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06/08/2024

Lo stato delle carceri e il Volontariato

a cura di Ornella Favero*

Ristretti Orizzonti, 6 agosto 2024

Il 18 luglio il direttivo della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia ha incontrato per la seconda volta online il Capo del DAP, Giovanni Russo. All’inizio dell’incontro è stata ribadita la concezione del ruolo del Volontariato nell’ambito della Giustizia a cui la Conferenza tutta si ispira. Il ruolo del Volontariato nell’ambito della Giustizia è per noi quello di promuovere il confronto, di condividere proposte innovative, di essere una realtà credibile, competente, pronta a dare il suo apporto in tutti gli ambiti della vita detentiva e dei percorsi rieducativi. Ma è un ruolo che richiede autonomia rispetto all’amministrazione penitenziaria, che significa capacità di confrontarsi e dialogare alla pari e coinvolgimento su tutte le questioni che hanno a che fare con l’esecuzione della pena e il reinserimento, nella consapevolezza che il volontariato in carcere presenta innegabili aspetti di complessità, legati in particolare al tema della sicurezza, che non possono comunque diventare un alibi per l’immobilismo.

La circolare sulla media sicurezza

Al Capo del DAP, Giovanni Russo, abbiamo chiesto di iniziare il confronto dai temi “caldi” di questa difficile estate, a partire dalla necessità di una riflessione a proposito della circolare sulla media sicurezza, che parla molto del ruolo del Volontariato, ma per ora si è tradotta nella chiusura di troppe sezioni, nessun ampliamento degli orari delle attività, nessuna formazione specifica riguardante il trattamento dei detenuti collocati nelle sezioni ex art. 32.

Secondo la CNVG è proprio dal regime di chiusura di molte sezioni che nascono i più grandi conflitti, le insofferenze, la rabbia, le rivolte anche, di questi giorni. Tra l’altro, molti detenuti fanno notare che prima nelle sezioni aperte c'era anche, rispetto al tema dei suicidi, un modo un po’ di guardarsi, di sostenersi a vicenda e una piccola forma di responsabilizzazione che oggi non c'è più là dove è avvenuta questa chiusura, che ha complicato le cose invece che renderle più semplici.

L’obiezione di Giovanni Russo all'ipotesi di consentire un regime di apertura delle camere detentive anche indipendentemente dall'esistenza di attività comuni laboratoriali e formative è che “la realtà della Casa di reclusione di Padova e altre realtà simili forse sarebbero in grado di assorbire e di gestire bene una situazione del genere, però ci sono altri istituti dove questo può determinare una condizione di prevaricazione di detenuti più forti sui più deboli”.

Secondo la CNVG per anni le sezioni erano aperte e la conflittualità non ci risulta fosse più alta, non ci pare che il problema siano le possibili prevaricazioni, tanto più che sono state chiuse delle sezioni “sulla carta” e non perché c'erano elementi particolarmente violenti o situazioni a rischio, perché per quello c'è già la sezione ex articolo 32.

Forse le questioni disciplinari dovrebbero essere affrontate in modo diverso, nuovo, perché attualmente vengono affrontate con trasferimenti per motivi di sicurezza, rapporti disciplinari, perdita della liberazione anticipata, e anche questo noi riteniamo che non sia un modo efficace.

E a proposito dei conflitti varrebbe la pena provare ad affrontarli, per esempio, con gli strumenti della giustizia riparativa. La mediazione quando c'è un conflitto in carcere sarebbe strumento molto migliore degli strumenti che si usano adesso, con una logica per cui invece che trovare una soluzione al conflitto si tende ad esasperarlo. Potrebbero a tal fine essere coinvolti mediatori dei Centri per la mediazione presenti in molte città, che sono figure terze rispetto all’Amministrazione penitenziaria.

Quello che si può fare per preve**re i suicidi

Una delle poche forme di prevenzione dei suicidi è che dovrebbero essere ampliate al massimo le misure che hanno a che fare con gli affetti, quindi rafforzare il più possibile tutto quello che costituisce i rapporti con le famiglie, vale a dire telefonare e colloqui.

Le due telefonate in più al mese di cui parla il decreto “Carcere sicuro” secondo la CNVG non sono quello che basta, ma il Capo del DAP ha sostenuto che “oltre alle quattro telefonate che diventano sei il direttore può concedere un numero illimitato di telefonate.

C’è il richiamo all'articolo 39 che equipara totalmente la disposizione in materia di colloqui telefonici con i colloqui di persona. E nella disposizione relativa ai colloqui di persona era già prevista la possibilità per il direttore di autorizzare colloqui senza alcun limite”.

Al nostro invito a dare con una circolare disposizioni chiare invitando i direttori ad estendere al massimo le telefonate, Giovanni Russo ha risposto: “Lo faremo senz'altro anche nel corso di una riunione nei prossimi giorni che organizzeremo verso i direttori. Ricordo che già nell'imminenza del periodo estivo abbiamo fatto una nota per i direttori invitandoli ad assicurare un'attenzione particolare ai colloqui di persona, quindi invitando a garantire soprattutto in questo periodo una maggiore ampiezza nella possibilità di rinvigorire questi rapporti relazionali. E già i direttori automaticamente attraverso questa parificazione normativa potrebbero interpretare questa nota anche per le telefonate, ma sarà nostra cura di precisare, specificamente in dettaglio, l'impegno in questa occasione ulteriore per ampliare il numero delle telefonate”.

Le circolari sulle Best Practices

Una trattazione particolare meritano, secondo la CNVG, le circolari sulle Best Practices, che per le associazioni dovrebbero significare che le buone pratiche realizzate in un carcere vengano estese se possibile agli altri istituti, quindi le situazioni più avanzate farebbero da traino a quelle dove invece è tutto difficile, tutto è rallentato in modo esasperato dalla burocrazia. Ma queste circolari vengono spesso interpretate negli Istituti come una limitazione e un controllo sui contenuti delle attività proposte dal Volontariato.

Giovanni Russo ha chiarito in modo inequivocabile la questione delle Best Practices, che “costituiscono un'attività ricognitiva. È stata molto confusa questa mia circolare perché alcuni istituti, in qualche caso anche quello di Padova, hanno inteso come se l'avvio di un progetto, di un'iniziativa abbisognasse di un'autorizzazione o di un nullaosta del DAP, cosa che non è. E quindi la best practice è quando io ho insistito sul fatto che voglio esserne messo a conoscenza fin da quando nasce l'idea, è una comunicazione che il direttore del carcere fa al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Cosa diversa invece è la stipula delle convenzioni dalle quali possono derivare oneri anche solo organizzativi o anche obblighi di fare non economici per l'amministrazione penitenziaria, in quel caso il DAP ha stabilito che debba dare un nullaosta. Per il resto nelle Best Practices viene suggerito ad altri istituti, diversi da quelli dove sono realizzate, di immaginare attività dello stesso tipo quindi questo già avviene normalmente”.

Il Volontariato e il rapporto con i direttori

Uno dei temi proposti per il confronto proprio dal DAP è, secondo quanto spiegato da Giovanni Russo, un approfondimento su “come devono agire i direttori, in questa nostra visione di vicinanza maggiore alla popolazione detenuta oltre che agli operatori, non solo i nostri ma anche quelli volontari. Però proprio per questo vogliamo sapere le eventuali difficoltà che incontrano il Volontariato e il Terzo Settore, ci può essere utile in senso critico ad alimentare una nostra riflessione… Anche perché io, avendo registrato quest’anno un aumento delle iniziative, delle attività e delle presenze della società esterna, immaginavo che ci fossero porte aperte, spalancate ai volontari e al Terzo Settore”.

Per la CNVG il rapporto con i direttori significa anche che il Volontariato possa partecipare alla elaborazione del Progetto di istituto e che il suo ruolo sia riconosciuto e rafforzato, non subito con fastidio.

Il Capo del DAP ha chiesto che gli siano segnalati i casi riguardanti carceri in cui c’è l’impossibilità di mettere a disposizione personale di Polizia penitenziaria in ore pomeridiane o in determinate giornate, in modo che vengano suggerite caldamente ai direttori forme alternative di organizzazione, anche “invitando i direttori stessi a prendersi qualche rischio in più. Perché un periodo di attività lavorativa laboratoriale, ma anche solo di scambio di idee, di dialogo in più con soggetti che abbiano una consolidata esperienza e quindi presentino una affidabilità indiscussa, per me vale di più del rischio del passaggio di una pennetta, che comunque è un fenomeno che ci troviamo a contrastare, quindi non voglio certo incentivare traffici illeciti negli istituti ma metto in conto che ci sia questo rischio, altrimenti non dovremmo far entrare estranei, non dovremmo far entrare i medici gli infermieri i ministri di culto… Quindi sarebbe proprio l'antitesi dell'apertura alla società”.

Quanto invece alle attività giornalistiche, nonostante il Capo del DAP abbia sostenuto di aver dato in un anno e mezzo solo 2 o 3 pareri contrari su un migliaio di domande di ingresso, il Volontariato ha segnalato che il rallentamento di tutto quello che riguarda l'ingresso della società civile, che siano giornalisti o che siano ospiti, che sia la presentazione di un libro o altro è diventato la norma. Tra gli altri suggerimenti, c’è quello che, nel rapporto con i direttori, è bene che gli stessi direttori vengano richiamati alla trasparenza degli atti che regolamentano la vita interna del carcere, questo è un fatto semplice, importante, che non costa nulla.

Gli orari e gli spazi che non permettono il coinvolgimento vero delle persone detenute

Il Volontariato chiede che le persone nella loro vita detentiva abbiano più possibilità di stare in spazi aperti. Sappiamo che le carceri hanno pochissimi spazi per le attività e quindi solo se si ampliassero gli orari delle attività le associazioni potrebbero recuperare anche un volontariato qualificato e potrebbero fare più attività senza ostacolarsi a vicenda, cosa che succede regolarmente ed è spiacevole, perché poi un direttore è costretto a dire che l'università è più importante di un’altra attività, che questa attività a sua volta è più importante di un'altra, ma la realtà è che ci sono pochi spazi, orari ridotti e si possono coinvolgere nelle attività davvero poche persone.

Secondo il Capo del DAP, non è tanto un problema di spazi, quanto il problema dell'ampliamento dell'orario e la difficoltà di reperire personale a tal fine: “Noi abbiamo un personale che per un terzo in media è assente per ragioni sanitarie, di malattia o di ferie e su una pianta organica che è scoperta di circa 6000 7000 unità rispetto ad una platea di detenuti che richiederebbe 18.000 unità di Polizia penitenziaria in più. Quindi non è una cattiva volontà dell'Amministrazione non far entrare, anche se capisco che è frustrante raccogliere le disponibilità e la generosità di chi dedicherebbe alle persone detenute la cosa più preziosa, il tempo personale, però su questo io non me la sento di prendere impegni fino a che non vedrò rimpolpato l'organico. Però almeno abbiamo riempito per la prima volta nella storia moderna dell'esecuzione della pena la pianta organica degli educatori, abbiamo 1089/10 99 funzionari giuridico-pedagogici”.

Una formazione congiunta, che metta a confronto sguardi diversi

Per quel che riguarda la formazione, il Volontariato ha segnalato che un’altra buona prassi, quella per cui da anni la scuola di formazione della Polizia penitenziaria di Parma invitava il Volontariato a svolgere delle ore gratuite di formazione ai giovani assistenti pronti all'ingresso in carcere, cosa che creava un clima di scambio, aperto e leale con questi giovani poliziotti, e permetteva di accogliere anche da parte loro obiezioni e diffidenze e mettersi a confronto in una maniera adulta, quest'anno, con la riduzione degli orari di formazione, non è stata possibile, ma vogliamo ribadire che il Volontariato ha bisogno di rapporti onesti e franchi con la Polizia penitenziaria, che per noi sono basilari, per cui è fondamentale una formazione congiunta, che mette insieme sguardi diversi, perché la formazione, anche fosse perfetta nei contenuti, della Polizia penitenziaria o di altri operatori penitenziari, fatta separatamente non serve a niente.

Giovanni Russo a sua volta ha sottolineato le difficoltà legate alla formazione del personale: “Purtroppo abbiamo dovuto ridurre, e spero che si inverta poi nel prosieguo questa tendenza, anche altri tipi di lezioni, di insegnamenti, di discipline, ovviamente però ignoravo che siano stati esclusi questi incontri col Volontariato, era importante mantenerli almeno a livello simbolico, anche poche ore, proprio per legittimare una presenza, riconosciuta, validata e promossa dalle istituzioni e dall'amministrazione penitenziaria, del Volontariato in quella sede. Su questo vediamo come rafforzare ancora questa buona pratica, per esempio a Bollate è stato positivo il lavoro fatto sulla mediazione dei conflitti non solo con le detenute, ma anche con la Polizia penitenziaria. Ci sono stati dei risultati eccellenti riconosciuti anche dal direttore e dagli educatori, quindi ci sono delle possibilità di collaborazioni notevoli”.

La richiesta avanzata dal Capo del DAP alla CNVG è stata di favorire una visione, una conoscenza, una rappresentazione strutturata delle buone prassi messe in atto in diversi istituti dal Volontariato, delle schede su queste buone prassi da condividere proprio per portarle a modello di formazione.

Utilizzare gli strumenti che fornisce la giustizia riparativa

Un tema che sta a cuore al Volontariato è quello della giustizia riparativa applicata però anche alla vita in carcere, è un tema particolarmente importante rispetto ai percorsi di rieducazione delle persone detenute.

Il progetto A scuola di libertà per esempio è molto centrato su questi temi, a tutte le attività che la CNVG organizza online con le scuole italiane partecipano molto spesso autori di reato e vittime ed è un percorso molto importante, per cui si chiede che il DAP supporti questo progetto.

Il Capo del DAP ha affermato di sostenere con forza il progetto, ma ha anche chiesto cosa può fare il DAP per promuoverlo.

La nostra risposta è stata di poter utilizzare di più uno strumento come la videoconferenza, coinvolgendo anche in questi incontri le scuole in carcere, che potrebbero avere un ruolo, cioè non essere soltanto rinchiuse negli istituti, ma aprirsi sperimentando un'apertura maggiore anche in istituti che hanno difficoltà a proiettarsi verso l'esterno. Lo strumento della videoconferenza dovrebbe diventare di uso comune in queste situazioni perché permette tante esperienze importanti.

L’idea è stata accolta con grande interesse dal Capo del DAP: “Per me è un'idea buona e innovativa, utilizzare la videoconferenza per consentire agli studenti in carcere di confrontarsi o di partecipare a distanza a una conferenza, che potrebbe essere anche un evento della società come la presentazione di un libro, un film quello che sia, dove venga ammessa anche la partecipazione da remoto di una comunità che “incidentalmente” è una comunità detentiva”.

Il problema, secondo il Volontariato, è superare le difficoltà e le diffidenze a usare strumenti tecnologici, anche i più semplici come il registratore e le videoconferenze, questa sì che dovrebbe diventare una buona pratica in tutti gli Istituti.

Usando questi strumenti, un altro ambito di intervento significativo del Volontariato è quello della sensibilizzazione e dell’informazione, temi cruciali oggi, perché serve davvero un cambiamento culturale forte nella società per vincere l’illusione che pene più dure e tanta galera creino più sicurezza. La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia propone in tal senso un rafforzamento dell’attività di sensibilizzazione del mondo della scuola con il progetto A scuola di libertà, e promuove a ottobre nel carcere di Opera il Terzo Festival della Comunicazione sulle pene e sul carcere.

Una riflessione finale sul tema al centro delle attività del Volontariato, gli affetti

Si è detto di quanto è importante aumentare le telefonate, i colloqui coi famigliari, i colloqui anche con terze persone: bisogna stimolare i direttori ad aprire al massimo queste opportunità, perché per esempio i colloqui con terze persone sono fondamentali se un detenuto non ha relazioni affettive o ha la famiglia lontana, ma può avere un amico, un cugino, una persona vicina, che dovrebbero essere autorizzati quasi automaticamente, come in altri Paesi. Sempre riguardo agli affetti, dopo la sentenza della Corte Costituzionale il Volontariato ha chiesto più volte di essere coinvolto, perché da anni porta avanti la battaglia per i colloqui intimi.

La sentenza della Corte Costituzionale parla di una desertificazione affettiva in carcere, per questo è importante avere notizie del tavolo istituzionale, istituito per attuare la sentenza 10/2024. Questa la risposta di Giovanni Russo alla richiesta di notizie da parte della CNVG: “I lavori del tavolo sono appannaggio di chi partecipa, ma ho già assicurato che noi prima di procedere a qualunque definizione organizzativa contiamo di raccogliere l’esperienza che avete maturato nel tempo, contiamo di interloquire con il Volontariato, con le associazioni. Ne ho parlato personalmente con il vice capo del Dipartimento che mi ha assicurato che è già stato programmato un contatto con voi. Non so in quale forma, se sia un'audizione, vi invito a ve**re in delegazione in modo che vi possiate confrontare de visu anche con gli altri partecipanti e fare in modo che sia una interlocuzione vera, non monodirezionale, su questo però non posso anticipare lo stato delle riflessioni che sono in corso”.

L’incontro si è chiuso con l’impegno di fare un'agenda dei prossimi incontri più regolare, con una cadenza bimestrale, con la facoltà per la CNVG in prossimità della scadenza del bimestre di sollecitare l’incontro.

*Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e direttrice di Ristretti Orizzonti

31/05/2024

Roma. Un ponte di libri dal Mediterraneo a Regina Coeli

di Antonella Barone

gnewsonline.it, 31 maggio 2024

“Kutub Hurra - Un ponte di libri attraverso il Mediterraneo” nasce per favorire il dialogo interculturale in carcere attraverso opportunità di lettura ai detenuti arabofoni e l’utilizzo dei libri come strumento di emancipazione culturale. Più che un progetto una sfida se le due realtà che lo hanno ideato “l’Ong Upp - Un ponte per… e l’associazione tunisina “Lina Ben Mhenni” hanno anche l’obiettivo di rendere il mare Mediterraneo da “muro orizzontale che aumenta le distanze tra una parte del mondo e l’altra” a “un mare di umanità, un ponte tra occidente e oriente, tra nord e sud”.

Il ‘ponte’ raggiunge oggi la casa circondariale di Roma Regina Coeli, ma ha già toccato le carceri di Livorno, Gorgona, Pisa, Firenze Sollicciano e Padova Due Palazzi oltre al minorile di Roma Casal Del Marmo. Un bilancio attuale di circa 300 libri in lingua araba donati alle biblioteche e il coinvolgimento di circa 1000 detenuti arabofoni in laboratori interni, reading e in 10 incontri di condivisione di buone pratiche organizzati insieme ad altre 8 associazioni attive nelle varie realtà e a 4 garanti dei diritti dei detenuti.

Sono stati proprio gli operatori dell’area trattamentale di Regina Coeli, dove mancano libri in lingua araba benché i detenuti potenziali fruitori siano 200, a contattare UPP per attivare il progetto. Le donazioni arrivano dall’associazione Lina Ben Mhenni e da una libreria libanese mentre, per rifornire la biblioteca dell’IPM di Casal del Marmo, è stato promosso il progetto “Libro sospeso”.

“Siamo entrati lo scorso anno a Casal del Marmo con FuoriRiga, associazione che opera nel minorile di Roma e che, tra le altre cose, ne gestisce la biblioteca dal 2014- racconta Giovanna Gagliardi di Un ponte per… - Abbiamo portato una cinquantina di titoli, organizzato delle letture e fatto una chiacchierata con dei ragazzi italiani e arabofoni. Durante l’evento ci è stato illustrato il valore della lettura nel percorso di detenzione. Poi sono iniziate le donazioni anche ad altri istituti d’Italia e abbiamo creato una rete di nazionale di scambio di buone pratiche”. Una rete che continua ad allargarsi: a breve il progetto raggiungerà anche gli istituti penitenziari di Viterbo, Genova Marassi, Milano San Vittore, Napoli Poggioreale e la Casa circondariale di Padova.

Giornata nazionale di studi "Io non so parlar d'amore…" 19/05/2024

Giornata nazionale di studi "Io non so parlar d'amore…" Intervengono: Fabio Gianfilippi (magistrato di sorveglianza a Terni), Andrea Pugiotto (Ordinario di Diritto costituzionale, Università di Ferrara), Chiara Gregori (Ginecologa e sessuologa), Francesca Melandri (sceneggiatrice, scrittrice e documentarista), Massimo Cirri (psicologo e giornalista), Ro...

11/12/2023

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Per il 2024 alle vignette del Dado abbiamo pensato di affiancare le riproduzioni di opere di G. L., persona detenuta con ‘fine pena mai’, opere che in questi anni hanno dato colore, vivacità e forza alle copertine di Ristretti.

Molte grazie per il sostegno!
La Redazione

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05/12/2023

Giovedì 30 novembre si è svolto, presso la libreria Zabarella, un incontro con Madiana e Brandon, per parlare della loro esperienza autobiografica pubblicata nel volume del concorso DIMMI 2022. Ha introdotto e interloquito Silvia Failli.

28/11/2023

25 ANNI DI RISTRETTI ORIZZONTI
Ieri nella casa di reclusione di Padova Ristretti Orizzonti ha raccontato 25 anni di attività. L'ha fatto attraverso le voci della sua redazione e delle tante persone incontrate in questi anni: detenuti e persone la cui vita è stata spezzata per mano di qualcuno, giornalisti e magistrati, garanti e insegnanti, volontari e volontarie.
È stata una giornata davvero straordinaria per la profondità di sguardo, l'autorevolezza delle esperienze, l'apertura di orizzonti.

Sono davvero orgogliosa e onorata di questa città capace di generare tanta vita e riflessione intorno alla dignità delle persone, alla tutela dei loro diritti, al senso ultimo del nostro operare nel solco della Costituzione, senza retorica e con tanta concretezza.
Con Margherita Colonnello, Silvia Giralucci, Maestri di Strada Mauro Palma

Giornata nazionale di studi Narrazioni "altre": le narrazioni del male che fanno bene alla società. Anche in carcere parliamo di Europa: "Io Ero il Milanese" e i venticinque anni di Ristretti Orizzonti 28/11/2023

Giornata nazionale di studi Narrazioni "altre": le narrazioni del male che fanno bene alla società. Anche in carcere parliamo di Europa: "Io Ero il Milanese" e i venticinque anni di Ristretti Orizzonti Vittime: le narrazioni che spezzano la catena del male. Con Benedetta Tobagi e Silvia Giralucci ("sorelle" nella sofferenza di aver "perso" da bambine il padre ucciso da giovani esponenti della lotta armata), Lucia Annibali, Agnese Moro, Fiammetta Borsellino. La Giustizia per la quale abbiamo invoca...

09/11/2023

Il Post Libri 7 novembre 2023

Il “motore di ricerca umano” composto da 600 bibliotecari francesi
Si chiama Eurekoi, è pubblico e promette di rispondere a qualsiasi domanda o richiesta di consigli personalizzata entro 72 ore

di Viola Stefanello
La Bibliothèque publique d'information del Centre Pompidou, a Parigi (il Post)

Nei primi anni Duemila, con la rapida adozione di internet e la convinzione da parte di alcuni che avrebbe presto portato alla diffusione libera e gratuita della conoscenza, si cominciò a parlare con insistenza dell’imminente obsolescenza delle biblioteche. «C’è spazio per domandarsi come faranno le biblioteche a competere con la possibilità di scaricare un intero libro online, a un costo minimo o nullo, invece di trascinarsi fino alla biblioteca più vicina», scriveva per esempio la Technology Review del prestigioso Massachusetts Institute of Technology nel 2005. «I servizi di stampa su richiesta si stanno diffondendo rapidamente, e i dispositivi di lettura elettronica continueranno a migliorare fino a rivaleggiare con la risoluzione e la comodità dei libri normali. A quel punto, l’unico motivo impellente per andare fisicamente in biblioteca sarà vedere una copia di un libro che non è stato ancora digitalizzato, o che è stato digitalizzato ma non è scaricabile a causa delle restrizioni sul copyright».

Già allora, molti bibliotecari rispondevano che le biblioteche non servono soltanto a contenere libri cartacei e a prestarli gratuitamente, e che internet non avrebbe potuto rivaleggiare con le loro altre funzioni. Per esempio offrire uno spazio sicuro, caldo e accogliente per tutti per lavorare, studiare, leggere o fare altre attività, senza bisogno di pagare alcunché. Ma anche mettere a disposizione del pubblico esperti il cui lavoro principale è quello di aiutare le persone a trovare informazioni – o, come dicono i professionisti del settore, «soddisfare i propri bisogni informativi» – indirizzandole verso libri, documenti o servizi che possano rispondere con completezza alle loro domande. È quello che nel gergo dei bibliotecari si chiama “servizio di reference”. Il fatto che negli ultimi vent’anni un numero crescente di persone abbia cominciato a cercare risposte ai propri “bisogni informativi” online, prima grazie a motori di ricerca come Google e più di recente ponendo domande a chatbot come ChatGPT, ha portato i bibliotecari a interpellarsi ulteriormente sul proprio ruolo. Hanno digitalizzato le proprie collezioni, messo in comune i propri cataloghi con molte altre biblioteche per permettere alle persone di prendere in prestito libri che si trovano altrove, aggiunto e-book ed e-reader, ma anche riviste, film, a volte addirittura videogiochi, e messo a disposizione computer per chi non ne aveva uno. Sono rimasti dei posti importanti per chi ha bisogno di un posto tranquillo per studiare o leggere, nonché per organizzare eventi culturali e dibattiti. E hanno ideato nuovi servizi che puntano sulla grande differenza che esiste tra porre una domanda a un algoritmo che privilegia contenuti “ottimizzati” per apparire in cima alle ricerche, come fa Google, e porla a un essere umano che ha dei propri gusti personali, ma che ha anche studiato per individuare risposte informate e affidabili.

– Leggi anche: Come salvare le biblioteche

È quello che sta facendo con un certo successo Eurekoi, piattaforma franco-belga che invita chiunque a porle qualsiasi domanda, curiosità o richiesta di consiglio: la promessa è quella di far rispondere entro tre giorni a una rete di oltre 600 bibliotecari provenienti da 52 biblioteche della Francia o del Belgio francofono, fungendo sostanzialmente da “motore di ricerca umano”.

Non è un progetto unico nel suo genere: a Bologna, per esempio, esiste il servizio di reference digitale cooperativo “Chiedilo alla biblioteca”, attraverso cui otto biblioteche della città, diverse per natura e dimensioni, collaborano per rispondere alle domande dei cittadini sempre entro tre giorni. Per grandezza della rete, numero di richieste pervenute e ampiezza dei temi su cui si esprime, Eurekoi è però un esperimento particolarmente impressionante.

Eurekoi si chiama così dal 2015, ma esiste dal 2006: «prima avevamo una hotline telefonica per rispondere alle domande a distanza» racconta Caroline Lamotte, una delle persone che coordina il progetto nella Bibliothèque publique d’information, la principale biblioteca pubblica di Parigi, che ha la propria sede all’interno del Centre Pompidou. «Per molto tempo si è trattato soltanto di un servizio di documentazione, in cui i bibliotecari indirizzavano gli utenti verso i documenti o le opere che potevano loro servire. Ma dal 2017 abbiamo aggiunto un servizio di raccomandazione: prima di romanzi e fumetti, poi di film e serie tv. Quest’anno abbiamo aggiunto i consigli di giochi da tavolo». Eurekoi è finanziata dal ministero della Cultura e della Comunicazione francese e dal Servizio di lettura pubblica della Comunità francese del Belgio. La piattaforma mette molto in chiaro i modi in cui ritiene di differenziarsi da «motori di ricerca, forum e enciclopedie»: queste risorse, dice il sito di Eurekoi, propongono troppe informazioni in modo indistinto, non rendono ben chiaro chi stia consigliando qualcosa o il motivo per cui sta privilegiando una specifica fonte d’informazione, e non è detto che siano affidabili. I bibliotecari della rete, invece, offrono «una risposta personalizzata, accurata, documentata». Che non si limita a riportare le ultime discussioni su un tema, ma offre un contesto e una visione d’insieme spesso necessaria a capire effettivamente una risposta.

Per farlo, coinvolgono decine di biblioteche pubbliche locali, tra cui alcune molto specializzate in specifici campi. «Rispondere alle domande del pubblico è solo una parte della missione e delle attività del personale delle biblioteche che fanno parte della rete, e normalmente un singolo bibliotecario risponde a una singola domanda», racconta Lamotte. «Ma a volte, soprattutto se la domanda è molto specialistica, ci rivolgiamo ai bibliotecari che hanno accesso a specifici archivi: per esempio quello di Brest è specializzato in oceanografia, la biblioteca della Città delle Scienze di Parigi si occupa di questioni scientifiche, le domande su arte e archeologia vengono gestite dalla biblioteca dell’eccellente Istituto nazionale di storia dell’arte». Gli unici temi su cui si rifiutano, per deontologia, di dare risposte sono eventuali dubbi medici o legali: in quei casi dicono all’utente di consultare figure professionali specialistiche. Nel caso l’utente non cerchi risposte ma consigli – anche molto specifici, come «fumetti postapocalittici che parlano di tecnologia e ambiente», «opere per spiegare l’incarcerazione di un genitore a un bambino molto piccolo» o «film in cui i camper hanno un ruolo centrale» – si tende invece a girare la domanda alla biblioteca più vicina all’utente, in modo da valorizzare anche le collezioni delle biblioteche locali.

Eurekoi chiede a ogni bibliotecario che partecipa al progetto di accompagnare i propri consigli con una breve argomentazione, una spiegazione di perché un certo libro a loro è piaciuto o perché pensano che possa essere giusto per la persona che ha chiesto il consiglio. «È questo il plusvalore di un bibliotecario, dopotutto», dice Lamotte. «Presentare un’opera, spiegare il perché, far ve**re voglia di leggerla. Eurekoi fa un po’ un lavoro di militanza sull’utilità delle biblioteche, in questo senso».

Migliaia di domande a cui è già stata data una risposta sono disponibili e consultabili sul sito di Eurekoi: tra quelle pubblicate di recente c’è «Che metodi e libri mi consigliate per padroneggiare l’inglese in un mese?». La risposta è molto realista: «Alcuni siti web promettono di farti padroneggiare l’inglese in un mese, ma l’apprendimento di una lingua non equivale alla sua padronanza. Al di là della fantascienza (tutti sogniamo di imparare le cose anche la notte mentre dormiamo, magari usando gli elettrodi) sembra un obiettivo ambizioso, se non irrealistico. Come indica l’organizzazione di formazione linguistica Wall Street English, «Siamo realistici, non diventerai bilingue in 1 mese. Ma in 1 mese, se sei coscienzioso e motivato, puoi fare progressi significativi e sentirti più a tuo agio con la lingua». Il resto della risposta include moltissimi libri di testo, ma anche podcast da ascoltare o canali televisivi da guardare per migliorare l’inglese in modo divertente. Nel 2019 erano arrivate 9.214 domande, nel 2020 9.580. Da lì in poi, il volume delle richieste è un po’ sceso: nel 2021 sono state 7.087, nel 2022 6.577. A porle sono soprattutto persone comuni, qualche universitario che sta cominciando la ricerca per la tesi, o studenti di medie e superiori che apprezzano l’aiuto con i compiti per casa. «Esiste una percentuale significativa di utenti che sono persone che non utilizzano affatto le biblioteche. Quindi è anche un modo per far conoscere il loro lavoro», spiega Lamotte.

Il progetto ha tre obiettivi principali, dice Lamotte. Il primo è quello di cooperare a livello nazionale per aiutare anche biblioteche locali più piccole e con meno fondi a offrire un servizio innovativo agli utenti. Il secondo è quello di soddisfare i bisogni informativi del pubblico, anche quando le persone non vanno più fisicamente in biblioteca: «Parlando con qualcuno in biblioteca è semplice scambiarsi qualche domanda: magari ti dicono che gli è piaciuto L’eleganza del riccio e vorrebbero leggere qualcosa di simile, o che stanno cominciando a interessarsi di ecologia ma non sanno da dove iniziare. Eurekoi vuole permettere agli utenti di avere delle risposte molto personalizzate alle loro domande, anche a distanza». Il terzo obiettivo è quello di valorizzare la collezione delle singole biblioteche e mettere in mostra l’esperienza e la specializzazione del personale, ricordando al contempo il ruolo ancora importante che i bibliotecari svolgono nonostante gran parte del pubblico abbia ormai accesso a internet.

– Leggi anche: Come Google influenza le nostre conoscenze

«Non penso che avrebbe alcun senso per noi posizionarci come rivali di Google o ChatGPT. Sarebbe come mettere Davide contro Golia. E poi noi usiamo molto Google e altri motori di ricerca per proporre al pubblico articoli di giornale, ricerche accademiche open source e altre risorse online», dice Lamotte. Nei prossimi mesi il progetto intende allargarsi per incoraggiare gli utenti a sottoporre loro questioni spinose e divisive rispetto a cui non sono riusciti a farsi un’idea, aiutandoli a distinguere tra fonti autorevoli e credibili da una parte e fonti faziose o informazioni false dall’altra.

«La sfida oggi è quella di far percepire al pubblico la differenza tra un professionista delle fonti che può aiutarti a costruire le tue conoscenze e un algoritmo che si basa sull’inferenza statistica come ChatGPT o Bard», dice Laura Ballestra, presidente dell’Associazione italiana biblioteche. «Non devo solo soddisfarti: il Manifesto UNESCO delle biblioteche pubbliche, aggiornato nel 2022, dice a chiare lettere che è compito della biblioteca insegnare a usare gli strumenti digitali e informativi. La speranza è quella di riportare le persone a farsi domande e a lavorare come lavorano i bibliotecari: senza accontentarsi della prima risposta, ma guardando l’origine di quella risposta. È una professione dall’etica molto forte».

Secondo Lamotte, la principale sfida rimangono i fondi necessari a portare avanti il progetto e ad allargarlo, come sperano di fare: essendo pubblica, infatti, l’esistenza di Eurekoi dipende dalla volontà dei governi di continuare a stanziare fondi per tenerla aperta. Un tema molto simile esiste anche rispetto alle biblioteche italiane: da anni anche istituzioni molto grandi e importanti, come le Biblioteche nazionali di Napoli, Roma e Firenze, hanno ridotto i propri orari di apertura a fronte di un numero insufficiente di dipendenti. Secondo un rapporto ISTAT del 2019, solo il 10 per cento delle biblioteche pubbliche italiane ha un bibliotecario assunto. Il 9 per cento fa ricorso a bibliotecari esternalizzati, mentre il 52 per cento utilizza volontari o stagisti. Nelle periferie e nel sud Italia, poi, le biblioteche sono significativamente meno capillari.

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