Racconti brevi di Roberto Peloi
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In questa pagina troverai i racconti più recenti che mi diverto a scrivere. Sono curioso di sentire i vostri pareri!
Vi propongo un altro racconto. Anche questo lo potete interpretare secondo la vostra sensibilità. Spero che vi piaccia !
LA GABBIA di Roberto Peloi
Sono una scimmia arrabbiata. Arrabbiata perché sono imprigionata in una gabbia di uno zoo. Arrabbiata perché faccio spettacolo agli umani. Arrabbiata perché i miei guardiani sono tutti delle canaglie ed io sbocco alla loro vista. Arrabbiata perché sono stata rapita e portata qui contro la mia volontà. Arrabbiata perché le mie compagne si sono adeguate e fanno le cretine per gli umani. Io no. Io se posso li danneggio. Se riesco faccio loro del male. Urlo e grido e loro dicono che sono impazzita, ma è l'unico modo per sentirmi viva. Per ricordare la savana dove sono nata. Io non posso dimenticare il Kilimangiaro. Non posso dimenticare che mi arrampicavo sugli alberi più alti per ammirarlo. Enorme e maestoso. La montagna più alta dell'Africa. Non posso dimenticare la lotta violenta e crudele per la vita che osservavo dall'alto. Non posso dimenticare il magnifico leopardo che mi voleva divorare. Non posso dimenticare la paura che mi atterriva quando venivo cacciata. Non posso dimenticare come mi lanciavo dagli alberi per fuggire. Lo spavento e la gioia di essere viva. Ma quella era la mia vita. Non quella finta di adesso. Ma quando quello stordito ha dimenticato di chiudere la gabbia ed è andato a fumarsi una sigaretta non ho esitato. Ero una furia. Mi sono lanciata come quelle volte e sono fuggita fuori da quelle maledette sbarre. Erano tutti impazziti là sotto a rimpallarsi la colpa. "Sei stato tu, no tu, è colpa tua, sei il solito rintronato". Umani del cavolo. Allora ho cominciato a ti**re le pigne. Quelle belle pesanti. E loro scappavano veloci come antilopi per paura di prenderle in testa. Uno ha tentato di arrampicarsi per ve**re a catturarmi con il lazo e la rete. L'ho centrato in pieno con una pigna. Urlava come un'anatra azzoppata mentre gli altri chiamavano l'ambulanza attaccati ai loro telefonini nuovi di zecca. Mi sento bene qui sopra. Ma non è l'Africa. Vedo i casermoni della città e le ciminiere delle fabbriche. Quei maledetti non mi avranno. Devono sudarsela alla grande. Una piccola scimmia arrabbiata ha messo in crisi il loro lager. Basta proprio poco per mandarli fuori di testa. Le mie compagne stanno zitte. Poverette. Mi fanno pena. Abituate ad una vita da schiave. A fare le sceme quando arrivano le famiglie coi bambini. A prendere al volo le noccioline per avere l'applauso. Il ta-ta-ta-ta- dell'elicottero mi mette in subbuglio. Come quando vedevo il leopardo appollaiato sul ramo che mi guardava con i suoi occhi gialli di morte. Quel motore ha un rombo di guerra. Sembra Apocalypse now. E' a dieci metri da me. Vedo la faccia da ebete dell'umano con i Rayban che mi osserva. Ha la stessa divisa di quelli che mi hanno rapita in Africa. Prende il fucile e me lo punta contro. Sento un "fluff" e la pallottola anestetica mi colpisce la zampa e non ricordo più niente.
Roberto Peloi
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Ecco l'ultimo racconto che ho scritto che ognuno di voi può interpretare come meglio crede.
IL GENERALE
Il generale non riusciva più a dormire. Nemmeno con i sonniferi. I suoi temuti servizi segreti gli spedivano dispacci allarmanti di soldati che disertavano e di tanta gente alla fame nelle città e nelle campagne. Fuochi di rivolta si levavano da tutta la nazione. Una mano invisibile accendeva il cerino dove nessuno se lo aspettava e la polizia non riusciva a reprimere i disordini. Anche il suo esercito era ormai fiaccato da una guerra senza senso. I soldati non lo amavano più. Le decimazioni lo avevano reso inviso a tutti e nelle trincee lo sbeffeggiavano per il suo attendente gay. Erano ormai lontani i bagni di folla in cui accarezzava i bambini e stringeva migliaia di mani felici di toccarlo. Allora era considerato quasi un santo. Tutti lo osannavano per le prime vittorie. Ma adesso era cambiato tutto. In pochi mesi il nemico si era riorganizzato ed era arrivato l'inverno. Nelle trincee le truppe annegavano nel fango e nella fame. I rifornimenti e le munizioni giungevano al fronte con il contagocce. Aveva subito capito che anche all'interno del suo stato maggiore avevano incominciato a tradirlo. Quella notte, però, era riuscito finalmente a prendere sonno. Ma era stato peggio. Nel buio enormi avvoltoi lo braccavano e lui era da solo a fronteggiare quelle belve preistoriche che non gli davano tregua. Fuggiva arrancando tra le pietre taglienti del Carso dove erano morti inutilmente centinaia di migliaia di soldati. Gli avvoltoi si prendevano gioco di lui. Come degli aereoplani si tuffavano in picchiata per strappargli un lembo di pelle alla volta. Lui era sempre più debole e stanco mentre gli uccelli lanciavano al cielo i loro stridii di vittoria. Si era lasciato cadere esausto su una roccia paralizzato dal terrore. Pensava a tutti quelli che aveva fatto fucilare e a quelli che aveva fatto imprigionare per una parola sbagliata. Nel dormiveglia ora li vedeva tutti davanti a sè. Una folla enorme lo osservava indifferente mentre lui stava agonizzando. In quel momento il suo attendente lo svegliò entrando all'improvviso nella sua stanza. Prese il foglio ed iniziò a leggerlo con attenzione. Vide solo per una frazione di secondo la canna brunita del revolver puntato contro di lui. Poi non pensò più a niente.
Roberto Peloi
Roberto Peloi
Il protagonista di questa storia è Vittorio che da ragazzino ha una cotta per Giulia e nel frattempo gioca a tennis🎾
L'ultimo racconto breve che ho scritto che ognuno può interpretare a suo piacimento.😄
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