frangula alnus.
Il nome della pianta, Frangola, deriva dal termine latino frangere che significa “rompere”: chiaro riferimento al suo legno di consistenza fragile; comunemente viene anche chiamata “Rabarbaro dei contadini”.
Il nome specifico Alnus = Ontano, si riferisce invece alla rassomiglianza con le foglie degli Ontani.
La frangola è un arbusto deciduo, perde le foglie durante la stagione invernale, la cui altezza è in genere compresa fra 3 e 6 metri. La sua conformazione è prevalentemente ramificata, e più raramente la si trova sotto forma di un piccolo albero, il cui tronco ha un diametro non superiore ai 20 centimetri.
Le foglie presentano una forma ovata, con margine intero e un lungo picciolo, la cui lunghezza è di 3-7 centimetri. La corteccia della frangola è di colore marrone-brunastro, talvolta leggermente violaceo; al taglio espone invece, all’interno, un colore giallo brillante.
I fiori della frangola sono piccoli, appena pochi millimetri (3-5) di diametro, a forma di stella con cinque petali di forma triangolare di colore bianco-verdastro; sono particolarmente apprezzati dalle api, che ne favoriscono l’impollinazione. La fioritura avviene fra maggio e giugno, mentre i frutti che successivamente compaiono sulla pianta sono piccole bacche, (drupe) del diametro di 5-10 millimetri.
Quando il frutto è acerbo è di colore verdastro, che vira nelle tonalità del rosso verso la fine dell’estate sino a raggiungere il tipico colore nero della stagione autunnale. Ciascun frutto contiene due o tre semi di colore biancastro, e la propagazione della specie è assicurata dagli uccelli frugivori – quelli che, cioè, si nutrono di frutta.
HABITAT E DISTRIBUZIONE
Si tratta di una specie originaria dell’Europa, del nord Africa e dell’Asia occidentale, il cui areale di distribuzione va dalla Scandinavia al Marocco settentrionale, dalle isole britanniche alla Siberia e dalla zona caucasica sino alla provincia dello Xinjiang, nella Cina occidentale; è stata anche introdotta nell’America nordorientale, dove ormai si è perfettamente naturalizzata sino al punto da essere considerata una specie invasiva.
La frangola cresce prevalentemente su suoli umidi e acidi di zone cespugliose ed arbustive, boschi radi, siepi, brughiere, aree paludose e lungo le rive dei fiumi: è una pianta che necessita di una buona illuminazione, mentre la crescita è stentata in zone eccessivamente ombreggiate.
E' una delle due sole specie vegetali delle quali si nutre la farfalla cedronella (Gonepteryx rhamni), abbastanza frequente in Europa e dal colore bianco-giallastro. Dal punto di vista estetico la frangola non è una specie particolarmente scenografica; una particolare cultivar tuttavia, la “Tallhedge” viene talvolta coltivata per creare folte siepi.
STORIA
L’utilizzo della frangola accompagna da millenni la storia dell’uomo: fra le prime testimonianze storiche si sottolinea quella di Galeno, medico greco vissuto nel II secolo avanti Cristo. Secondo la tradizione popolare, la frangola era considerata una potente pianta officinale in grado di proteggere da demoni, pozioni avvelenate, sortilegi malefici e – più verosimilmente – dalle emicranie.
Questo piccolo arbusto in passato ha servito l’uomo in molteplici maniere. Dalle sue drupe e dalla corteccia veniva ricavata una sostanza dalle proprietà purgative. Sempre dalla corteccia si ottenevano pigmenti coloranti naturali nelle tonalità del giallo e del marrone, mentre dalla lavorazione dei frutti si ricavavano tinture verdi, grigie e blu.
Fino alla seconda guerra mondiale, rimase in uso la carbonella ottenuta dal suo legno, ricercata come ingrediente per micce e polvere da sparo, a motivo del suo modo lento e regolare di bruciare.
La moderna fitoterapia sfrutta la tossicità di questa pianta per le sue proprietà lassative e viene trasformata in estratti secchi, infusi, macerati, polveri e tinture madri.

CURIOSITÀ
Avendo proprietà molto simili a quelle del Rhamnus cathartica e del R. purshiana, ma potendo essere raccolta localmente in Europa, è di largo uso in parecchie farmacopee delle nostre regioni.
Il carbone ottenuto dal legno di frangola è molto ricercato, se non ritenuto addirittura il migliore in assoluto, dall’industria che produce polvere da sparo. Nel passato il legno era molto apprezzato anche per… misurare il tempo, grazie al suo tasso di combustione estremamente regolare, nonché per la produzione di impallacciature, chiodi e sagome per calzolai.
La corteccia della frangola veniva anche utilizzata come colorante, poiché in grado di tingere i tessuti di giallo; per lo stesso motivo, le bacche non ancora mature erano impiegate per ottenere delle tonalità di colore verde.
PROPRIETÀ
La Frangola è nota per svolgere un’efficace azione lassativa e purgante, senza però irritare particolarmente l’intestino, è adatta a curare moltissime forme di stipsi e provoca l’effetto desiderato senza dare fenomeni collaterali sgradevoli. Le sostanze antrachinoniche, contenute nella corteccia, naturalmente legata a zuccheri, costituiscono il principio attivo più importante della frangola, agiscono principalmente a livello dell’intestino crasso stimolandone il tono e l’ampiezza dei movimenti: si ottiene in questo modo uno svuotamento dolce senza provocare pesanti irritazioni sulle delicate mucose dell’intestino. Possiede inoltre anche la proprietà di stimolare la secrezione biliare, è efficace infine nella cura delle emorroidi, e le sue doti lassative possono essere sfruttate in molte preparazioni e cure dimagranti.
Parti utilizzate
È utilizzata la corteccia essiccata dei rami e del fusto, conservata almeno 2-3 anni.
Polvere: ridurre in polvere molto fine la quantità desiderata di corteccia essiccata, pestare in un mortaio, oppure utilizzare un macinacaffè. La dose consigliata è di 1-2 cucchiaini da caffè in un’ostia, oppure in un po’ di miele o marmellata, o mescolati a una bevanda qualsiasi.
Tintura: fare macerare 20 g di corteccia essiccata in 100 ml circa di alcool a 20°. Dopo dieci giorni filtrare e conservare in una boccettina di vetro scuro, assumerne 1-4 cucchiaini il giorno, meglio se prima di coricarsi alla sera.
Vino medicinale: fare macerare per una settimana circa 30-35 g di corteccia essiccata in un litro di buon vino rosso corposo, filtrare e conservare in un luogo asciutto. Consumarne nella dose di 1-2 bicchierini al giorno prima dei pasti principali.
ATTENZIONE!!!
La Frangola non ha controindicazioni particolari, può essere, infatti, assunta anche dalle donne in stato di gravidanza, dalle mamme che allattano, da ammalati o da persone debilitate, perché non dà luogo a congestioni intestinali, può essere inoltre somministrata, con buoni risultati, a coloro che in precedenza hanno usato per lungo tempo lassativi e purganti ottenendone assuefazione.
Si ricorda però che la corteccia fresca è tossica e provoca, se ingerita, forti crampi al ventre, evacuazione violenta e vomito, inoltre le bacche non vanno mai utilizzate perché sono velenose.
Consultarsi sempre con il proprio medico prima di ogni assunzione.

28/06/2024

SCROFULARIA
(Scrophularia nodosa L.)
ALTRI NOMI
Scrofolaria maggiore - Erba del verme - Erba morela - Erba da taj - Giavardo - Muruèle
FAMIGLIA
SCROFULARIACEE

La scrofularia appartiene alla stessa famiglia della graziola, della digitale a fiori porpora, molto decorativa, della beccabunga, dell'eufrasia e del verbasco.
Come queste, contiene sostanze che agiscono sul cuore; sarà, quindi, opportuno attenersi alle dosi prescritte.
La pianta stessa non invita ad abusarne, perché, sfregandola tra le dita, emana un odore nauseante; quando si eccede, può provocare conati di vomito e violenta diarrea.
La scrofularia, una volta, era considerata efficace per la cura dei tumori ganglionari cronici causati dalla tubercolosi. Nel XIX secolo, dopo la scoperta dell'azione ipoglicemizzante della sua radice, la pianta fu annoverata tra i rimedi antidiabetici.
Tra le scrofularie anticamente conosciute, vi è anche la scrofularia acquatica, Scrofularia aquatica L., pianta spontanea e perenne della nostra flora, molto verde e robusta, con fusto incavato e alato agli angoli, foglie crenate e radice non nodosa. Viene utilizzata per le stesse malattie, con gli stessi benefici effetti, ma richiede anch'essa molta prudenza e moderazione nelle dosi; l'uso incauto di questa pianta può avere conseguenze molto gravi.

Identificazione: da 60 cm a 1,50 m. Perenne, fusto ruvido, pieno, quadrangolare; foglie semplici, opposte, ovali, appuntite, a cuore o tronche alla base, glabre, dentate a sega; fiori bruno-verdastri (giugno-settembre), piccoli, in pannocchie terminali, aperte, 5 sepali ovali con margine pergamenaceo, corolla bilabiata, labbro superiore eretto, in 2 lobi, quello inferiore più corto, 4 stami e 1 staminodo saldato alla corolla; capsula ovoidale, appuntita, a 2 valve.

Habitat: terreni umidi boschivi in pianura e zone submontane, abbastanza diffusa nell'Italia centro-settentrionale; fino a 1.800 m. semi piccoli; rizoma grosso, nodoso, bruno grigio.
Odore molto sgradevole; sapore amaro.
Parti utilizzate: rizoma, sommità fiorite essiccate, foglie fresche. Costituenti: saponine, glucosidi, derivati antracenici, acido butirrico, malico, palmitico, vitamina C, un alcaloide.
Proprietà: cicatrizzante, coleretico, depurativo, diuretico, ipoglicemizzante.

16/06/2024

L'ARNICA MONTANA IL SOLE IN UN FIORE
L'Arnica (Arnica montana L.)
L’arnica montana è una bellissima pianta erbacea, dotata di un fiore, simile ad una margherita, di un acceso colore giallo-arancio., Sicuramente vi sarà capitato di incontrarla, in montagna, ai bordi di un sentiero, il suo colore crea un piacevole contrasto con il blu delle genziane ed i fiori rossi del rododendro ed emana un particolare profumo, molto inebriante. È una pianta che viene utilizzata da sempre, conosciutissima dagli abitanti delle montagne, ritenuta estremamente pericolosa dalla scienza moderna, in quanto tossica e in grado di colpire e danneggiare il sistema nervoso e gli organi interni. L’arnica montana, in effetti, può essere tossica e per questo motivo va utilizzata con estrema accortezza, conoscendone le proprietà e le sue applicazioni. In montagna persiste ancora, soprattutto in alcune valli, l’usanza di fumarne le foglie in sostituzione del normale tabacco, sia a scopo disinfettante delle vie aeree superiori, sia come disintossicante. Come pianta ornamentale, invece, non viene assolutamente presa in considerazione, almeno non la specie Alpina, vi sono però alcune specie che provengono dal continente Americano, che si prestano a decorare balconi e giardini, ma sono specie che non possono essere confuse con quella Alpina.
BOTANICA
L’arnica montana è una pianta erbacea perenne, dotata di fusto semplice che può raggiungere i 60 centimetri di altezza. Le foglie basali hanno forma ovale ed ellittico –allungata, lungo il fusto ci sono da una a tre paia di foglioline sempre più piccole, I fiori simili ad una margherita, sono di un colore giallo- arancio molto brillante.
Il rizoma e i fiori contengono vari principi attivi (tannini, idrotimochinone) che le conferiscono proprietà rubefacenti e antiecchimosiche per via esterna.
Da maggio ad agosto appare sui prati meno ricchi di erba e sui pascoli alpini, fra i 1000 e i 2500 m. di altezza. In genere il terreno che la ospita è siliceo e povero di calcare. Le caratteristiche morfologiche dell’arnica, danno ai suoi fiori un particolare potere. Sembra che i fiori riescano ad assorbire la luce solare e al tramonto la rimandano con straordinaria intensità, come se il sole fosse tornato ad illuminare il prato.
NOMI COMUNI
Molti sono i nomi comuni e meno comuni con il quale viene indicata l’arnica montana.
In francese si chiama arnica des montagnes, in inglese mountain arnica e in tedesco arnika wohlverleih. Nella tradizione popolare è invece nota come piantaggine delle Alpi, battonica, stranudéla, erba benedetta delle montagne, chinino dei poveri, starnutella, tabacco di montagna e tabacco dei Vosgi.
RACCOLTA E FIORITURA
Della pianta vengono utilizzati i fiori, raccolti in piena fioritura, e i rizomi, che vengono raccolti in autunno quando la pianta è ormai secca. L’arnica fiorisce da giugno ad agosto e generalmente gli esperti conoscitori ne raccolgono i fiori, prima che si schiudano del tutto. Della pianta si raccolgono anche le foglie e qualche radice in quanto seccano facilmente e si conservano a lungo all’ombra. Mi sembra comunque molto importante ricordare che la raccolta indiscriminata del fiore e in alcuni casi, il progressivo abbandono dei pascoli, la rendono una specie rara e quindi protetta.
PROPRIETA'
L’arnica è una pianta dalle numerose proprietà. Essa viene utilizzata sia in omeopatia, sia in fitoterapia. Possiede un’azione elettiva su tutte le parti dell’organismo, che si trovano sempre più o meno esposte a traumatismo, in particolare pelle, tessuto connettivo, muscolare, articolazioni, vasi capillari linfatici e venosi. L’impiego più noto è nei postumi traumatici, (cadute, distorsioni, ematomi, contusioni..) ed è curativa sia degli aspetti fisici, sia degli aspetti psichici come nel blocco emozionale da trauma. L’arnica può essere utilizzata anche nella sofferenza muscolare
conseguente ad un esercizio fisico eccessivo, o in quelle persone sedentarie, che si improvvisano atleti e finiscono per esagerare con lo sforzo fisico. Il principio attivo dell’arnica è costituito da oli essenziali contenenti timolo, polifenoli e policiamidi. La preparazione omeopatica dell’arnica montana, possiede una favorevole azione sulla coagulazione del sangue, arrestando le emorragie, facilitando l’assorbimento di un trauma, migliorando la circolazione ed accelerando la guarigione dei tessuti.
In caso di intervento chirurgico, può essere presa sia per aiutarsi a superare l’ansia dell’evento, sia per accelerare la guarigione. Vi sono una serie di sintomi in cui l’arnica può essere di utile impiego come le ecchimosi, la lombaggine, dolori al petto o al torace, afonia (trauma delle corde vocali), dolori allo stomaco (spasmo della muscolatura liscia dell’addome) dolori post-parto, vertigini a seguito di colpo di frusta del capo e del collo.
Credo sia importante sottolineare, che l’assunzione del prodotto omeopatico deve essere effettuato solo dopo accurata visita e a stretto controllo dell’omeopata di fiducia, se ne sconsiglia inoltre l’uso interno. L’ingestione provoca irritazione delle mucose, inoltre non va mai applicata su ferite aperte e su mucose, proprio a causa della sua tossicità.
STORIA
Della presenza dell’arnica su territorio montano non si hanno precise documentazioni anteriori al 1000 e in gran parte si devono a Santa Ildegarda da Bingen (1098-1179), mistica benedettina tedesca, che ne ha parlato diffusamente, sia per vantarne le virtù terapeutiche sia per sottolinearne gli “arcani poteri”. Questa santa, badessa dell’abbazia di Disibodenberg e fondatrice del monastero di Bingen, era nota per le sue visioni, spesso profetiche, che avvenivano durante particolari momenti di estasi, che I più maliziosi fanno risalire all’uso di pozioni. Questa ovviamente potrebbe essere solo una supposizione, che nulla toglie ai meriti di Santa Ildegarda a cui dobbiamo riconoscere le precise informazioni, di carattere botanico che ci ha lasciato.
Dell’arnica si conoscono informazioni anche grazie ai componenti della Scuola medica Salernitana, che ne lasciano una descrizione minuziosa e dei disegni di Pierandrea Mattioli (1500-1577), medico naturalista, considerato il coordinatore di tutte le nozioni scientifiche allora conosciute e relative al regno vegetale.
CURIOSITA'
– Il famoso scrittore tedesco J.W. Goethe (1749-1832), in vecchiaia, era solito bere un tè di arnica per calmare l’angina che lo affliggeva.
– Elisabetta Barrett-Browning scrisse: “ancora ridon tra le lunghe ciglia gli occhi, e fingete che vi arrida amore; ma racconta per voi, questo fior d’arnica la gran malinconia del vostro cuore”
LEGGENDA DEI FIORI DI ARNICA
Racconta una delicata leggenda che le lucciole sono state create per far luce ai piccoli animali sorpresi dalla notte lontani dalla tana.
A noi piace pensare che l’arnica abbia un compito altrettanto poetico: nascondere tra i suoi petali un po’ dello splendore dorato che illumina la Terra e poi regalarlo agli uomini nell’ora che induce alla malinconia e ai ricordi. Così l’arnica, quando il grande astro del giorno sparisce all’orizzonte, sembra brillare di luce propria e si trasforma in altrettante, piccole macchie di
sole.
PREPARATI CON I FIORI DI ARNICA
In omeopatia-
Il prodotto omeopatico a base di arnica lo si trova in farmacie specializzate in differenti posologie e dosaggi, in base al tipo di trauma che si deve curare, come arnica 5 CH per traumi addominali, 7CH in caso di traumi al petto, 200CH per traumi del capo.
Tinture madri
Le tinture madri di arnica sono preparazioni che si ottengono macerando in alcool, a una determinata gradazione, piante fresche o parti attive di esse.
Si utilizzano in rarissimi casi anche piante secche, quando le distanze dal luogo di provenienza sono tali da indurre nella pianta modificazioni chimiche non accettabili. Per la legge italiana le tinture madri sono preparati galenici, per cui sono comparate ai farmaci e pertanto sono vendute esclusivamente in farmacia.
La tintura madre arriva in farmacia dopo aver passato vari controlli, prove organolettiche, fisiche, chimiche e vari altri test, che servono e rendere sicuro l’uso del prodotto.

Photos from Etnobotanica.'s post 02/06/2024
22/05/2024

LA ROSA CANINA, ANTICA, SEMPLICE E NOBILE
(Rosa canina L., 1753)

La rosa canina, fiore di una bellezza semplice e schiva, potrebbe essere definita il “brutto anatroccolo” della famiglia delle rosacee: non possiede infatti né la bellezza un po’ sofisticata né l’intenso profumo delle rose selezionate. Notevoli sono però le sue proprietà salutari e cosmetiche e rinomate le ricette preparate con le sue coccole, in particolare le marmellate. Nella medicina popolare oltre alle foglie, i frutti i fiori e i semi, si utilizzano anche delle piccole sfere avvolte da appendici disseccate, prodotte da un insetto chiamato “rhodites rosae”

BOTANICA
Si tratta di un arbusto cespuglioso, che può raggiungere un altezza di 2-5 metri, ramificato e cosparso di aculei adunchi. Le foglie sono composte da foglioline più piccole di forma ovale e dal margine dentato, simili a miniature di foglie di rosa. Grandi i fiori a 5 petali, rallegrano la pianta da maggio a luglio e possono avere un colore variabile dal bianco al rosa intenso. I carnosi frutti lucente di colore rosso-aranciato che caratterizzano questa pianta sono in realtà dei falsi frutti (cinorrodonte): si tratta di un involucro contenente alcuni acheni ovali di consistenza cornea, ricoperti di peli, veri frutti della pianta.

DOVE NASCE E COME SI COLTIVA
È presente in tutta l’Europa fino al 62° di latitudine nord, mentre è assente nelle zone più fredde e settentrionali. È diffusa anche nell’Asia occidentale e nell’Africa del nord. Coltivata come pianta ornamentale, oggi si trova naturalizzata ovunque, soprattutto nell’America settentrionale. Specie amante del sole, in ambiente mediterraneo predilige zone di media collina e bassa montagna; cresce fino a circa 1300 metri di altitudine. Si riproduce per talea, prelevando in tardo inverno o in primavera, e comunque prima della ripresa vegetativa, una porzione di ramo sano e ben lignificato, facendo attenzione a mantenere il terreno ben umidificato fino alla completa radicazione. La rosa canina è la specie selvatica più diffusa e viene utilizzata come porta innesto per le varietà e forme ibride che vengono coltivate industrialmente.

RACCOLTA E FIURITURA
I falsi frutti vengono raccolti fra agosto e settembre, incidendo lateralmente il cinorride, ovvero l’involucro rosso, si estraggono gli acheni eliminando il più possibile la peluria. Le foglie si raccolgono in estate, i fiori prima della loro chiusura, quando sono ancora in boccio, i frutti e i semi a fine estate o inizio autunno a seconda dell’altitudine della pianta.

COME SI CONSERVA
Le foglie si utilizzano fresche; dai fiori si staccano i petali e si lasciano essiccare all’ombra, poi si dispongono in recipienti chiusi al riparo dalla luce e dall’umidità. I semi una volta essiccati al sole o in forno a bassa temperatura, si conservano in sacchetti o in barattoli.

NOMI COMUNI
La rosa canina è conosciuta nella tradizione popolare anche con il nome di: rosa delle siepi, rosa di macchia, rosa selvatica, rosa spina, spina novella.

STORIA E CURIOSITA'
Si tratta di una pianta antichissima e già precocemente apprezzata:da reperti archeologici rinvenuti nelle palafitte svizzere è stato appurato che la pianta era nota già dall’età della pietra. La prima attestazione scritta della rosa canina e del uso medicinale, risale invece all’Edda, una celebre raccolta di liriche scritte in antico islandese, probabilmente antecedente al IX secolo. Il nome della pianta deriva da quello che si riteneva il suo uso fondamentale: anticamente si pensava infatti che costituisse un ottimo rimedio contro la rabbia dei cani. Ma la pianta più in generale era considerata una sorta di antidoto contro tutte le malattie: così in Germania, mangiando un cinorride durante la notte di Capodanno, si credeva di rimanere immunizzati contro qualsiasi infezione.
Alcuni testi riportano come gli Assiri furono i primi a scoprirne le virtù narrate e poi descritte da Dioscoride. Si trovano tracce del suo utilizzo anche in epoca romana: Apicio ne usa i petali per confezionare un cosiddetto piatto “di rose e cervella, uova vino e salsa di pesce”; a dire il vero a me sembra una mescolanza di sapori e ingredienti veramente improbabili, sarà stato comunque un piatto altamente proteico.
Dal punto di vista fitoterapico, si legge in un testo medievale che: “…migliori sono le rose fresche di Persia; gli antichi medici indicano sei parti opportunamente utili alla salute: la punta e il resto della foglia, del fiore il polline e il loro satme,il lontano estremo del gambo e il resto fino al picciolo”.PROPRIETA'
La rosa canina rappresenta probabilmente nel mondo vegetale la più ricca fonte di vitamina C, vitamina che non può essere prodotta dall’organismo umano, ma che è di vitale importanza per l’efficienza del sistema immunitario,dal quale dipende la capacità del fisico di resistere alle infezioni. I frutti inoltre contengono acido citrico, acido malico, betacarotene, carotenoidi, flavonoidi e tannini. Ne consegue che per l’alto contenuto in vitamina C la rosa canina può essere utilizzata per rinforzare le difese immunitarie, migliorando la resistenza dell’organismo di fronte agli attacchi delle malattie da raffreddamento e delle sindromi influenzali. Inoltre può essere utilizzata efficacemente contro anemia e fragilità capillare, infatti la vitamina C partecipa ai meccanismi di distribuzione e di accumulo di ferro e contribuisce a mantenere intatte le riserve di acido folico. L’integrazione di vitamina C attraverso l’uso della rosa canina svolge quindi attività coadiuvante nei casi di anemia. Per la presenza di tannini la rosa canina può essere utilizzata molto efficacemente come antidiarroico, ma anche in casi di colite o nelle gastroenteriti tipiche dei bambini.
In fitoterapia la rosa canina viene utilizzata efficacemente per farne delle maschere ad effetto tonificante, levigante e schiarente.
Maschera di rosa canina
Si ottiene utilizzando 5/6 cinorridi freschi di rosa canina, frullati dopo averli precedentemente tagliati, svuotati con cura e lavati più volte per eliminare i piccoli peli aguzzi che possono conficcarsi nella pelle e applicate la poltiglia ottenuta sul viso come una maschera. Lasciate in posa per 10/15 minuti quindi ripulite la pelle con abbondante acqua fresca. La pelle risulterà più luminosa.
Come infuso
Si utilizzano ½ cucchiaini da tè di falsi frutti spezzettati per una tazza di acqua bollente, si lascia in infusione per 10/15 minuti e si filtra
Come alimento
I falsi frutti della rosa canina vengono usati per farne delle marmellate molto ricche di vitamina C.
Per preparare la marmellata si procede cocendo 2 Kg di falsi frutti, ben lavati e ripuliti dalla peluria, per circa mezz’ora in una quantità di acqua sufficiente a ricoprirli. Dopo aver filtrato per eventuali peli ancora presenti, si aggiunge una pari quantità di zucchero e si cuoce a fuoco lento finché la marmellata non assumerà la giusta consistenza.

CUCINA
L’inconfondibile profumo delle rose, delicato e al contempo penetrante, si rivela molto indicato per aromatizzare dolci e pasticcini. Non di rado la cucina utilizza tanto l’acqua di rose quanto i petali sminuzzati per intensificare il sapore o interi per decorare o dare colore a pietanze particolarmente raffinate.
Gelatina ai petali di rosa
5 arance succose, 4 mele renette, una manciata di petali di rosa canina,zucchero
Pulite le arance; tritate finemente la scorza, avendo cura di eliminare la parte bianca, di due di esse, quindi tagliate a pezzettini la polpa di tutte e 5 le arance. Mettete sul fuoco assieme la polpa delle arance e le mele sbucciate, private dei semi e tagliate a pezzettini, insieme a ¾ di l di acqua. Fate cuocere fino ad ottenere una poltiglia, quindi filtrate. Rimettete sul fuoco unendo 5800g di zucchero e riportare a bollore; unite anche la scorza tritata e i petali di rosa. Cuocete fino a raggiungere una consistenza cremosa quindi versate su uno stampo da cucina che avrete bagnato in acqua. Servitela fredda.

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