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Difesa del Milan pietosa. Una mediocre Lazio pareggia (nel primo tempo, Maignan ha fatto molto per aiutare i biancoazzurri). Chukwueze pessimo. Squadra sbrindellata, lenta e prevedibile quella di Fonseca: la Lazio raddoppia.
Il travolgente e devastante successo dell’Italvolley contro le campionesse olimpiche uscenti americane è innanzitutto la vittoria di Paola Egonu e di Myriam Sylla (senza togliere nulla alle formidabili compagne, come l’immarcescibile Monica de Gennaro, un libero di 37 anni!): hanno onorato l’Italia da cottadine italiane, hanno battuto il razzismo e il fascismo dei Vannacci, dei Salvini, degli xenofobi che ammorbano impuniti la nostra società. Il web è tutto con loro, anzi con l’oro due, inutile far finta di non capire che c’è un’Italia assai diversa da quella vagheggiata dai sovranisti e dal governo Meloni. Voglio vederla la sora Giorgia precipitarsi a Parigi per festeggiare questa squadra, come ha fatto per la pugile Carini imbeccata contro l’algerina Chetif…
Remco Evenepoel, un fuoriclasse. I francesi hanno dato l’anima e vinto argento e bronzo. Il ciclismo italiota assente. Bettiol e compagni piangeranno tra le braccia sovraniste di mamma Meloni. Che diranno di Remco? Troppo uomo?
Ottima Federica Del Buono nella batteria dei 5mila metri , sedicesima su venti. Quanto al tempo, si è impegnata a peggiorare il suo primato stagionale di quasi 16 secondi. Parigi val bene la gita…l’importante è partecipare.
Dal sito de il Fatto quotidiano
Stravagante, irriverente, audace: la cerimonia d’apertura è stata come Parigi, un passo avanti rispetto alle altre capitali – il commento
di Leonardo Coen| 27 Luglio 2024
Sarà perché amo Parigi. Ma la cerimonia d’apertura dei Giochi di Parigi è stata genialmente bella. Audace. Beffarda. La più improbabile, senza dubbio anche la più arrischiata. Ma affascinante. E rivoluzionaria: ha sverniciato e messo in soffitta tutte le altre cerimonie che l’hanno preceduta. Ha portato fuori da uno stadio un rituale ormai invecchiato ed impolverato, l’ha rivitalizzato sfruttando la Senna e i monumenti emblematici che la costeggiano. Sono o non sono i Giochi di Parigi? Ebbene, Parigi vuole tornare di nuovo il centro del mondo, è nel suo destino, nel suo fascino, nelle sue promesse (che spesso, purtroppo, non sono mantenute, brontolano i parigini, i quali ieri hanno fischiato Macron ed applaudito i palestinesi).
Ha liquidato il ricordo di cerimonie magari perfette, magari spettacolari, ma pur sempre stucchevoli rifugi di tradizioni, di propaganda, di Storia confezionata dal potere. Ieri, a Parigi, è successo esattamente il contrario: la città che organizza e mette in scena i Giochi ha preteso d’essere più Edith Piaf che Napoleone, più muscoli per amare che per sfidare, più attualità che biggino del passato – e, quanto a passato, la Francia ne ha da vendere…. Per la fortuna di chi ha seguito in tv la cerimonia, e non si è mai annoiato, la Parigi a cinque cerchi ha evitato la trappola della trita e ritrita retorica sul “quel che conta è partecipare”, semmai è vero il contrario, e ha affrontato in dodici quadri del copione cerimoniale con vigore innovativo: i conflitti urbani, la rabbia, l’opportunità dell’inclusione, la “sororità” (quando mai in passato si è visto celebrare un’eroina dell’anarchismo femminile? E che meraviglia vedere spuntare dalla Senna dieci statue dorate di donne che hanno marcato la storia francese e la lotta per i diritti e l’emancipazione femminile, compresa la depenalizzazione dell’aborto: impensabile chez nous con Meloni e Salvini al governo…).
Sotto l’ampio e sfavillante mantello dell’amore, ah l’amour!, applausi scroscianti come la pioggia per il cuore gigantesco disegnato dalla pattuglia acrobatica francese nel cielo bigio ma stranamente luminoso di Parigi – e qui, la pioggia che martellava les rues de Paris ci ha ricordato Yves Montand, Jacques Brel, Juliette Gréco, la musica talvolta struggente ma mai banale né banalizzata dai remake e dai medley è stata più di un filo conduttore. Ha trasmesso voglia di andare a Parigi, non di scappare da Parigi…Lo sport come pretesto non per legittimare un regime – vedi Berlino 1936, Mosca 1980, Pechino 2008, Soci 2014 – ma per raccontare un luogo dove lo sport sarà protagonista sino al 12 agosto. E dopo? Dopo, Parigi si è proposta. Ha ingaggiato Lady Gaga. La star americana si è esibita con una impeccabile reinterpretazione di un celebre numero creato da Z**i Jeanmaire nel 1961 (quelli della mia generazione se la ricordano protagonista di indimenticabili varietà della Rai quando la Rai non era insulsa come oggi). Un tripudio di piume nere e ventaglioni rosa sorretti da ballerini, lei davvero molto glam, ha trasmesso con docile ironìa sensazioni di raffinatezza. Cioè di Paris…
Qualcuno sostiene che sarebbero stati messi in secondo piano gli atleti: evidentemente si è distratto. Erano coinvolti nel bellissimo ed intenso spettacolo. Sfilavano a bordo di bateaux mouches, gigantesco quello degli americani, la squadra più numerosa e rumorosa, oppure su motoscafi, o ancora su natanti di varia misura, quasi tutti indossavano sopra le loro divise degli spolverini trasparenti di plastica (tra le autorità, Mattarella in impermeabile, Macron e Brigitte, impavidi, senza). Gli atleti hanno gradito questa gita di sei chilometri lungo la Senna, dal ponte di Austerlitz al Trocadero (ah, “sous les ponts de Paris…”). Altri, come gli algerini, hanno sfruttato l’occasione per gettare dei fiori nella Senna e commemorare il massacro del 17 ottobre 1961, quando una manifestazione di protesta a favore del Fln (Fronte di liberazione nazionale) fu violentemente repressa dalla polizia di Maurice Papon, a suo tempo uno degli esecutori più ligi del regime collaborazionista di Vichy. Quel giorno decine di manifestanti furono picchiati a morte e scaraventati nel fiume che ieri era al centro della cerimonia d’apertura. Il gesto degli algerini è stato ripreso in diretta mondovisione: a Pechino, per esempio, nella fastosa manifestazione d’apertura, ben si sono guardati dal ricordare le vittime delle repressioni maoiste o quelle di piazza Tienanmen…
L’ispirato maestro della cerimonia, Thomas Joly, assistito dallo storico Patrick Boucheron, ma anche dalla scrittrice Leïla Slimani (premio Goncourt), dalla scenografa F***y Herrero e dall’attore ed autore di teatro Damien Gabriac, ha osato l’inosabile, tenuto conto che si trattava pur sempre di “aprire” i Giochi. C’è riuscito, malgrado la pioggia. Anzi, la pioggia, che cadeva abbondante, è stata una sorta di ospite a sorpresa, apprezzabile “elemento naturale e tipico della città”, ed ha reso ancor più avvincente assistere ad un autentico e non artificiale “ballando sotto la pioggia”, tant’è che il funambolo in bilico sulla fune tesa sopra i tetti di Parigi ad un certo punto è scivolato a metà percorso (tranquilli: si è rialzato senza danni). Ma che bello vedere i pianoforti a coda coperti d’acqua, i ballerini spruzzare e rischiare clamorosi capitomboli, gli artisti inzuppati: quante volte ci è capitato d’essere senza ombrello? Parigi è stata rappresentata come è, non come dovrebbe essere. Magnifica. Innovativa. Allegra. Diversamente…diversa: i ragazzi che si abbracciano e baciano, e chiudono la porta del loro appartamento…le ragazze che stringono le mani e si coccolano…dite quel che volete, ma questa cerimonia è stata un calcio nel deretano dei razzisti, dei fasci, degli xenofobi, di chi odia il movimento Lgbt. L’anima di Parigi è sempre stata un passo avanti a quelle delle altre capitali, Parigi con la sua stravaganza, la sua arte, la sua cultura. Il suo stile. Le sue irriverenze.
E i suoi giochi (in minuscolo) semantici. Già. In francese Senna (Seine) e scena (scène) si pronunciano allo stesso modo. Joly ha preso spunto da questo ed ha evitato di cincischiare sui discorsi della “Francia eterna”. La Marsigliese è stata cantata dalla mezzo soprano Axelle Saint-Orel, genitori guadalupesi: il che ha suscitato furore tra le fila del Rassemblement National. Alla Conciergerie, nel quadro simbolicamente consacrato alla Rivoluzione, il gruppo metal Gojira ha sterzato hard. Scommettiamo sulle polemiche dei tradizionalisti perché Maria Antonietta decapitata ma con la testa tra le mani ha cantato “Ça Ira”, celeberrima e dinamica aria che è stata ed è tuttora un esempio sorprendente del potere della musica, “Ah! ça ira, ça ira, ça ira,/Les aristocrates à la lanterne!/Ah! ça ira, ça ira, ça ira/Les aristocrates on les pendra!”. L’assalto delle Tuileries, Danton che arringa i Cordeliers… Poi, la prorompente Aya Nakamura, la cantante francese più popolare nel mondo, infiamma la folla con “Pookie” e “Djadja”, il suo duo con la Garde républicaine è buffo per il contrasto tra l’esuberante Aya inguainata d’oro e la compostezza della banda militare.
Ho solo accennato ad alcuni momenti di questa anti-cerimonia. Tralascio il finale, ma non trascuro il discorso del presidente Cio, Thomas Bach, che ha invitato a rispettare gli altri, “nel nostro mondo olimpico c’è posto per tutti, viviamo in un mondo lacerato dalle guerre ma è grazie ai Giochi che possiamo riunire tutti gli atleti del mondo. Vi invito a sognare con noi, lasciatevi ispirare dalle gioie di queste competizioni per vivere una vita di pace. Uniti in tutta la sua diversità”. L’utopia delle parole disattese dal contesto geopolitico. I Giochi sono fuori gioco? Il clou finale è inevitabilmente sciovinista, con la folla dei campioni olimpici francesi che si alterna nel portare alla meta finale la torcia. Anche se a mitigare questo patriottismo sportivo si sono prestati Rafael Nadal, Carl Lewis, Nadia Comaneci, Serena Williams…Dopo quasi quattro ore, eccoci al dunque: la simbolica accensione del braciere. E qui, altro colpo di genio. Il braciere è il cesto metallico e dorato di un’immensa mongolfiera, anch’essa dorata. Il fuoco sacro d’Olimpia si solleva lentamente, mentre da venti minuti la Tour Eiffel è un turbinìo di laser in un crescendo frastornante “son et lumière” da lasciarti senza fiato. La Francia d’oro vola. Da oggi, tocca agli atleti volare.
E se rettificassimo la Lega?
L’amico Emanuele Coen ha sognato Mastroianni. Un bel sogno che mi ha fatto ricordare le volte che lo incontravo per strada a Parigi, mica a Roma…, giacché stavo non lontano da casa sua e quindi capitava spesso di incrociarlo, mentre tornava trafelato dalla vicina piazza (evito i riferimenti precisi per ragioni di privacy) dove abitava Catherine Deneuve, madre di Chiara. Una volta lo intercettai davanti alla Libreria delle Donne - più o meno abitava lì davanti, all’ultimo piano di un bel palazzo d’epoca- che brontolava, aveva un occhio pesto, mi riconobbe e mi invitò a prendere prima in caffé e poi ad andare in una nota salumeria italiana lì vicino per farsi fare uno sfilatino col prosciutto, al diavolo la dieta! Fumava una sigaretta dietro l’altra e mi spiegò che aveva appena litigato con Catherine per via dell’educazione scolastica di Chiara, e che Catherine gli aveva rifilato un cazzotto! Lui allora conviveva con una compagna, allora aspirante regista (beh, forse qualche lavoretto l’aveva fatto) che scoprii dopo aveva filmato i suoi ultimi mesi…
Era addolorato più che arrabbiato. Indossava uno spolverino chiaro, era leggermente scarmigliato, ed ogni tanto guardava dalla parte in cui abitava come se temesse di essere scoperto, mentre se la filava verso la salumeria a due passi dal boulevard Saint-Germain. Quasi a giustificarsi, quel giorno mi disse che se ne fregava delle diete imposte dai medici e che se doveva morire almeno sarebbe morto senza vessazioni alimentari, per non parlare del fumo, forse concausa del suo male, “comunque ho vissuto una bella vita”, si autoconsolò, mentre tornavano indietro, senza essere mai molestati dai passanti, anche da quelli che l’avevano forse riconosciuto (lo raccontai anni fa su Repubblica, il giorno che ci lasciò). Mi è sempre stato simpatico, e per me, per quel poco che mi resta nella memoria, era una brava persona: in fondo, a suo modo, fedele alle sue donne, ai figli, al mestiere che gli aveva permesso di poter realizzare i suoi sogni, di sfuggire all’impiego da travet: “Ho fatto il contabile, so cosa vuol dire un lavoro del genere, io lo odiavo…”. Per come lo ricordo, non se la tirava mai. Fortunati, i suoi amici.
Più seriamente: il calcio mediterraneo continua a punire quello dei nordici. Declina l’Italia? Risorge la Spagna. Se ne facciano una ragione.
Gli empanadas hanno battuto i bacons, ancora una volta la perfida Albione è rimasta col sorcio in bocca. Suggerisco a Southgate una amichevole dei Lions col Lourdes…
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Per chi ha vissuto la breve intensa spettacolare epopea del Cagliari che vinse lo scudetto nel 1970 (iniziavano gli anni di piombo) la scomparsa di Comunardo Niccolai, pilastro leale e tenace di quella mitica squadra che schierava Gigi Riva detto Rombo di Tuono (copyright Gianni Brera: altri tempi, altra tempra sia in campo sia tra chi raccontava…) è un altra piccola tessera della memoria di un Paese che non si rassegnava alla violenza (fomentata dai registi del caos), che usciva dal boom e voleva diventare una nazione in cui i diritti civili venissero finalmente rispettati; un Paese in cui la classe operaia - il Cagliari lo era calcisticamente dinanzi ai “padroni” di Milano e Torino - fosse rispettata, non dico in paradiso (una chimera), ma almeno nella nostra società ancora afflitta dai conflitti di classe e dalle spaventose diseguaglianze sociali (lo ricordo ai fan di “si stava meglio quando si stava peggio”); dove gli studenti non fossero, come purtroppo succede oggi, costretti ad emigrare perché per loro non c’è lavoro dignitoso; si sperava che l’Italia diventasse un Paese più laico, più moderno, più solidale, ed infatti Niccolai non a caso si chiamava Comunardo, nome che il padre (ex portiere del Livorno e fiero antifascista) gli dette in onore della Comune di Parigi, “era un nome proibito durante il fascismo”, disse in un’intervista, “ma io sono nato nel 1946…”, e per questo divenne una sorta di eroe di quella sinistra allargata e speranzosa, un po’ come successe per il centravanti Paolo Sollier che era invece militante di Avanguardia Operaia, quando segnava alzava al cielo il pugno chiuso e divenne famoso giocando nel Perugia. Così, il popolo perdonava a Comunardo le sue incredibili autoreti, sbagliare era in fondo umano, e poi non si faceva abbattere dall’errore, perché provvedeva subito a rimediare, poiché era tenace, abile, generoso e una sicurezza. In fondo, la nomea di re degli autogol gli venne data dopo una sventurata rete nella porta difesa dal “suo” Albertosi dirante una partita contro la Juventus. Clamorosa ma alla fine, quell’anno, lo scudetto planò sul campo dell’Amsicora e chi abbracciò per primo Gigi Riva? Comunardo, col quale aveva fatto il militare alla Cecchignola di Roma.
Carapaz, la nuova maglia gialla, assomiglia a…Chiappucci
Alla fine, la Le Pen vince ma di misura (29,3 %), una percentuale lontana da quelle dei sondaggi, probabilmente “pilotati” per indirizzare l’elettorato. Che in Francia non è allocco come il nostro…
La Georgia dimostra la miserabile pochezza della sp***ettiana Italietta.
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Impotenti e pusillanimi.
Comprate pomodori e andate all’aeroporto!
Mai vista una squadra così malmessa, zeppa di giocatori sfiatati, fuori condizione, disorientati tecnicamente: li dirige male questo Sp***etti dalla fronte inutilmente spaziosa, tanto presuntuoso a parole quanto disastroso nei fatti.
Stupenda prima tappa del Tour e grande prova d’orgoglio di Romain Bardet. Poi, purtroppo, ci tocca l’Italietta di Sp***etti e delle sue scelte su***de. Zaccagni, il salvatore, in panchina…Di Lorenzo, invece, a far danni in campo.
Saluti francesi pre elettorali. Ho sentito una candidata (anziana) del Rassemblement National su LCI (telegiornale di mezzogiorno) che spata subito le sue cartucce dogmatiche: “Le cittá sono invase dagli immigrati”. Lo sa bene, lei, perché abito in città.
Il giornalista: “Siamo al mercato ma non ne vedo…”
“Ah, bon! Gli immigrati non ci sono perché a quest’ora dormono”.
La signora Maitey Fouget è stata intervistata a Brive La-Galliarde (Carrèze), dove sfida François Hollande, l’ex presidente socialista.
Oltre che essere brevissima, questa campagna elettorale francese è f***e e l’estrema destra presenta gente che dire impresentabile è essere generosi.
Non è mai piacevole essere come Cassandra e dire che l’avevamo previsto: ma da una rapa azzurra non si cava sangue blu. Da undici r**e, poi, e dal rapone che li guida, è pura fantascienza. Alla fine, in extremis, il miracolo c’è stato.
Giocatori apallici e allenatore acefalo
Quel c….. di Frattesi…e chi lo ha schierato nonostante Spagna ed Albania. Donnarumma para il rigore ma poi Modric - sì, colui che non aveva autonomia…- ci fulmina. Amen.
Di Marco nietzschiano, piacerebbe ai ministri culturali della Meloni: infatti è al di là del bene e del male
Primi cinque minuti terribili: peggio che con la Spagna.
Giornalismo nostrano e furbetto, a proposito di “pista turca” dell’attentato di Mosca. I primi a scriverne sono stati i media francesi, che hanno ripreso quelli di Istanbul. Poi, un giorno dopo, i “copiatori” italiani.
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