Studio Solidale di psicoterapia
Un osservatorio sulla salute mentale
«... di cose disconnesse e della ricerca di momenti di connessione». Così Sofia Coppola parlava del suo film Lost in translation 2003.
Così noi, sempre alla ricerca di momenti di connessione, dovremmo imparare a custodirli e valorizzarli.
Una bella occasione per fare esperienza di comunità
- A volte vorrei dormire e svegliarmi solo a 18 anni, evitarmi tutta questa m***a, il liceo e tutto il resto.
- Conosci Marcel Proust?
- Il tizio che insegni tu?
- Sì. Scrittore francese, perdente assoluto: mai fatto un lavoro vero, amori non corrisposti, gay; passa vent'anni a scrivere un libro che quasi nessuno legge, ma è forse il più grande scrittore dopo Shakespeare. Comunque, arrivato alla fine della sua vita, si guarda indietro e conclude che tutti gli anni in cui ha sofferto erano gli anni migliori della sua vita, perché lo hanno reso ciò che era. Gli anni in cui è stato felice, tutti sprecati: non gli hanno insegnato niente. Perciò, se vuoi dormire fino a 18 anni... Ah, pensa alle sofferenze che ti perdi. Il liceo dici? Quegli anni sono il fior fiore delle sofferenze. Non ci sono sofferenze migliori.
Eh si. Bisogna proprio dirlo ai ragazzi.
(L'adolescente Dwayne e suo zio Frank in
Little Miss Sunshine 2006).
Del profondo capirsi e amarsi.
Ma amare è una cosa che si impara? Anche.
E poi, a me Nuto piaceva perché andavamo d'accordo e mi trattava come un amico. Aveva già allora quegli occhi forati, da gatto, e quando aveva detto una cosa finiva: "Se sbaglio, correggimi". Fu così che cominciai a capire che non si parla solamente per dire "ho fatto questo" "ho fatto quello" "ho mangiato e bevuto" (...) ma si parla per farsi un'idea, per capire come va questo mondo. Non ci avevo mai pensato prima (...). A me ascoltare quei discorsi, essere amico di Nuto, conoscerlo così, mi faceva l'effetto del bere del vino e sentir suonare la musica. Mi vergognavo di essere soltanto un ragazzo, un servitore, di non sapere chiacchierare come lui, e mi pareva che da solo non sarei mai riuscito a far niente. Ma lui mi dava confidenza (...). Mi diceva (...) "Cos'hai paura, una cosa s'impara facendola. Basta averne voglia... se sbaglio correggimi".
(C. Pavese, La luna e i falò)
Proprio così, "Cos'hai paura? Una cosa s'impara facendola ..."
Un uomo può iniziare a bere perché si sente un fallito, e diventarlo ancor più completamente perché beve. Lo stesso sta ora avvenendo con la lingua. Poiché i nostri pensieri sono fatui, la lingua diventa sgradevole e sciatta, ma la trascuratezza della lingua favorisce a sua volta la tendenza ad avere fatui pensieri.
(G.Orwell)
Sempre: nella cura di sé e degli altri abbiate cura delle parole!
Perché (...) anche con un padre che lo delude e lo fa arrabbiare, i momenti che passa con lui sono straordinariamente intensi, e grandissimo è il rimpianto in cui si strugge. Era ancora un ragazzo disarmato in un ginepraio. Questo prima che cauterizzasse le sue ferite trasformandosi in un saccentone.
(P. Roth, L'animale morente)
Talvolta, in effetti, l'essere saccente è un modo di difendersi dalla voglia e dal disagio dell'intimità. Una difesa che nasce dall'impossibilità di sorridere dei piccoli errori, dall'impossibilità di avere fiducia nell'accoglienza dell'altro.
E quando questa fiducia non si è sviluppata e, piuttosto si ripetono e reinnescano copioni rifiutanti, è perché non si è potuto sperimentare un contenimento affettivo adeguato, corredato di sorrisi, rassicurazioni e di (benedetti) "Non preoccuparti".
- Pensaci su. D'accordo?
- Non so, papà. Vedremo. Tu cosa ne pensi mamma?
- Sarebbe bello averti qui. Potresti vivere in casa con me.
- Ci renderemmo infelici a vicenda. Lo sai che finirebbe così.
- Be', non lo so, rispose. Tu non mi renderesti infelice. Stai dicendo che io renderei infelice te.
- Non voglio dire nulla mamma
(Benedizione, Kent Haruf)
La cosa più importante che può fare un genitore per suo figlio è lasciarlo andare. Prima al parco, in bici, in metropolitana, e poi pian piano nel mondo. E ce n'é un'altra cosa importante che i genitori possono fare per i figli: lasciare che ritornino, quando vogliono
Laciare che tornino a fare rifornimento d'amore.
Non trattenerli nell'illusione di proteggerli.
- Sono quindici anni che mi trattengo, che mi difendo, che faccio scudo, e finalmente adesso sento questo desiderio di rimettermi in gioco, di lasciarmi un po' andare. E voglio farlo dottoressa, devo farlo, a costo che poi vengo qua tutti i giorni a piangere
- Non credo occorrerà
Lo diceva tra le lacrime, ma sorridendo, tra la paura e la voglia di vivere, con immensa tenerezza.
«C’è qualche cosa, dimmi che cosa c’è» e quando il marito le chiedeva che cosa, lei rispondeva: «Io non lo so, ma c’è qualche cosa».
Questo celebre frammento della malata di Sandberg (Jaspers, 1913) descrive la fase che precede l'esordio schizofrenico. Fase in cui le persone sentono che c’è qualche cosa di inquietante, qualcosa di nuovo, qualcosa che (poi scopriranno essere il senso, la visione del mondo) si sta riorganizzando. È la fase che precede il delirio. In cui, poi, si viene stabilmente catturati. Questa fase, nota come Stimmung o anche come "atmosfera del venerdì santo" (Callieri, 1995), ha tutto il sapore estraneo, enigmatico, sinistro di una metamorfosi inquietante in cui pian piano si allenta l'aggancio con il senso comune, il senso del reale, per lasciare spazio al delirio.
E compito del terapeuta è costruire il più possibile dei ponti tra quest'esperienza del paziente, ovvero tra il suo spontaneo "ricovero" in questa visione del mondo: il delirio, e il "ricovero", per così dire, o meglio l'ospitalità, nel più vasto e complicato mondo.
Scendete da quel cavallo, ordinò Dad.
Papà, disse Frank. Va tutto bene.
Scendete da lì.
Frank scivolò a terra, seguito dall'altro ragazzo. Rimasero in attesa, guardando Dad.
Che cosa diavolo pensavate di fare? Disse lui.
Non stiamo facendo del male a nessuno, rispose Franck.
(...) Dammi quella dannata bestia. E toglietevi subito quei dannati vestiti. (...) I ragazzi si erano tolti i vestiti e si stavano dando da fare per levarsi i reggiseni. Sembravano piccoli animali senza pelo. Gelati e impauriti. Gli volsero la schiena e abbassarono le mutandine di seta di Lorraine, quindi si diressero tremando verso la greppia, dove c'erano i loro vestiti appesi a un chiodo, e si misero i pantaloni, le camicie e le giacche invernali. (...)
Mi vuoi dire cos'è questa storia?
Non c'è niente da dire, rispose Frank.
Quelli erano i vestiti di tua sorella. (....) Gesù Cristo. Guardo Frank, studiando il suo volto. Che cosa dovrei fare?
Devi lasciarmi in pace.
Devo lasciarti in pace.
Per favore.
Dad lo guardò. Cristo, disse. Ma tu che cosa sei?
Sono soltanto tuo figlio, è tutto quello che sono.
(Benedizione, Kent Haruf)
Proprio così, dopo anni di liti feroci o silenzi feroci "Sono soltanto tuo figlio", tua figlia, è tutto quello di cui si ha bisogno.
Da tanto tempo aveva rinunziato a dedicare la vita a uno scopo ideale limitandola al perseguimento di soddisfazioni quotidiane e, senza dirselo esplicitamente, credeva che ormai sarebbe stato così fino alla morte. Così aveva preso l’abitudine di rifugiarsi in pensieri senza importanza, che gli permettevano di lasciar da parte l’essenza della cose (…). Conversando si sforzava di non esprimere mai con calore un’opinione intima (…) era di una precisione estrema per una ricetta di cucina, la data di nascita o di morte di un pittore (…) talvolta, malgrado tutto, si lasciava andare a esprimere un giudizio su un modo d’intendere la vita, ma allora dava alle parole un’intonazione ironica, come se non aderisse per intero a quello che diceva (Alla ricerca del tempo perduto)
Una delle esperienze che si fa in terapia, invece, è la possibilità di uscire dal "rifugio" dei pensieri senza importanza.
La possibilità di immergersi intensamente in se stessi, e nel mondo.
- "Sono stanco, prigioniero delle scelte che non faccio. Ho 44 anni e sono ancora qui, a casa dei miei. E vorrei vorrei tanto andarmene, e non avrei difficoltà economiche a riguardo, ma poi... ho paura"
Spesso il compito più importante dei terapeuti é aiutare i pazienti a rimuovere gli ostacoli che bloccano la loro crescita: "Non dovevo essere io a compiere l'intero lavoro; non dovevo ispirare al paziente desiderio di crescere, curiosità, volontà, gusto per la vita, premura, fedeltà, o un'altra qualsiasi della miriade di caratteristiche che ci rendono pienamente umani. No quello che io dovevo fare era identificare e rimuovere gli ostacoli: il resto sarebbe venuto automaticamente, alimentato dalle forze di autorealizzazione del paziente" (Yalom, Il dono della terapia).
Ed è tra le cose più belle, quel naturale fiorire e rifiorire, che paziente e terapeuta possano condividere.
- Mi sento rotto, tutto rotto, e ho paura che se continuo a raccontarmi e raccontarle questa storia vada definitivamente in frantumi
- Questo è un posto in cui lei può lasciare i suoi pezzi in frantumi, guardarli insieme a me, lasciarli qui, e poi e pian piano ripararli se possibile, o conservarli
Di fatto questa è un'esperienza comune in terapia: parlare di sé o dei propri affetti più cari, mettendo sinceramente a fuoco le criticità, fa paura. Come se qualcosa potesse rompersi per sempre. Invece, una buona terapia contiene, ripara. Accresce la capacità di comprendere, di "digerire", per così, dire le esperienze. E questo forse non cambia tutto ma dà strumenti relazionali nuovi, che a lungo andare modificano le reazioni con gli altri, e alimentando una pace interiore, un senso di competenza affettiva e di libertà prima del tutto insperata
La mattina del 1° gennaio si levò, come tutte le mattine del mondo, sulle nostre esistenze problematiche. Mi levai anch’io, dedicando per parte mia un’attenzione molto relativa a quella mattina (M. Houellebecq – Serotonina)
Ha tentato l’impresa più difficile che un essere umano possa mai intraprendere nella vita. Sa che cosa ha fatto? Ha cercato di cancellare il sentimento con la ragione. Come se qualcuno, con i più svariati artifici, tentasse di convincere un pezzo di dinamite a non esplodere
(La donna giusta – Sandor Marai)
Molte volte, per mille ragioni, cerchiamo di non dare ascolto a un sentimento che ci segnala chiaramente qualcosa. Può trattarsi di una situazione lavorativa che non ci soddisfa più, o che non ci ha mai soddisfatto, di una relazione, di qualsia condizione esistenziale ... che per mille apparenti "buone ragioni", e mille altre paure, cerchiamo di non ascoltare. Quest'impresa può portarci a seppellire alcune verità, e con esse alcune parti di noi stessi.
Sono molti i modi per farlo.
Ma un sentimento va ascoltato, semplicemente perché non si può non farlo, poi si può anche scegliere di non assecondarlo, di custodirlo dentro di sé, ma non avendone paura, non negandolo, non razionalizzando inutilmente. Diversamente questa "impresa" rischia di tradursi in malessere: ansie, ipocondrie, tensioni, ossessioni ... e tutti modi che la nostra psiche conosce per ripresentarci ciò che abbiamo tentato di "cancellare". Come se si potesse.
"Non è una cosa bella svegliarsi sempre stanco. Ho visto fare questa cosa per una vita, non voglio farla anch'io"
Sono molti i pazienti che parlano delle "depressioni" dei loro genitori, della paura di somigliarvi, un giorno, mentre scoprono l'influenza che questo ha avuto sulla loro crescita, sul loro stile relazionale, sul loro modo di stare al mondo. Molte volte ci succede di confortarli sul fatto che non è tutta una questione di “eredità genetica”, che si può guarire o non ammalarsi rivisitando la propria storia evolutiva.
Rivisitare la propria storia, infatti, è il modo più efficace per non riproporre inconsapevolmente (né a se stessi, né agli altri) dinamiche passata, stanche e stantie.
Aggiungiamo che non sempre occorre una farmacoterapia, ma che quando occorre la differenza tra l'uso esclusivo dei farmaci e l’integrazione tra farmaci e psicoterapia è decisiva. Nel senso che la possibilità di rivisitare la propria storia, per non riproporla inconsapevolmente, è un fattore protettivo che arriva più in profondità della sola attenuazione farmacologica dei sintomi.
Parlavamo di cose banali senza mai litigare. I nostri rapporti erano cordiali e inesistenti, muti ma mai violenti. Anche se a ben vedere le coppie che non urlano, non si arrabbiano mai e si trattano con indifferenza spesso vivono nella più grande violenza che ci sia. Niente piatti rotti, a casa nostra, né finestre da chiudere per non farsi sentire dai vicini. Solo silenzio.
(Cambiare l'acqua ai fiori, Valèrie Perrin)
Sono molti i modi in cui coppia può perdere l'interesse reciproco, l'incanto del conoscersi, del riconoscersi, del sapersi irriducibilmente diversi ma alleati. E sono molte anche le stagioni che attendono le coppie, che mutano le loro intese.
Per questo, la terapia di coppia può diventare uno spazio dove ritrovarsi, riemergere dai silenzi, dalle "stanze" e dalle distanze, dalle incomprensioni e le ferite reciproche. Uno spazio protetto per ritrovare le parole, e ritrovarsi attraverso le parole, a partire dalle quali, decidere insieme come prendersi cura del legame.
- Sa, da quando abbiamo iniziato a parlare, anche se questo è solo il nostro terzo incontro, io parlo con lei tutti i giorni
E' questo il senso di un'analisi: attivare un dialogo interno, usando per un po' il terapeuta come pretesto, come interlocutore e reale e immaginario.
- E a me fa piacere che lei mi parli ogni giorno.
Come aveva vissuto Mario, in quegli anni, lo sapemmo a poco a poco, a strappi, dalle frasi laconiche e spazientite che buttava là ogni tanto, sbuffando e alzando le spalle, quasi irritato che non sapessimo nulla
(Lessico familiare – Natalia Ginzburg)
Anche in terapia, all'inizio, la narrazione può non procedere spedita. Perché, benché il paziente conosca la sua storia, non l'ha mai raccontata. Così inizialmente può avere l'impressione di sono sapere che dire, o che non ci sia nulla da dire. Ma quando s'immerge nella narrazione, sostenuto da un ascolto attento e accogliente, allora sì che le cose un tempo mute, trascurabili e insignificanti, acquisiscono vita, allora sì che si moltiplicano i ricordi, gli aneddoti, i significati. Allora sì che la vita psichica fiorisce.
E non solo.
Se adesso mi vedete conciato male, la prossima volta non mi riconoscerete neppure. Questa per me è la fine, lo giuro.
(Un amore senza fine, Scott Spencer).
Questo genere di messaggi è frequente e tipico tra i pazienti con tratti o vero e proprio disturbo borderline. Un giorno ne ho letto uno stralcio a una paziente con l'intenzione di aiutarla a riconoscere l'effetto dei suoi comportamenti, nonché d'imparare a gestire la rabbia (che come ogni emozione è un'informazione emotiva importante, ma bisogna "saperla usare"). Solo più tardi, nel corso della terapia, lei ha capito, ha preso contatto con le sue parti inconsapevolmente "aggressive", perché sofferenti, ha imparato a gestirle, dando così prova di una grande umanità, che sa riconoscere e curarle le proprie ferite piuttosto che reiterarle. Rimane un sentimento profondo di alleanza e fiducia tra noi, che manterremo sempre, mentre iniziamo a parlare di tutto questo al passato.
Le colleghe. La rete. La solidarietà.
- "So che può sembrare stupido ma ho aperto l'armadio e sono rimasta lì così per un po' ... nessuno ti insegna cosa devi mettere a un funerale, a 15 anni"
- "No, non mi sembra affatto stupido invece ..."
A proposito di un vissuto sempre difficile da indossare. A quindici anni, poi.
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.
Noi siamo qui, a lavoro online, ma proveremo a starvi vicino anche scrivendo, raccontando e, naturalmente, rendendoci disponibili ad ascoltare e rispondere alle domande. E, se necessario, a guidarvi per ricevere un supporto tramite chiamate e/o video-chiamate ai servizi appositi.
Rispondiamo nell'interfaccia di e anche tramite il giornale , che ringraziamo.
insanitas.it Ansia, paure, angosce: il nostro supporto psicologico contro il virus in collaborazione con la psicologa e psicoterapeuta Anna Maria Ferraro.
InSanitas.it
Insieme al silenzio che questa storia ci ha scavato, e lasciato, dentro, alcune riflessioni su Noa e noi.
Nuovo appuntamento con il nostro Blog, questa volta tocchiamo un tema di cronaca molto delicato ... buona lettura e, soprattutto, buona riflessione.
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Our Story
Studio Solidale di Psicoterapia é un progetto - una rete informale - all'interno della quale trovare terapeuti esperti e attenti alla sostenibilità dei percorsi terapeutici. E' una realtà nuova nell'ambito della salute mentale che si distingue per la facilità d'accesso e perché è un circuito virtuoso ed auto-sostenibile.
Con un funzionamento semplice e snello, infatti, Studio Solidale amplia e migliora il sistema di welfare territoriale accogliendo quella vasta porzione d'utenza che, attualmente non trova risposte pronte o adeguate né nei servizi pubblici, né negli studi privati (per motivi diversi: costi, liste d'attesa, ecc.)
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