International & Criminal Law - Diario di Diritto Penale

Una comunità di persone interessate al, e dunque intercettate dal, discorso penalistico. Questa pagina, queste pagine, sono solo frutto di una coincidenza.

Letteralmente. Un centinaio di studenti e una manciata di docenti hanno co-inciso, creando spontaneamente una comunità di persone interessate al, e dunque intercettate dal, discorso penalistico. Nella misura in cui questi giovani sono stati la ragione, l’ispirazione, lo stimolo e il sostegno per numerose condivise esperienze di conoscenza e riflessione sul diritto penale e dintorni, questa pagina,

23/05/2021

Venti9.

Boom. Onde. Shhht.
Samurai e Paladini. Benkei e Orlando. Uomini e Pupi. Sicilia e Giappone. Furia guerriera. Isole. Bombe. Onde.
- "Buongiorno, si accomodi; come prima domanda, analizzi la deformazione dei fluidi nelle reazioni di combustione ed esplosione". -.

Drammi ingenui. Colori pastello.
Ferraglia che sferraglia. Il Puparo, grande e dunque invisibile. Cadere a Roncisvalle. Intenso, grandioso, semplice.
Come la poesia. Il prurito. Come la verità.

- "(…) sì ecco, la detonazione è una reazione chimica esplosiva che avviene mediante la propagazione supersonica di un fronte di fiamma che forma un’onda d’urto in cui i fluidi (…)" -.

Capaci.
D’un ricordo. Significa trasportarlo. E il sale è il suo vettore.
Onde. Come quegli anelli oleosi nel mare, calmo ma penetrato. Ipnosi.
Spostare energia senza muovere materia. Come le dicerie. Le magie.
Non movimento di. Ma movimento attraverso. Onde.

- "(...) beh, grazie molte Professore, intanto penso solo alla laurea in fisica, poi non so. Chissà. Senza particolari ambizioni, a dire il vero. Forse vorrei solo perfezione, così da non dover avere più paura." -.

Come quel disagio talvolta quando l’acqua dolce non ha lavato la nuotata. E i cristalli di sale si puntano sulla pelle. Con tutto quel calore strano, come imprigionato dentro. Che sa come di sgualcito. Di logoro. D’umido che non s’asciuga. Squallido quasi. Dentro.

Venti 9.
Boom. Onde. Shhhhht.

08/04/2019

Unplugged

Nel 1987, a Seattle, una ragazzina di 14 anni veniva rapita, legata, torturata e violentata.
Poco dopo, un ragazzo dall’animo potente e fragile, dalla voce che suonava grezza come una speranza incompiuta, un ragazzo emarginato e troppo sensibile…decise di fare una cosa davvero molto difficile: scrivere un testo e una musica dalla prospettiva del criminale. Dello stupratore. Dell’orco.
È Polly.
Polly che vuole un cracker. Polly che vuole dell’acqua. Polly che vuole essere slegata. Polly dalle ali sporche e tagliate. Polly che la schiena fa male. Polly che lo deve aiutare ad aver piacere. Polly.
Nella performance di fine 1993 a New York City, la potenza intima della sua musica svela tutto di quel ragazzo. E Polly è la sua impronta chiara.
Perché Kurt Cobain arriva dove mai nessuno. Arriva a ridefinire il concetto stesso di mascolinità. E con la potenza culturale che solo una rockstar, contaminò il tempo suo e dei suoi posteri brandendo la lotta contro ogni machismo. Che mietesse vittime tra i bullizzati, tra gli omosessuali o tra le donne discriminate e abusate moralmente o fisicamente.
La sua è l’identità di un maschio gentile; uno figo, ma grazie alla potenza della delicatezza e della sensibilità. Un maschio unplugged. Rivoluzione antropologica.
E Cobain con questa sua propria identità ha scritto parole e musiche a sostegno degli animi incompresi (Smells Like Teen Spirit), per l’inquietudine delle identità irrisolte (Come as you are), sulla vergogna per la propria pochezza (All Apologies), per la solitudine di chi pretende un’esistenza tutta distillata (Pennyroyal Tea).
Ha scritto dell’amore sublime e disperato cogliendone una dimensione profondamente oscura: la sua capacità di creare morbosa dipendenza: “cala il tuo cordone ombelicale in modo che possa arrampicarmi per ritornare” (Heart-Shaped Box).
Ma le storie non si possono raccontare mai solo in parte. E quello stesso ragazzo è anche un tossico, e un suicida.
Vanno raccontate per intero; senza però mai dimenticare che si tratta sempre di storie uniche. Come unica è la dignità di ciascuna persona. Qualunque sia stato il suo inizio, il suo percorso, e la sua fine.
Unica. E dunque misteriosa.
Come la vita.
Unplugged.

05/04/2019

Here we go!
The 2019 International Criminal Court Experience is coming: May 6 and 7, a group of 35 Students (of International Criminal Law, Criminologia, Diritto Penale Comparato and Diritto Penale 1)...will attend the hearings and will meet the Judges of the Court.

25/03/2019

The Last Call

The Last Call è tante cose.
È certo un modo di dire. È però anche un certo modo di vivere come se quel gesto lo fosse, the last call.
In bilico tra essere e non essere, tra atto e potenza, essa è la questione implicita a ogni forma dell'esistenza, che la si guardi dalla prospettiva della realtà concreta o da quella della realtà immaginata.
Una serie infinita di esistenze.
È quella volta che stavi per perdere l’aereo. Come quell'altra volta che alla fine lo hai davvero perduto. È quella parola che poi si è taciuta. Ma è anche quell’audacia che chissà come sarebbe andata a finire se invece.
È quella volta che ancora avresti potuto spiegare. Quell’altra che avresti solo dovuto prenderti la responsabilità.
È la bottiglia di bourbon che il 15 gennaio del 1920 potevi ancora comprare sulla Water Street newyorkese, quell’ultima notte prima del proibizionismo. Come del resto è quell'altra bottiglia del giorno dopo, che poi...la prigione.
Senza dubbio è quella telefonata che alla fine non c’è mai stata. E quell'altra telefonata che, appunto, è stata anche l’ultima.
Ed è proprio sull'esperienza dell'ultima telefonata che nasce quel dramma sconfinato scritto da Jean Cocteau: perfetto monologo teatrale di una donna all’ultima telefonata con chi l'ha già abbandonata. Scena che Cocteau spiega così: “Il sipario rivela una camera da delitto. Davanti al letto, per terra, è sdraiata una donna con una lunga camicia, come assassinata”.
Scena che in un teatro marginale della Manhattan del 2014 fu poi riadattata come l'ultima telefonata d'amore di un detenuto dalla sua cella.
Dalla camera da delitto alla cella per il delitto.
Di condannati comunque si tratta. Chissà poi se condannati a finire o a sopravvivere. Ed è interessante come, tra le note di regia, questa distinzione possa talvolta tanto sfumare da risultare del tutto irrilevante.

(At the NoMad Bar): -Is this really the last call? Ouch man! And mine's on the house!? Then make it a double! Tonight's the Night.-

17/03/2019

Diritto Penale e Criminologia: Luoghi d'Incontro

Il diritto penale, come del resto il diritto tutto, non è mai "la vita" ma coglie della vita solo delle illustrazioni, delle cartoline.
Con il suo potere di regolarla, di tracciare linee tra lecito e illecito, tra giusto e ingiusto, tra diritto e rovescio, tra pena e libertà, il diritto penale si affaccia sull'uscio della vita reale ma non entra mai davvero nel suo dentro. Dentro la vita, dentro le vite degli autori e delle vittime, dentro le condizioni soggettive e oggettive in cui i vari protagonisti di una storia criminale si sono trovati, hanno vissuto.
L'incontro tra Diritto Penale e Criminologia, dunque, è come un continuo cambiamento dell'inquadratura di una cinepresa: l'abbandono progressivo di un piano sequenza (il diritto penale) verso inquadrature soggettive, primissimi piani e continui cambi di prospettiva (la criminologia).
O almeno questo si proverà a dimostrare nei cinque appuntamenti che, Diritto Penale e Criminologia, si sono dati.
E allora, che sia un buon primo appuntamento.

17/03/2019

Lezioni Magistrali di Diritto Penale

06/11/2018

Appunti per un Aspirante Penalista

Rigore, libertà, sensibilità.
Tre dimensioni del dover essere di quel particolare aspirante studioso, che è il futuro penalista.
E con sensibilità, rigore e libertà si devono maneggiare concetti che sono beni, parole che s'incarnano in cose umane: la vita, la libertà morale e fisica, le regole base della convivenza pubblica.
Dimensioni già presenti nel momento del discernimento della vocazione, della prima volta con il primo manuale, dell’incontro con il Maestro.
E poi la scelta e discussione dei temi di ricerca, le migliaia di letture, le prime pubblicazioni, i viaggi da cui indietro non si torna, la teoria che si unisce alla pratica, i concetti che intercettano persone, l’imparare che porta a insegnare, l’allievo che può diventare maestro.
In una vita fatta di studio, c’è un giorno in cui si volta. Giorno prevedibile. Ma prevedibile come solo la bellezza. Talvolta ce la si aspetta. Altre volte la si conosce perfettamente. Eppure, quando appare, il cuore batte in controtempo. Sempre. Fottendosene delle previsioni.
ra

31/10/2018

Like an Endless Halloween Night: Matter of Identities

Attending classes, dealing with moot trials, doing research, traveling, reading, holding speeches, thinking and writing and facing challenges that will expose you: What’s it all about?
The time of Your lives, You've decided to spend on and with…should be all about keep showing You have to find out who You really are, and who You actually want to be(come).
Let them think about it and taste what it means to be like a criminal lawyer. Give them a catalogue of ways to walk it through, a list of things to aspire to, to fight for, to think about, to be inspired by. It’s all about the identity.
And what, for Criminal Law? As Public Violence that walks along with Law, it’s all about giving to the criminals what they denied to their victims, turning those monsters into humans again. And it’s all about don’t let the victims become monsters in order to defeat a monster. All this…sounds like being on the borderline of an endless Halloween Night.
If that’s really all about, finding the own identity and protecting the human dignity, let’s keep the eyes on the prize. And hold on.
It’s worth it.

22/10/2017

Chattanooga Prison Talks

And you know what?
- What?
I was bleeding to death, but I had to try.
- Why the hell?!
If I hadn't tried, I hadn't lived a life at all.
- But you got nothing! A whole life blown away in the blink of an eye!
You're damn right, pal. Nothing's left. Nothing but that whisper of the real living life. And all the time in the world to think about it.
To finally get busy dying.

21/08/2017

Sulla Sfericità: l'Infinito, l'Irreale e la Paura

Le paure fanno stragi.
Attentano, ma con successo. Consumano prima di perfezionare. Esplodono prima di innescarsi. Uccidono prima di essere preparate. Puniscono, ma senza nutrire sospetti.
E forse l’angoscia riproduce certi rovesciamenti tipici di taluni percorsi artistici: la sua influenza è estranea alla conoscenza che se ne ha, permette che la si subisca senza identificarne l’origine, che si diffonda pur ignorandola.
Il suo essere Irreale è la verità del suo trucco. Perché l’irreale ha molta più realtà del reale. E poi l’angoscia rende infinito l’irreale.
L’Infinito che è la prigione da cui non si può uscire: nello smarrimento tutto è curvo, e prima di aver mai cominciato si ricomincia, e prima di aver davvero compiuto si ripete.
Sfericità. Come il mondo se fosse un libro. Senza vero inizio e vera fine. Un volume sferico “in cui tutti gli uomini scrivono e sono scritti”. E dunque cancellati. Perché non sono esistiti.
(s)Tragicità.

06/08/2017

Freiburger Auflauf

Boom. Onde. Shhht.
Samurai e Paladini. Benkei e Orlando. Uomini e Pupi. Sicilia e Giappone. Furia guerriera. Isole. Bombe. Onde.

- Buongiorno, si accomodi; mi parli della 'deformazione dei fluidi nella fissione nucleare'. -.

Drammi ingenui. Colori pastello.
Ferraglia che sferraglia. Il puparo grande e invisibile. Cadere a Roncisvalle. Intenso, grandioso, semplice.
Come la poesia. Il prurito. Come la verità.

- … sì, la detonazione è una reazione chimica esplosiva che avviene mediante la propagazione supersonica di un fronte di fiamma che forma un’onda d’urto in cui i fluidi… -.

Capaci.
D’un ricordo. Significa trasportarlo. È il sale il vettore.
Onde. Come gli anelli oleosi del mare calmo penetrato. Ipnosi.
Spostare energia ma non materia. Come le dicerie. Magie.
Non movimento. Di. Ma attraverso. Onde. Blu.

- ... beh, intanto la laurea in fisica, poi non so. Forse vorrei solo perfezione, così da non dover avere più paura. -.

Come. Quel disagio talvolta quando l’acqua. Dolce. Non ha lavato la nuotata. E i cristalli. Si puntano. Con tutto il calore. Imprigionato. Dentro. Che sa. Come di sgualcito. Logoro. D’umido che non s’asciuga. Squallido quasi. Dentro.

Bluuu. Oltremare. Shhht.

30/07/2017

"...Happy ending depends on where you stop...": Let's figure it out!
How about...tb to ICC and The Netherlands?

Closer: Courtrooms, Aquariums and Lines

Pick a Courtroom. Be like a visitor. Some of those ‘Rooms’ have a wall of glass that separates you from what there’s inside. And with the sound turned off, it clearly looks like being in front of an Aquarium. Everything seems perfect. What an estrangement.
Now, try to get closer. Try to have a closer look at that glass. Do you see? Do you see what's that glass made with? Lines. Lines run everywhere across that surface. Lines of what? Lines of accusing and of defending strategies. Lines of truth and lines of lies.
Now continue, and try to interpret those lines. Are they Grooves or Cracks? What’s the difference? Grooves are canals made to let liquids circulate. Cracks are cracks: Weaknesses, fragilities. Wounds of the reasoning. And these lines are cracks, not grooves. Cracks of the accusing and of defending. Cracks of that Perfect Life. Thus, with cracks, what happens when the inner pressure is intolerably increased? Simple: it just blows up. It blows everything up: efforts to truth and people’s lives.
Pick a Courtroom. Any Courtroom. Every has a glass wall. It would like to separate you from what’s inside. The truth and the lies. But it cannot. And when the pressure pushes the cracks until everything blows up, you feel it’s not about the Truth. It’s just about Words. And where is this truth? “I can't see it, I can't touch it. I can't feel it. I can hear it. I can hear some words, but I can't do anything with your easy words”.
When everything’s crashed, you don’t feel that separation, that estrangement, anymore. There’s no more perfection, no stranger. And you can just say: “Hello Stranger”.

Timeline photos 23/04/2017

Il Reato delle Streghe e la Pena del Fuoco: Mistero Buio

Tra cielo e terra, come gli uomini che si perdono per mare, così morivano le streghe sul patibolo.
Come sculture di fuoco. E di cenere.
Come legende per orientarsi alla rovescia tra bene e male. E come leggende che, ora e sempre, debbono essere raccontate. Così sono le storie delle criminali chiamate streghe perché la stregoneria era il loro reato.

Reato che dal 1326 in poi, divenendo la nuova grande ossessione collettiva, ne condusse a migliaia alla pena pubblica del rogo.

E sui roghi delle donne condannate per stregoneria, ardono ancora le braci delle miserie umane. L’angoscia furente che solo l’ignoranza mista a cattiveria può. La paura sessuomane, la negazione e il disprezzo per la femminilità che si fa corpo e per l’incedere dei suoi eventi. La misoginia del mondo laico e dei religiosi.
Ma soprattutto ardono corpi di donne. Donne sole, schiave, donne invidiate, donne belle troppo o troppo poco, donne straniere, donne oggetto, donne ribelli, malinconiche, indipendenti, donne coraggiose. Donne povere. Donne e basta.

La donna in sé fu reato perché la femminilità è mistero che fa paura. E fu acceso il suo corpo per proiettare luce su quel buio che impauriva.
Che follia disumana. Quando invece il vero mistero buio è come si possa mai credere di dover uccidere per salvare, sacrificare per venerare, eliminare per integrare.

Facendole indossare un vestito fatto d'abisso di luce, così pensarono avrebbe perduto la sua magia. Ma si sbagliavano: quel palo di legno…la sua bacchetta, il corpo…l’ampolla di tutte le pozioni, e la cenere di sé che s’involava…pura polvere magica.
E allora vola alto. E ancora incanta, Strega.

Timeline photos 27/03/2017

Bambini e Tiranni: Storie di Rastrelli e Dintorni

Per tre volte al giorno, al rintocco di alcune campane di Normandia, il piccolo Jean-Francois, invitato dalla nonna, sospendeva il lavoro dei campi e, dopo aver riposto il rastrello, si raccoglieva per l’angelus domini. Divenuto poi quell’artista di Millet, seppe lasciare l’impronta di quell’esperienza nella luce e nelle sagome di una delle tele a olio più intense, e fertili.

Circa sessant’anni dopo, durante la quotidiana ricreazione d’una scuola elementare catalana, il piccolo Salvador si fermava a contemplare proprio una riproduzione a buon mercato di quel quadro di Millet. Divenuto poi Salvador Dalì, nei primissimi anni Trenta annotò per iscritto che da quel dipinto non sentiva levarsi alcuna pacificata emozione idilliaco-religiosa, bensì solo la tragica istantanea d'una veglia funebre. E forse non lo si potrà mai leggere da nessuna parte, ma alcuni studiosi del crimine e dei criminali pensano che quell’annotazione di Dalì, altro non fosse che il geniale presagio dei rastrellamenti e delle deportazioni naziste.

Nella Los Angeles della metà dei nostri anni Novanta, infine, a un ragazzino di nome Eric la mamma chiedeva di sospendere ogni attività per poter guardare alla tv le conferenze stampa di papà Gil, che era il Procuratore Distrettuale, sul processo contro un notissimo ex giocatore afroamericano di football. Divenuto oggi il Mayor di Los Angeles, Eric Garcetti si è appena opposto alle richieste di impegnare la polizia locale nelle operazioni di rastrellamento, concentramento e detenzione illegale pretese dall’amministrazione Trump.

Usando incentivi e minacce di vario tipo, in questi giorni il presidente degli Stati Uniti sta infatti obbligando tutte le forze dell’ordine a ‘rintracciare’, detenere e poi trattenere in cella senza alcun Arrest Warrant (ma col solo ICE-detainer) undici milioni di immigrati irregolari. Obbliga le autorità, dunque, a violare il Quarto Emendamento, a essere complici del suo assalto alle libertà costituzionali.

Chissà se pure il Donald bimbo che frequentava le spiagge di Long Island non sia stato vittima dell’enigma del rastrello. In effetti, la paletta per scavare, il secchiello per portare acqua e innalzare torri…ma a cosa serva il rastrello sulla battigia, è una delicata questione teoretica. La risposta che il rastrello è l’unico arnese da spiaggia metafisico, perché senza funzione se non quella del tutto superflua di tracciare un pentagramma sulla sabbia, non deve però averlo soddisfatto. E allora si sarà detto: perché non usare l'idea del rastrello per raccogliere e deportare concretamente delle persone?

Certo, la collera dei tiranni è difficile da trattare. E come gestire la sua criminogena ira politica, dunque, è un grande problema.
Da qualche parte, però, era stato scritto che forse basterebbe trattare i tiranni adulti come dei semplici bambini, e raccontar loro delle favole, delle storie.
Si narra infatti di una certa Shahrazad, che per non essere uccisa da un sultano pluri-uxoricida, ogni notte cominciava a raccontargli una storia, e però sapientemente la interrompeva sul più bello. Veniva allora ogni notte risparmiata affinché il giorno dopo potesse proseguire nel racconto. Fu solo così che, dopo 'Mille e Una Notte', quel tiranno s'innamorò della donna, la tenne per sempre al suo fianco e avviò un lungo tempo di vera pace.

Facciamolo, dunque. Ogni notte raccontiamogli delle storielle, e poi sospendiamole prima della fine. Chissà che non s'innamori dell'umanità. E la risparmi.

Timeline photos 19/03/2017

Verdetti, Verità e Tifo: Appunti dal Processo a O.J. Simpson

Il sangue suo mischiato a quello di lei fu ritrovato ovunque: lungo tutta la scena del crimine, dentro la sua auto, in un gu**to caduto nel cortile della sua casa, sull'altro gu**to scoperto nella casa della vittima, e come impronta rossastra corrispondente alle sue scarpe griffate. Eppure, fu assolto dall’imputazione di duplice assassinio.

Il razzismo, la violenza privata e pubblica, il sesso, lo sport, l’informazione e il divismo: il processo penale a O. J. Simpson è sintesi di tutto quello che ci ossessiona come americani.

Ogni tentativo di spiegare cosa accadde, sintetizzando le contraddizioni di questo processo, fallisce: innocente al processo penale ma colpevole in quello civile, eroe pubblico ma picchiatore domestico, nero ma amico della polizia, amico della polizia ma incastrato da un detective razzista, afroamericano ma con vita da bianco, le invincibili prove materiali a suo carico smontate da una difesa perfetta e un'accusa dilettantesca.
Time Out!

E se non fosse stato il processo a un grande sportivo ma la mitologica ultima partita d'un campione detenuto? Beh, forse così le cose si farebbero meno appannate. Sì, perché forse l’esito non fu l’esito di un processo, ma la coda di una epocale sfida atletica.
Sì, la chiave non è il diritto penale. La chiave è proprio lo sport.

Con buona pace di golfisti e dintorni, difatti, il vero sport è ‘vita o morte’. È esiziale; è (simbolo di) lotta, (di) guerra. E la funzione elementare che esso induce è il transfert. L’atleta gioca da combattente, e nell’essere combattente è guerriero simbolo di tutte le lotte: lotta per noi, combatte tutte le nostre battaglie come fosse noi stessi. Incarna, incorpora gli altri che combattono ma che non 'giocano'.
Le epopee dei grandi atleti sono, appunto, commoventi: si muovono assieme a noi e smuovono: le menti, le viscere e i dotti.

Quel processo, in definitiva, fu forse soltanto un anomalo luogo per una eterna 'imperdibile' partita di football: tra razzismi contrapposti, tra bianchi e neri, tra ricchi e poveri, tra buoni e cattivi, tra celebrità e anonimi, tra forti e deboli, tra protagonisti e spettatori.
E lì, 'The Juice' fece solo quello che sapeva fare come nessun altro Running Back. Ricevette quel cavolo di cuoio cucito a uovo appuntito, lo stritolò con la manona che nemmeno entrava in quei guanti insanguinati, e corse indemoniato come un demone d’Olimpia, scartando di lato come solo certi bufali, fronteggiando montagne di rocce variopinte, come fossero semplici uomini.

E fu assolto: fu 'touchdown'.
Il Paese intero si fermò. Il 'pubblico' impazzito, rideva e piangeva. Perché aveva vinto un’altra di quelle battaglie che non aveva potuto combattere.
E al diavolo la verità.
Del resto, non è proprio per stordirla che tifiamo i campioni?

Timeline photos 05/03/2017

Le Vie d'Uscita e la Legittimazione del Diritto

Come una vertigine alla quale invece che resistere ci si vuole abbandonare. Così, talvolta, la dignità della vita e la vita della dignità incontrano le vie della morte. Che tremore.

Tanti i secoli, eppure quanto ancora si tace, questo diritto, dinanzi alla scelta della morte! Quantomeno s’inibisce, se persino non arretra. E tante soluzioni non sono tessute: perché sarebbero lesive dei principi, delle regole, dei tabù su cui sono stati costruiti il pensiero e la morale, dei miti a partire dai quali ci si identifica e diversifica.

E non è accettabile.
Non è accettabile perché la vita e la dignità che muoiono hanno bisogno di certezze normative che non siano meramente negatorie. L’incertezza, qui, crea insostenibili tensioni e rischia di scatenare un conflitto tra attori sociali: pazienti, familiari, medici, magistrati, avvocati.
Un diritto che disciplina meticolosamente anche le sfumature più insignificanti delle vicende umane, ma che si arresta di fronte alle scelte sulla morte, non è soltanto paradossale, è l’apoteosi stessa dell’antisocialità.

E soddisfare questo bisogno di certezza, non significa privilegiare una morale: è il modo per proteggere gli uomini da loro stessi e per conservare la pace nei rapporti sociali. Per realizzare, in definitiva, la funzione propria del diritto penale. E per evitare di dover così affrontare un problema di legittimazione del Diritto e dello Stato.

Il turbamento di questa vertigine, però, non ha soltanto dimensioni stoiche, o romantiche, o pietose, o epiche, o morali.
A volte, è solo la vertigine d'un amore ambizioso. Magari quello di chi vorrebbe cantare “mi fa disperare il pensiero di te, e di me che non so darti di più. Vedrai che cambierà".
Ma è una canzone muta.
Come s’intrappolasse tra i denti.

Timeline photos 26/02/2017

La Giustizia del Conte e le Maschere come Persone

E di calunnia, infatti, si trattò. Ma della più vigliacca e miserrima specie: quella in cui ci si nasconde dietro l’anonimato d’una lettera o d’una pruriginosa, falsa, ‘confidenza’. E mentre lasciava l’attracco elbano osservando i tetti napoleonici delle abitazioni alle spalle di Capo d’Arco, quel giovane non sapeva d’ospitare proprio sulla sua nave sia la calunnia che il calunniatore.
Fu così, che Edmond Dantès venne accusato di ciò che non aveva fatto; di essere colui che non era. Proprio così fu squallidamente disonorato, perché gli fossero impedite e la carriera e la vita.

Forse troppo facile però pensare che Dumas suggestioni il penalista solo lungo quei sentieri della giustizia tracciati a forza di vendetta amara e di nobile perdono. Certo, quello è il tema de ‘Il Conte di Montecristo’. Eppure, le modalità della tramatura letteraria forse sono persino più sollecitanti della stessa questione della pena pubblica e privata. La tessitura di quella storia, difatti, passa attraverso il mascheramento. Montecristo è Zaccone, è Lord Wilmore, si maschera da marinario Sinbad e da Abate Busoni.

Mascheramento, dunque teatro.
Sì, teatro. Teatro perché, come Homo Ludens, il penalista entra in Aula col travestimento della toga, e lo fa perché tale mascheramento possa permettergli di lasciar fuori dal Processo tutte le sue altre identità. E così più lucidamente poter essere difensore, accusatore o giudice del fatto criminale e del suo presunto autore.

Sì, teatro. Teatro perché, come il dogma trinitario, è dal teatro che nasce la persona. E nasce dal teatro perché la ‘per-sonam’ è la maschera degli attori teatrali: maschera che serviva tanto a trasformarsi quanto a permettere alla voce recitante di raggiungere gli uditori più lontani. Mascherarsi per dar forza alla voce, alla voce dei deboli di fronte alla tracotanza dell’Autorità.

Sì, teatro. Teatro perché, come solo le liturgie, il processo penale è sospensione dello spazio e del tempo. È un eterno presente. È una dimensione in cui le cose accadono soltanto hic et nunc. È uno spazio e un tempo in cui c’è sempre qualche maschera che, qui e ora, racconta il suo racconto, come a dire: “Sono Edmond Dantès! Sono quello che...”.

Timeline photos 19/02/2017

Calunniare e Punire: Storie d’Infamie e di Quaquaraquà

Spesso le parole sono ‘in mezzo al reato’. Ma lo sono perché la comunicazione serve alle cose tutte dell’uomo, e dunque anche al crimine: trattare il prezzo di una corruzione, come organizzare e gestire un’associazione per delinquere…sono fatti umani che hanno bisogno di parole.
Talvolta, però, le parole sono vero corpo del delitto. Sono oggetto materiale del reato: diffamazione, insider trading, estorsione...

E poi c’è la calunnia.
La calunnia è falsità. Anzi, è più che falsità: è rendere qualcosa verosimile. Dunque è falsità che si fa credibile verità. È verosimile più che vera. Surreale più che reale. La calunnia è una storia piccola, però capace di trasformare la realtà: l’identità delle persone, le loro vicende, i loro destini.
Come atto linguistico fluido, la falsità che si racconta si presta al fatto che ciascuno che la racconta nuovamente possa aggiungere dei particolari alla trama. Così, si corre lungo il crinale tra persuasione e manipolazione, tra argomentare e sedurre. Tra esternare e contaminare.

La calunnia è regina dei bassifondi, delle fogne impresentabili del corpo, del pensiero e del sentimento. E il suo autore? Beh, troppo complesso descriverlo in poche parole. Se però si cerca la vera sintesi, ecco la risposta della macchina da scrivere di Sciascia:

“L’umanità la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora di più: i pigliainculo che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere”.

BuonGiorno della Civetta.

Timeline photos 13/02/2017

Quei 3 minuti e 11 secondi di un inverno newyorkese

Era l’inverno newyorkese del 1939. E Billie aveva ventiquattro anni. Un Manhattan anni Trenta per lei (quello con 7 parti di rye whisky e 3 di martini rosso) e un Old Fashioned bourbon-based per Abel. Erano seduti all’ultimo tavolino entrando a destra del Café Society di Sheridan Square. Lui le fece leggere il testo di quella sua poesia, 'Bitter Fruit', e le raccontò di quella foto. La foto scattata 9 anni prima, la mattina dopo il linciaggio di Thomas Shipp e Abram Smith, due neri dell’Indiana sospettati di una rapina e per questo appesi la stessa notte da un’accolita di bianchi. Così quella foto, e solo così Abel li vide penzolare da quel pioppo. Curioso.

Curioso perché Billie non aveva mai visto quella foto. La Billie bambina, per guadagnare qualche nichelino, puliva gli scalini davanti alle porte delle case dei bianchi di Baltimora. La Billie ragazzina fu violentata a 10 anni e dunque considerata depravata e così rinchiusa in un riformatorio. La Billie adolescente dovette fare la pr******ta e ne vide. Quanti ne vide di neri linciati penzolare dagli alberi del Sud.

Quella sera, i due scrissero ‘Strange Fruit’, canzone interpretata per la prima volta il 21 marzo 1939, come coda posticcia dello show di Billie Holiday al Café Society di New York City.

3 Minuti e 11 secondi. Tanto durò quel graffio in parole voce e musica. E poi il silenzio. Lungo. Poi un timido applauso. Poi uno scroscio.
3 minuti e 11 secondi ce li si può concedere. Magari pensando al nuovo Attorney General degli Stati Uniti, quel razzista e suprematista bianco di Jeff Sessions.
3 minuti e 11 secondi, per fare quello che ci dice quell’altro newyorkese adottivo di Ellison: “Che altro potevo fare se non tentare di dirvi ciò che accadeva in realtà, quando i vostri occhi guardavano senza vedere?”

Ma se proprio vogliamo guardare senza vedere, allora meglio chiuderli questi occhi e ascoltare quella voce intonare queste parole:

Southern trees bear a strange fruit,
Blood on the leaves and blood at the root,
Black bodies swinging in the southern breeze,
Strange fruit hanging from the poplar trees.
Pastoral scene of the gallant south,
The bulging eyes and the twisted mouth,
Scent of magnolias, sweet and fresh,
Then the sudden smell of burning flesh.
Here is fruit for the crows to pluck,
For the rain to gather, for the wind to suck,
For the sun to rot, for the trees to drop,
Here is a strange and bitter crop.

Ciao Billie.

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Begins

Questa pagina, queste pagine, sono solo frutto di una coincidenza. Letteralmente.

Un centinaio di studenti e una manciata di docenti hanno co-inciso, creando spontaneamente una comunità di persone interessate al, e dunque intercettate dal, discorso penalistico.
Nella misura in cui questi giovani sono stati la ragione, l’ispirazione, lo stimolo e il sostegno per numerose condivise esperienze di conoscenza e riflessione sul diritto penale e dintorni, questa pagina, queste pagine, sono allora “the very facebook”.

Sono come quell’annuario composto da volti e nomi che nei college statunitensi si consegna ai nuovi studenti e ai neo-docenti, perché possano sapere e orientarsi. Sono la mappa dei sentieri di opportunità che continueranno a esistere per coloro che verranno (se vorranno), soltanto grazie al lavoro, all’impegno, alla serietà e all’entusiasmo intellettuale di tutti, e di ciascuno di, quegli altri che li hanno preceduti.
L’obiettivo dell’epifania social di attività già in essere da alcuni anni è quello di nutrire in maniera ancora più efficace quell’entusiasmo che ha creato i presupposti per realizzare ciò che realizzato è stato. Per tale motivo, potranno intervenire non solo gli studenti di oggi e gli alumni di ieri, ma anche tutti coloro che ne vorranno e sapranno condividere l’ispirazione intellettuale e il metodo di partecipazione. Perché così continui a essere ancora suscitata la voglia di avere la volontà di essere migliori.

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