Condominium
Amministrazione di Condomini ed Immobili
Senza «scadenza» la delibera che non è stata impugnata
Senza «scadenza» la delibera che non è stata impugnata
La domanda
Una delibera assembleare, non impugnata, non è stata eseguita dall’amministratore. Entro quanti anni la sua mancata esecuzione può essere imputata all’amministratore inadempiente? Esiste giurisprudenza in merito?
L’Esperto Risponde da Il Sole 24 Ore di lunedì 2 ottobre
A norma dell’articolo 1130, primo comma, n. 1, del Codice civile, rientra fra le attribuzioni dell’amministratore di condominio quella di eseguire le delibere assembleari. L’articolo 1129, dodicesimo comma, n. 2, del Codice civile prevede che la mancata esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea costituisce grave irregolarità da parte dell’amministratore, irregolarità che giustifica persino la sua revoca per via giudiziale. Ciò premesso, la normativa condominiale non prevede un tempo entro cui l’amministratore di condominio debba dare esecuzione a quanto deliberato dall’assemblea; in proposito, dunque, non possono che valere i princìpi generali in tema di adempimento.
In particolare, in base all’articolo 1183 del Codice civile, se non è determinato il tempo in cui la prestazione dev’essere eseguita, i creditori (cioè i condòmini) possono esigerla immediatamente. L’articolo 1218 del Codice civile dispone a sua volta che il debitore che non esegua esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, qualora non provi che l’inadempimento o il ritardo sia stato determinato da impossibilità della prestazione, derivante da causa a lui non imputabile.
In conclusione, si può affermare che l’obbligo di esecuzione di una delibera assembleare da parte dell’amministratore di condominio deve ritenersi correlato:
- al non recare danni al condominio;
- al fatto che l’adempimento mantenga una qualche utilità per il condominio.
Ad ogni modo, in caso di mancata esecuzione di una deliberazione, il condominio (o i singoli condòmini) - previa eventuale revoca dell’amministratore - potrebbero agire nei suoi confronti per il risarcimento dei danni (si veda, tra le tante, la sentenza del Tribunale di Milano 5021 del 5 maggio 2017).
Manutenzione impianto fognario supercondominiale, si applica la disciplina del condominio
In presenza di una pluralità di condomìni compresi in una organizzazione supercondominiale trovano applicazione le norme sul condominio negli edifici e non quelle della comunione. Pertanto, gli oneri manutentivi afferenti all'impianto fognario a servizio di una pluralità di condomìni devono essere ripartiti con i princìpi dettati dall'articolo 1123 del Codice civile. È l'interessante precisazione resa dal Tribunale di Roma con sentenza 11627 del 24 luglio 2023.
Il caso
L'intricata querelle merita di essere annotata per il rigore e metodo con cui il decidente ha motivato la pronuncia. Un condominio conveniva in giudizio altro condominio per far dichiarare che il criterio ripartitivo delle spese di rifacimento dell'impianto fognario doveva essere in parti uguali fra tutti gli appartamenti serviti. Chiedeva che venisse condannato a rimborsare le somme computate sul numero degli appartamenti di cui l'ente di gestione era composto secondo il seguente principio: totale spesa diviso il numero complessivo di tutti gli appartamenti interessati moltiplicato per il numero degli appartamenti compresi nel condominio attoreo.
Il sodalizio attoreo ha sostenuto che il criterio divisionale doveva considerare le unità immobiliari servite dall'impianto mentre l'ente condominiale convenuto ha ribadito che il criterio corretto si fondava sulla suddivisione della spesa in base al numero degli stabili (prescindendo dal numero delle utenze servite in ognuno di essi).
La decisione
Con un ineccepibile assunto motivazionale il tribunale ha affrontato la spinosa diatriba dichiarando che la spesa sostenuta per l'impianto fognario, bene comune ai condomìni, va ripartita con i criteri dettati dalla disciplina condominiale.
Ha premesso che i condomìni serviti dalla condotta fognaria non costituiscono una comunione, ma un supercondominio. Viene ad esistere quando molteplici edifici sono riuniti in una più ampia organizzazione condominiale in quanto legati da cose, impianti o servizi comuni in rapporto di accessorietà. Ha poi osservato che, ai fini della costituzione di un supercondominio, non occorre la manifestazione di volontà del costruttore, né quella dei condòmini essendo bastevole che i plessi edilizi abbiano in comune uno o più impianti ricadenti nel novero dell'articolo 1117 del Codice civile (per tutte Cassazione 2279/2019 ).
Tra l'altro - ha opportunamente soggiunto - la novella riformatrice ha introdotto l'articolo 1117 bis del Codice civile il quale sancisce che «le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condomìni di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo 1117». Tale disposto estende l'applicazione dell'impianto normativo condominiale al supercondominio. Il legislatore ha recepito il supercondominio, istituto di matrice giurisprudenziale, chiarendo che vi ricadono più unità immobiliari, più edifici e più condomìni di unità immobiliari o di edifici aventi parti comuni.
Nel caso trattato il decidente ha identificato il supercondominio in un complesso immobiliare entro il quale più corpi di fabbrica autonomi hanno in comune un impianto fognario. Bene, questo, espressamente dichiarato comune dall'articolo 1117, n. 3, del Codice civile. Il supercondominio trae origine - sempreché il regolamento di condominio o i titoli di acquisto non dispongano diversamente - dalla natura condominiale dell'aggregato edilizio caratterizzato da un rapporto accessoriale intercorrente fra la parte comune (bene servente) e i plurimi edifici (beneficiari del servizio). La condotta fognaria posta in relazione di accessorietà con una pluralità di condomìni rinviene la disciplina regolatrice in quella condominiale e non nella comunione.
Conclusioni
Il tribunale ha escluso l'applicabilità del regime della comunione per quote in quanto i diritti e gli obblighi sul bene ricadono su ogni partecipante al supercondominio. Nemmeno ha ritenuto fondata la tesi volta a suddividere la spesa in parti eguali fra tutte le unità immobiliari costituenti i plessi serviti dalla condotta fognaria. Entrambi i criteri perorati dalle linee difensive dei condomìni confliggono, in estrema sintesi, con quelli previsti dall'articolo 1123 del Codice civile.
ll collegamento di tutti gli edifici alla condotta fognaria ha determinato la nascita del supercondominio. Secondo l'articolo 1123, comma 1, del Codice civile, agli oneri manutentivi della condotta fognaria concorrono tutti i condòmini del supercondominio in ragione dei millesimi di proprietà di ogni cespite immobiliare. Infine, per mera completezza, il tribunale ha chiarito che l'assenza di tabelle supercondominiali non impedisce di ripartire la spesa essendo sufficiente redigere una nuova tabella di proprietà includendovi i millesimi generali di tutti i fruitori dell'impianto fognario.
Quando si può considerare legittimo l'impianto di videosorveglianza privato
Partiamo dal presupposto che il privato può legittimamente installare una propria telecamera anche sulle mura condominiali. Tale tipo di intervento è stato considerato legittimo in virtù dell’articolo 1102 Codice civile che dà la possibilità al singolo condomino di utilizzare il bene comune senza pregiudicare il pari uso agli altri comproprietari e senza mutare la destinazione del bene comune.
L'attività a carattere personale
Da un punto di vista di trattamento dei dati personali si osserva che, in base all'articolo 2, paragrafo 2 del Regolamento, quando il trattamento è effettuato da una «persona fisica per l'esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico», non trovano applicazione le disposizioni del Regolamento. A tal proposito, il considerando numero 18 del Regolamento specifica che si considera «attività a carattere esclusivamente personale o domestico» quella effettuata senza che si realizzi una connessione con un'attività commerciale o professionale.
Possiamo addurre che l'utilizzo di sistemi di videosorveglianza da parte di persone fisiche nelle aree di diretto interesse (quali quelle inerenti al proprio domicilio e le sue pertinenze) sono da ritenersi, in linea di massima, escluse dall'ambito di applicazione materiale delle disposizioni in materia di protezione dati, perché rientranti tra i trattamenti effettuati per l'esercizio di attività a carattere esclusivamente personale e domestico.
L'inquadramento di aree condominiali
Vero è che, secondo gli ultimissimi orientamenti, la disposizione della non applicabilità del Gdpr in caso di installazione del privato viene meno laddove l'uso non sia considerabile più come prettamente personale, e ciò avviene ove questi inquadri aree condominiali o di terzi.
L'ambito di comunicazione dei dati non deve eccedere, quindi, la sfera familiare del titolare e le immagini non devono essere oggetto di comunicazioni a terzi o di diffusione e il trattamento non si deve estendere oltre gli ambiti di stretta pertinenza del titolare riprendendo immagini in aree comuni (anche di tipo condominiale quali scale, androni, parcheggi), luoghi aperti al pubblico (vie o piazze), o aree di pertinenza di terzi (giardini, terrazzi, porte o finestre di pertinenza di terzi). In tali circostanze, invece, il trattamento effettuato deve ritenersi illecito in quanto privo di un'idonea base giuridica.
La prova del legittimo interesse
Ma vi è un'eccezione. Infatti sul punto, viene riconosciuto il diritto (del titolare del trattamento) a tutelare il proprio diritto alla proprietà previa dimostrazione dell'effettuato esame sul legittimo interesse, da considerarsi come base giuridica eccezionalmente applicabile laddove sussistano i requisiti della necessità e dell'attualità del diritto alla tutela della proprietà privata.
Tale diritto, vive in un continuo bilanciamento con quello altrettanto riconosciuto e concernente la riservatezza del dato personale del soggetto nell'eventualità venisse ripreso dalla telecamera. L'esame sul bilanciamento in questione poi, in caso di disaccordo tra le parti, è rimesso al giudice di merito. Ciò vuol dire che nel caso in cui per riprendere la propria proprietà o una propria pertinenza, il privato si trova a violare la riservatezza altrui, riprendendo anche un'area condominiale o di terzi, bisognerà effettuare una valutazione “case by case” prima di poter ritenere legittima o meno l’installazione.
I casi concreti
Ad esempio, è stata ritenuta legittima l’installazione di un impianto di videosorveglianza privato che, però, inquadrava il pianerottolo e la porta dei dirimpettai. Tra i motivi sottesi a tale valutazione l’autorità giudicante ha inserito il fato che il condomino aveva comunque avvisato l’amministrazione, aveva apposto il cartello, aveva precedenti “collerici” con i vicini, la telecamera era installata nell’unico punto possibile, e le piccole dimensioni del pianerottolo rendevano impossibile tenere fuori dalla ripresa i luoghi di terzi o condominiali (Tribunale di Prato, sentenza del 29 giugno 2023, numero 440).
In altro caso, è stato ritenuto che «soltanto in presenza di situazioni di rischio effettivo, il titolare del trattamento può, sulla base di un legittimo interesse, estendere la ripresa delle videocamere anche ad aree che esulano dalla propria esclusiva pertinenza, purché ciò sia adeguatamente motivato e suffragato da idonea documentazione (denunce, minacce, furti).
In tali casi, il titolare del trattamento è tenuto al rispetto delle disposizioni in materia di protezione dati personali, rinvenibili nelle Linee guida 3/2019, sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video, adottate dal Comitato europeo per la protezione dei dati e nel Provvedimento generale in materia di videosorveglianza dell'8 aprile 2010 (reperibile sul sito del Garante, documento web 1712680). (Provvedimento dell'Autorità Garante 9896468 del 27 aprile 2023).
Il privato paga interamente le spese
Resta inteso che, stante la natura privata dell’impianto, spetterà al singolo condomino ogni incombente ad esso relativo, ivi compresa l'affissione della cartellonistica, la conservazione delle immagini e, nel caso di contestazione in merito all’estensione delle riprese anche ad aree che esulano la propria esclusiva pertinenza, la dimostrazione che l’installazione sia adeguatamente motivata e suffragata da idonea documentazione.
Concludendo, quindi, ogni condomino potrà installare un proprio impianto di videosorveglianza su parti comuni ma sarà responsabile del trattamento dei dati personali così trattati (audio/video) dovendo, se chiamato in tal senso, motivare alle competenti autorità le ragioni giustificatrici dell’installazione nel caso in cui la ripresa si spinga sino a luoghi comuni ad altri o di terzi.
Liti in condominio: diminuisce il contenzioso civile in tribunale e aumenta il ricorso all’arbitrato
Le statistiche della Camera arbitrale internazionale fotografano una crescita della conflittualità del 22% e un incremento delle procedure Adr con vantaggi per le parti e per la giustizia
Risolvere le dispute condominiali in tempi più brevi e spendendo meno. Stando agli ultimi dati raccolti dalla Camera arbitrale internazionale, sono sempre di più i proprietari e gli inquilini che, per mettere un punto ad alterchi infiniti causati da animali domestici indisciplinati, spese maggiorate per colpa di vicini inadempienti o problemi di gestione degli spazi comuni, optano per la strada dell’arbitrato e della mediazione. Tentando di evitare il tribunale.
Più contrasti, meno procedimenti
«I dati del ministero della Giustizia sull’andamento dei procedimenti civili evidenziano un miglioramento rispetto al 2021. Negli ultimi dodici mesi, le cause civili, di cui quelle condominiali rappresentano circa una su cinque, si sono ridotte del 5,4%», ha spiegato Rocco Guerriero, presidente della Camera arbitrale internazionale, «L’arretrato civile è così diminuito del 3,9% in Cassazione, del 14,1% in Corte d’appello e del 3% in primo grado. Per la prima volta, le pendenze civili sono scese sotto i 3 milioni, quasi dimezzandosi rispetto al 2009». Un quadro nel quale, al netto di una crescita dei contrasti in condominio, si inserisce un incremento delle procedure Adr (Alternative dispute resolution). «Le liti prettamente condominiali sono aumentate del 22% e gli arbitrati che abbiamo gestito sono cresciuti».
Allarme morosità
A rinfocolare una conflittualità che non accenna a spegnersi sono stati, soprattutto di recente, la crisi energetica e il caro bollette. «L’unica tipologia di lite condominiale che è aumentata nell’ultimo anno, complice anche il complesso quadro socio-economico, riguarda la morosità», ha aggiunto Guerriero, «Molte famiglie non riescono a versare le quote di condominio che l’amministratore è obbligato a riscuotere e questo genera contenziosi: nella maggior parte dei casi si arriva a una lite pretestuosa, ad esempio una richiesta di revoca o la mancata approvazione dei bilanci, finalizzata esclusivamente a ritardare il pagamento della quota dovuta».
Tagliare tempi e costi
Per quanto le statistiche ministeriali sulla mediazione civile evidenzino ancora come, nel 2021, siano stati pochi i procedimenti conclusi con un effettivo accordo tra le parti (un risicato 25%), arbitrato e mediazione rimangono un valido strumento di prevenzione e, talvolta, di risoluzione delle divergenze. Evitando, così, che situazioni delicate degenerino in stragi come quella di Fidene. «Spesso, nei conflitti, tempo e soldi giocano un ruolo fondamentale: un percorso giudiziario, che rischia di arrivare anche fino a otto anni con costi determinati solo alla fine, acuisce inevitabilmente tensioni e malessere – ha sottolineato il presidente – Dunque, se per il condominio la mediazione è un passaggio obbligato per la procedibilità in tribunale, l’arbitrato rappresenta un’apprezzata alternativa: la tempistica è più breve, in media tre o quattro mesi, che possono arrivare a un limite massimo di otto previsto per legge, a fronte di almeno quattro o cinque anni». Non solo: i vantaggi riguardano anche le dinamiche del procedimento e, ovviamente, le spese legali. «Ci sono costi certi, determinati dalla lunghezza della causa, un giudice arbitrale scelto per la conoscenza della materia e, non ultimo, il lodo arbitrale emesso equivale a una sentenza».
Vantaggi anche per la giustizia ordinaria
In sostanza, quindi, una strategia potenzialmente risolutiva non solo per i singoli ma anche per l’intera macchina giudiziaria. «Se per certi aspetti risulta difficile superare la conflittualità tra condòmini, è però possibile provare a ridurla», ha concluso, «E con un indubbio vantaggio collettivo: viene sgravata la giustizia ordinaria, snellendo il lavoro nei tribunali. Una strada indicata dalla stessa Europa e già inserita nella riforma Cartabia».
La delibera che decide la soppressione del servizio di portierato legittima il licenziamento del custode
La delibera che decide la soppressione del servizio di portierato legittima il licenziamento del custode
Verificate le condizioni addotte dal condominio e in assenza di irregolarità nel provvedimento, la fine del rapporto di lavoro è giustificata
Nella generalità dei casi, con il servizio di portierato, si assume un dipendente affinchè quest’ultimo controlli l’accesso in condomino, alle sale o ai piani dello stabile, predisponga un registro ove vengano indicati i visitatori esterni, sorvegli le entrate secondarie, fornisca un servizio di raccolta posta e pacchi e così via. Tante mansioni che spesso fanno nascere contrasti tra lavoratore e datore di lavoro, in merito all’inquadramento e alla retribuzione del lavoratore stesso. Le mansioni del portiere quindi non sono fisse. Esse sono regolamentate dal contratto che soggiace, nei termini essenziali relativi al rapporto professionale, al contratto nazionale collettivo di lavoro per i dipendenti da proprietari di fabbricati.
I fatti di causa
Nel caso del condomino, l’ente di gestione rappresenta il datore di lavoro che assume il dipendente con un contratto. Il Tribunale di Roma, in funzione del giudice del lavoro, con la sentenza 10157/2022 , si è pronunciato sulla legittimità del licenziamento del portiere dello stabile condominiale, nel caso in cui l’assemblea abbia deciso di sopprimere il servizio di portierato. Si legge, infatti, nella sentenza in commento, che il licenziamento del portiere era avvenuto per soppressione del posto, come deliberato dai condòmini e come riportato nel relativo verbale. Il provvedimento è stato documentato da parte resistente, la quale ha prodotto la delibera con cui l’assemblea ha deciso, per ragioni economiche, di optare per l’interruzione e liberare l’alloggio di servizio così da poterlo mettere a reddito. A queste condizioni, e in assenza di qualsivoglia elemento in ordine alla fittizzietà della decisione assunta dal condominio, la risoluzione del rapporto deve dirsi giustificata dalla soppressione del posto di lavoro.
Licenziamento giustificato
«La decisione di sopprimere il servizio è in sé insindacabile». Secondo la Suprema corte, infatti, il controllo giudiziale sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo comporta la verifica dell’assolvimento da parte del datore di lavoro dell’onere di provare l’effettività della dedotta ristrutturazione organizzativa, la sua incidenza sulla posizione rivestita in azienda dal lavoratore licenziato e la non utilizzabilità di quest’ultimo in un altro settore aziendale. Tale indagine, tuttavia, deve fermarsi alla verifica del dato oggettivo e non può estendersi a un sindacato sull’opportunità e la congruità delle scelte in materia di assetti produttivi e organizzativi, rispetto a cui l’imprenditore gode di una riserva di autonomia, garantita dall’articolo 41 della Costituzione e non limitata da una contrapposta posizione di vantaggio attribuita al lavoratore dalla legge ordinaria (Cassazione, 88/2002). Tale consolidato principio è estensibile anche a un datore di lavoro non imprenditore, come il condominio convenuto, in forza dell’articolo 1 della legge 604/66.
Il verdetto del Tribunale
Ciò posto, il Tribunale di Roma, nel decidere la controversia tra la lavoratrice e il condominio, nata sia in merito alla legittimità del licenziamento che in ordine alle pretese differenze retributive richieste dalla ricorrente, la quale lamentava anche l’essere stata adibita a mansioni superiori, accertava che doveva «ritenersi pacificamente valida la delibera (non essendo neppure dedotti elementi di segno contrario), correttamente la stessa è stata posta alla base del licenziamento e quindi il fatto è sussistente, con conseguente infondatezza della domanda».
La polizza scaduta non protegge il condominio
La polizza scaduta non protegge il condominio
Al verificarsi dell'evento che aveva danneggiato un condomino, la copertura assicurativa del condominio non era efficace
L'amministratore condominiale tra gli atti conservativi del condominio, impostigli dall'articolo 1130 Codice civile, deve curare anche di pagare tempestivamente i premi delle polizze assicurative delle parti comuni: l'inosservanza costa cara al condomino.
Il caso trattato
Un condòmino citava in giudizio il suo condominio per ottenere il risarcimento dei danni patiti, all'interno del suo appartamento, a seguito delle infiltrazioni di liquami e di acque luride provenienti dalla canna di scarico comune. Il condominio si costituiva in giudizio e chiamava in garanzia la compagnia assicuratrice per il tipo dei danni denunciati. Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il condominio a risarcire il danno e a pagare, a favore dello stesso e della compagnia assicuratrice, le spese del giudizio. Il condominio ricorreva in appello , lamentando l'insussistenza del danno e l'affermazione della mancanza della copertura assicurativa. La Corte di appello rigettava l'impugnazione e confermava la sentenza del Tribunale e condannava il condominio al pagamento delle spese di giudizio delle due convenute.
La decisione della Cassazione
Il condominio ricorreva in Cassazione sostenendo che, nella sentenza di appello, sarebbe stata indimostrata l'origine dell'evento e il suo riferimento alla parte comune condominiale e l'entità del danno e che il giudice di appello non aveva considerato l'avvenuto pagamento del premio della polizza assicuratrice. La Cassazione (ordinanza 17893/2022) rigettava il ricorso e condannava il condominio al pagamento delle spese di lite del condòmino e di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato. Il giudice di legittimità riteneva che i motivi di ricorso del condominio fossero sia infondati che inammissibili, perché erano finalizzati ad una rivalutazione delle prove già esaminate nel giudizio di merito, nel quale venivano escussi il manutentore, chiamato dal condominio per intervenire sulla colonna di scarico, e il perito assicurativo.
Pertanto, la Corte di appello aveva dichiarato l'esistenza del nesso causale tra lo sversamento dei liquami e il danno cagionato agli oggetti depositati nel locale del condòmino. Inoltre, il Giudice di appello affermava che il condominio ricorrente non aveva depositato in giudizio la ricevuta del pagamento del premio assicurativo. Pertanto, la sentenza non affrontava il tema per cui la polizza escludeva il pagamento del danno del rigurgito fognario. La Cassazione sosteneva la fondatezza dell'affermazione della Corte di appello per cui, al verificarsi dell'evento, la copertura assicurativa del condominio non era efficace. Il condominio non provava la sua affermazione di avere pagato il premio assicurativo due giorni prima dell'evento, e non il giorno successivo e, comunque, non oltre i 15 giorni di proroga della copertura assicurativa. La mancata esibizione della ricevuta del pagamento smentiva la predetta affermazione.
Il supercondominio con centrale termica può essere «sciolto» da un condominio che si distacca?
Il supercondominio con centrale termica può essere «sciolto» da un condominio che si distacca?
L'articolo 1117 bis codice civile fa riferimento alla fattispecie del supercondominio, vale a dire a quella in cui più edifici abbiano parti comuni di cui all'articolo 1117 codice civile, e, nella fattispecie, si riscontra nell'impianto elettrico e nel servizio conseguente. Quindi, la cabina di regia per assumere le decisioni del caso è quella del supercondominio. Ciò posto, in tema di condominio di edifici, poiché l’uso delle cose comuni è in funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva, la maggiore o minore comodità di uso, cui fa riferimento l’art. 1119 c.c. ai fini della divisibilità delle cose stesse, va valutata, oltre che con riferimento all’originaria consistenza ed estimazione della cosa comune, considerata nella sua funzionalità piuttosto che nella sua materialità, anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini ritraevano da esse e le utilità che ne ricaverebbero dopo la divisione.
Ove questa ultima valutazione sia apprezzabile positivamente – stando ad una appropriata relazione tecnica - vengono in auge le previsioni riportate dagli articoli 61 e 62 delle disposizioni di attuazione al Codice civile, in ordine alle modalità attraverso cui disporre la divisione. L’articolo 61, in particolare, prevede che qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato. Lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’art. 1136 del codice, o è disposto dall'autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la separazione.
Nel caso in cui però la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e siano necessarie opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio, e la costituzione di più condomini separati, possono essere approvati solo dall’assemblea condominiale con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell' edificio (cfr, articolo 62).
Revoca dell’amministratore, le risposte ai quesiti
Revoca dell’amministratore, le risposte ai quesiti
La legge dispone che l’incarico dell’amministratore dura un anno e che alla scadenza si rinnova per pari periodo. L’assemblea del mio condominio, alla scadenza del primo anno, ha provveduto alla nomina di un nuovo amministratore e adesso quello uscente pretende il pagamento del suo compenso anche per il secondo anno. È giusto ?
La pretesa dell’amministratore uscente va respinta: è proprio la legge a precisare che il rinnovo alla scadenza del mandato è subordinato al mancato esercizio da parte dell’assemblea del diritto di revoca. L’incarico resta sempre annuale, ma con rinnovo automatico per un altro anno solo se, prima della convocazione dell’assemblea non si chiede di discutere della sua revoca oppure viene chiesto espressamente di porre all’ordine del giorno la nomina dell’amministratore. La nomina di un nuovo amministratore comporta l’implicita revoca del precedente, che può pretendere, come compenso solo quello maturato per il cessato incarico già svolto.
Uso illecito di soldi, può far causa anche un solo condomino
Il nostro amministratore si è reso responsabile di gravi irregolarità, tra cui anche quella di avere usato i fondi condominiali per scopi non comuni. Vorremmo chiedere la convocazione di un’assemblea per sostituirlo: possiamo farlo o dobbiamo necessariamente chiedere l’intervento del giudice? E’ possibile chiedere il risarcimento
del danno?
L’assemblea dei condomini in ogni momento, senza ricorrere al giudice, può revocare dall’incarico l’amministratore, ancor più in presenza di gravi irregolarità da lui commesse. La relativa delibera deve essere adottata dall’assemblea dei condomini con la maggioranza dei presenti che riporti almeno la metà del valore dell’edificio. La distrazione di denaro dal conto corrente condominiale per finalità diverse da quelle comuni ai condomini costituisce peraltro un illecito penalmente perseguibile, che comunque legittima la richiesta di risarcimento dei danni tutti subiti dal condominio. Se l’assemblea non vi provvede ciascun condomino può rivolgersi all’autorità giudiziaria e in caso di accoglimento della domanda, il ricorrente, per le spese legali, ha titolo di rivalsa nei confronti del condominio che a sua volta può rivalersi nei confronti dell’amministratore revocato.
Cosa fare se l’amministratore non vuole convocare l’assemblea
Siamo un gruppo di condomini e vogliamo revocare l’amministratore. Lo abbiamo più volte invitato a convocare l’assemblea per fare deliberare su questo punto, ma lui non vuole provvedere. Come possiamo fare ?
L’assemblea deve essere convocata dall’amministratore su precisa richiesta di almeno due condomini che rappresentino minimo un sesto del valore dell’edificio; in mancanza di convocazione, inutilmente decorsi giorni dieci dalla richiesta, possono direttamente provvedervi gli stessi condomini richiedenti in base all’articolo 66 “Disposizioni Attuazione codice civile”. La modalità è la stessa usata dall’amministratore e quindi predisposizione e invio dell’avviso di convocazione, da recapitarsi almeno cinque giorni prima della data fissata per la riunione in prima convocazione (a mezzo fax, pec, raccomandata o consegna a mano) a tutti gli aventi diritto. Il ripetuto rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore è comunque giusto motivo per richiedere la revoca da parte dell’autorità giudiziaria.
Come si calcola l’eventuale cifra da risarcire in caso di revoca
Non siamo soddisfatti dell’operato del nostro amministratore perché riteniamo sia poco presente in condominio e non attento alle varie problematiche che gli sottoponiamo. Possiamo revocarlo ?
La maggioranza dell’assemblea, se ritiene che l’amministratore non dia sufficiente affidamento nella gestione dei beni e servizi comuni, può revocarlo, senza alcun obbligo di esternare i motivi della decisione. Attenzione però perché l’amministratore revocato, ai sensi dell’articolo 1725 del Codice civile, potrà agire in via ordinaria per pretendere il risarcimento del danno subito a causa della revoca ingiustificata, pari almeno al compenso pattuito per l’intero anno, escluso solo in presenza di una giusta causa a fondamento della revoca. È innegabile, infatti, che al momento della nomina l’amministratore abbia fatto affidamento sulla durata almeno annuale del suo incarico, andato deluso non già per sue specifiche responsabilità ma piuttosto per discrezionale volontà dei condomini suoi mandanti.
Stop all’incarico: tutti i motivi e la procedura, fino al Tribunale
Il mio amministratore sta gestendo il condominio in modo pessimo, ma purtroppo riesce sempre ad ottenere in assemblea il voto favorevole di parecchi condomini che, incuranti delle mie molteplici censure sul di lui operato, continuano a rinnovargli la fiducia. Quali sono i casi in presenza dei quali la legge prevede la possibilità di richiedere la sua revoca ?
L’articolo 1129 Cc, al comma 11, contempla anche altri motivi che giustificano la revoca, quali la mancata informazione circa la notifica di provvedimento giudiziari, la mancata resa del conto della sua gestione oppure quando l’amministratore abbia commesso gravi irregolarità. I confini della nozione di gravi irregolarità sono lasciati volutamente indefiniti dal legislatore, il quale tuttavia provvede comunque a stilare un elenco non esaustivo di azioni od omissioni che possono essere ricondotti a tale concetto. Nel disciplinare, infatti, la revoca dell’amministratore di condominio, il Codice civile si occupa di due fattispecie in maniera particolare rispetto alle altre: quella in cui l’amministratore abbia commesso gravi irregolarità fiscali e quella in cui egli non abbia aperto o utilizzato il conto corrente condominiale. Se esse si verificano, anche il singolo condomino può innanzitutto chiedere la convocazione di assemblea per fare cessare la violazione e revocare il mandato all’amministratore. Se l’assemblea non vi provvede, può rivolgersi al Tribunale del luogo in cui è sito il condominio, che decide dopo avere sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente.
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