La salute vien mangiando - Nutrizionista Giuseppe Rossitto

La salute vien mangiando - Nutrizionista Giuseppe Rossitto

La base di partenza è la coscienza alimentare, viatico per una sana e corretta alimentazione. Tutto

Il ruolo del nutrizionista è quello di creare una sana coscienza alimentare, accompagnare, chi si rivolge a lui, in un percorso di vita differente. Raggiungere un’armonia con il cibo, un equilibrio, che permette di gestire al meglio le nostre attività di tutti i giorni. Perché una sana alimentazione significa avere stile di vita più salutare, scegliere i prodotti giusti, allacciare con il cibo un rapporto di fiducia, e rapportarsi con il proprio corpo in maniera rispettosa.

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Combination of Hypoglycemia and Metformin Impairs Tumor Metabolic Plasticity and Growth by Modulating the PP2A-GSK3β-MCL-1 Axis 08/05/2019

TUMORI A STECCHETTO

Dieta ipoglicemica e assunzione di metformina possono uccidere le cellule tumorali.

imm1Un gruppo di ricercatori coordinati da Saverio Minucci, Direttore del Programma Nuovi Farmaci dell’Istituto Europeo di Oncologia e Professore Ordinario di Patologia Generale dell’Università degli Studi di Milano (in collaborazione con il gruppo di Marco Foiani, Direttore Scientifico dell’IFOM e Professore Ordinario di Biologia Molecolare dell’Università degli Studi di Milano), ha scoperto un inedito meccanismo molecolare in grado, se attivato, di far morire “di fame” le cellule tumorali. I risultati della ricerca, sostenuta da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, appaiono sulla prestigiosa rivista scientifica Cancer Cell.

Si tratta di una nuova strategia per combattere il cancro attaccando il suo metabolismo alterato. I ricercatori hanno scoperto che una dieta che porti a un abbassamento della glicemia, associata alla somministrazione di metformina, innesca una reazione a catena che, coinvolgendo la proteina PP2A, porta alla morte delle cellule tumorali. La metformina è un farmaco ben noto e ampiamente utilizzato contro il diabete di tipo II. Nello studio sono stati già coinvolti altri centri che avvieranno a breve studi clinici.

Nella sperimentazione clinica dovrà essere confermata la tollerabilità della combinazione e inoltre in via preliminare si dovrà valutare l’efficacia della combinazione di una dieta ipoglicemica e metformina per fermare la progressione del tumore, in aggiunta a terapie già in uso come la chemioterapia.

Studi precedenti hanno già dimostrato che i pazienti in terapia chemioterapica tollerano bene sia la riduzione glicemica, sia l’assunzione di metformina.

«Si sa da circa un secolo che il metabolismo è una delle differenze chiave fra la cellula cancerosa e quella sana – spiega Minucci – e quindi deve essere possibile uccidere le cellule malate sfruttando questa differenza. La cellula usa due processi per generare energia: la glicolisi, che si basa sulla disponibilità di glucosio, e la fosforilazione ossidativa, che può essere inibita con la metformina. Noi abbiamo pensato di attaccare il metabolismo mirando al fenomeno della “plasticità metabolica”, vale a dire la strategia con cui la cellula cancerosa si adatta, passando dalla glicolisi alla fosforilazione ossidativa e viceversa, in condizioni di mancanza di nutrimento. Nel nostro studio, riducendo il tasso glicemico con la dieta e somministrando metformina, abbiamo inibito la plasticità metabolica e abbiamo fatto morire le cellule tumorali. Ma siamo andati oltre, scandagliando il meccanismo dell’effetto sinergico di dieta e metformina. Grazie a una dettagliata analisi funzionale a livello molecolare, abbiamo scoperto che ciò che fa morire la cellula tumorale è l’attivazione della proteina PP2A e del suo circuito molecolare. Questo è un dato importante non solo dal punto di vista scientifico, ma anche utile per la clinica. Ipotizziamo infatti che i pazienti che presentano una mutazione in questo circuito potrebbero non rispondere alla futura terapia con dieta e metformina».

«Siamo nelle condizioni di avviare immediatamente studi clinici – conclude Minucci – e questo passaggio così rapido è molto raro nel passaggio dalla ricerca di base alla clinica, ed è per noi motivo di grande soddisfazione e di aspettativa per gli sviluppi futuri».

Fonte: Comunicato stampa
Link allo studio: https://www.cell.com/cancer-cell/fulltext/S1535-6108(19)30152-7


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Microbiota intestinale e peso corporeo, ecco come la microflora può influire su un aumento di peso

Nei momenti in cui vi sentite soli, pensate che il vostro organismo è accompagnato da circa 39 trilioni di batteri. La maggior parte di questi microrganismi sono localizzati a livello intestinale e la loro composizione, influenzata da abitudini alimentari, genetica, stress, attività fisica, ecc.., può avere effetti sulla digestione, sui processi metabolici, sul sistema immunitario, sulla salute intera dell’organismo e anche sul peso corporeo.

Proprio riguardo a quest’ultimo aspetto, eccovi qualche esempio su come il microbiota intestinale può influire sul peso corporeo.

La composizione del microbiota intestinale Influisce sui processi metabolici

Il microbiota intestinale, interagendo direttamente con il cibo introdotto, influisce sull’assorbimento dei nutrienti e sui processi metabolici a livello intestinale. In particolare, come dimostrano varie evidenze scientifiche, la diversità nella composizione del microbiota intestinale differisce tra soggetti obesi e tra soggetti normopeso.

Ad esempio, in uno studio del 2009 pubblicato su Nature, nel quale è stato analizzato il microbiota intestinale di 77 coppie di gemelli, uno dei quali era obeso e l’altro normopeso, è stato visto come la composizione dei batteri intestinali fosse differente. In particolare i gemelli obesi presentavano una minore diversità nella composizione del microbiota intestinale.

Come se non bastasse, in un lavoro del 2013 pubblicato su Science è stato visto come, dopo aver prelevato parte del microbiota intestinale dai soggetti obesi e dopo averlo trasferito in topi di laboratorio, i topi aumentassero di peso, a prescindere dal tipo di alimentazione giornaliera.

In tutto ciò potrebbe influire non solo il tipo di alimentazione, ma anche l’interazione tra alimenti e microbiota intestinale. Le fibre, contenute in frutta e verdura, non sono digeribili dall’organismo, ma “nutrire” i batteri intestinali con la conseguente produzione di acidi grassi a catena corta come il butirrato, associati ad effetti benefici alla salute e anche alla perdita di peso.


La diversità nella composizione del microbiota intestinale è un fattore particolarmente importante.

Ad esempio, il rapporto Prevotella/ Bacterioides. I primi sono implicati nella digestione di fibre e carboidrati, mentre i secondi in quella di proteine animali.

In uno studio danese del 2017 pubblicato sulla rivista International Journal of Obesity , condotto su 62 soggetti che hanno seguito per 26 settimane un regime alimentare caratterizzato da cereali integrali e verdura, coloro con un rapporto maggiore Prevotella/Bacterioides nella composizione del microbiota intestinale hanno perso mediamente 2.3 Kg di massa grassa in più rispetto a coloro con questo rapporto inferiore.

Questi ovviamente sono soltanto alcuni esempi. La composizione del microbiota intestinale può influire anche sull’assorbimento dei grassi a livello intestinale con effetti positivi o negativi sul peso corporeo.

I batteri producono composti in grado di influire su senso di fame e sazietà


Nell’organismo sono diversi gli ormoni che, sotto un finissimo equilibrio, regolano l’appetito tra cui la leptina, il peptide YY, la grelina. Vari studi evidenziano come il microbiota intestinale possa influire su questo equilibrio, a partire proprio dalla produzione di questi ormoni, e quindi sulla regolazione del senso di fame o quello di sazietà. Fattori che sono strettamente correlati all’introduzione calorica giornaliera e che influiscono sul peso corporeo.

Ad esempio, gli acidi grassi a catena corta, ovvero i composti che vengono prodotti dai batteri intestinali fermentando le fibre introdotte con gli alimenti vegetali, sono importanti nello stimolare il senso di sazietà.

In un lavoro pubblicato su Gut nel novembre del 2015 e condotto su 60 adulti in sovrappeso, l’introduzione per 24 settimane di propionato, un altro tipo di acido grasso a catena corta prodotto dai batteri amici intestinali, è risultata essere associata ad aumentati livelli di Peptide Y e di GLP-1 (peptide simile al glucagone-1), con conseguente introduzione calorica inferiore e perdita di peso.

Ma non occorre di certo un integratore di propionato per stimolare il senso di sazietà, ma è possibile ottenerlo consumando regolarmente frutta e verdura, ovvero alimenti ricchi di fibre in grado di essere fermentate con la produzione conseguente di acidi grassi a catena corta.

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