Deneb Club - Maria Montserrat

Cambiemos el mundo,comenzando por la mesa!”

14/07/2019

Nuevo Grupo “SECRETOS DE FELICIDAD”
Compartiremos Secretos que nos acercarán a nuestra felicidad del día a día !
Porque la Felicidad, Sí se puede medir... Tu cuanta quieres ??

Únete al grupo, haz clic en este enlace :

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11/02/2019

Si Narra che in questo lembo della Sicilia orientale vivesse una splendida ninfa chiamata Galatea, figlia di Nettuno.

La giovane era innamorata del pastorello Aci, con cui soleva amoreggiare lungo una spiaggia della costa.

Ogni giorno, al tramonto, i due si separavano, con la promessa di ritrovarsi all’indomani.
Un giorno, il ciclope Polifemo, innamorato di Galatea, vide i due innamorati che si intrattenevano sulla riva del mare.

Accecato dalla rabbia prese un masso gigantesco e lo lanciò contro Aci, uccidendolo. Il masso continuò la sua corsa e finì in mare, dando origine all’attuale isola di Lachea.
Distrutta dal dolore, Galatea pianse tutte le lacrime del mondo, al punto che gli Dei ebbero pietà di lei. Trasformarono Aci in un fiume, e la ninfa in schiuma del mare, cosicchè i due innamorati potessero abbracciarsi per l’eternità.

Il fiume Aci sgorga dall'Etna e scorre in gran parte sotterraneo, gettandosi in mare proprio in quel tratto di costa in cui s’incontravano i due innamorati. Qui, a testimonianza di quel tragico amore, c’è una sorgente d’acqua dolce dal caratteristico colore rossastro che i siciliani chiamano “u sangu di Jaci”, il sangue di Aci.

28/01/2019

Castello di Pietrarossa Qalat-An-Nissa (Caltanissetta) anno 900 d.C.

I guerrieri arabi riposano nelle sale del castello dopo l’ennesima battaglia. Il banchetto è fastoso, accompagnato da canti e balli di bellissime donne.

Alcuni di loro chiedono alle concubine dell’emiro di preparare qualcosa di speciale, un piccolo pezzo di paradiso da poter custodire nel bagaglio, una porzione di sogno da portare con sé per rivivere, in qualunque luogo e in qualunque tempo, la magia dell’incanto delle notti a Pietrarossa.

La sfida è difficile, quasi impossibile.

Le donne prendono i frutti della straordinaria Sicilia: mandorle, pistacchi e il miele più dolce e puro. Sul fuoco lento, in un paiolo di rame, cominciano a mescolare tutto.
La sera, al termine del banchetto, portano in tavola un dolce che nessuno aveva mai visto prima: croccante e friabile, gustoso e duraturo, morbido e compatto, leggero e ricco.
È nata la Cubaita.

I guerrieri se ne riempino le bisacce e, andati via dal castello di Pietrarossa, lo fanno conoscere al mondo.

Così Andrea Camilleri sulla cubaita:

La cubaita è semplice e forte, un dolce da guerrieri, lo devi lasciare ad ammorbidirsi un pochino tra lingua e palato, devi quasi persuaderlo con amorevolezza ad essere mangiato.

Ti obbliga a una sua particolare concezione del tempo, ha bisogno di tempi lunghi del viaggio per mare o per treno, non si concilia con l’aereo, con la fretta.
Ti invita alla meditazione ruminante.

Rende più dolce e sopportabile l’introspezione che non sempre è un esercizio piacevole.
Alla dolcezza del miele mischia l’”amarostico” delle mandorle tostate e il ricordo del verde attraverso il pistacchio. Diventa così una sorta di filosofia.

03/01/2019

Cnosso (Creta), un po’ di tempo fa … Quando Minosse scoprì che Teseo era riuscito nell’impresa di uccidere il Minotauro e di uscire dal labirinto grazie all'aiuto di Dedalo, imprigionò quest’ultimo e suo figlio Icaro all’interno dello stesso labirinto.
"Possono precludermi il mare e la terra, disse Dedalo, ma il cielo è certamente libero: costruirò due paia di ali per fuggire”
“… dispose secondo un dato ordine delle penne, con del filo fermò le parti di mezzo, fissò con la cera le estremità inferiori e le piegò incurvandole lievemente così da imitare i veri uccelli.
Al decollo Dedalo ordinò al figlio: "Tieni la via di mezzo, perché se andrai basso l'onda appesantirà le penne, se troppo in alto, il sole le brucerà ... prendi la strada che io ti mostrerò".
Sorpresa meravigliosa! Il vento lo sosteneva, lo sospingeva veloce: poteva giocarci e farsi trasportare senza fatica. Icaro si sentiva di minuto in minuto più sicuro di sé da poter volare fino a … Non c’era nessun limite… “Ecco perché di tanto in tanto gli uccelli gettano un grido: perché sono felici di volare!”
Dedalo gridò: Attento, figlio! Il vento ci sta portando troppo in alto. È pericoloso!
Se il vento mi porta più in alto, pensò Icaro, vedrò più lontano, vedrò quanto è grande questo mare e… vedrò meglio il sole! Restò dunque nel vento che lo portava veloce verso l’alto. Ma d’un tratto tutto cambiò “… La vicinanza del sole ardente ammorbidì la cera che teneva unite le penne. Icaro agitò le braccia rimaste n**e, e non avendo con che remigare non si sostenne più in aria. Invocando il padre precipitò a capofitto e il suo urlo si spense nelle acque azzurre …”
Dedalo accortosi che il figlio non lo seguiva, ritornò indietro: "Icaro Icaro, dove sei?". Quando vide le penne sparse sulle onde maledisse la sua arte.
Recuperato il corpo, lo seppellì in un'isola vicina che chiamò Icaria in suo onore. Poi riprese a volare fino a Camico in Sicilia, ospite del re Cocalo, e da lì a Cuma dove costruì uno splendido tempio in onore del dio Apollo e ai piedi del quale depose le ali. (Ovidio, Metamorfosi)

21/12/2018

Palermo Porta Sant’Agata all’Albergheria, notte del 10 novembre del 1160. (Rivolta dei Baroni). Matteo Bonello, nobile normanno e signore di Caccamo, con un manipolo di uomini al seguito tende un agguato mortale a Maione da Bari, Primo Ministro di Guglielmo I (detto il Malo). Poco tempo dopo alcuni congiurati penetrano improvvisamente nelle camere del sovrano al Palazzo Reale.
Guglielmo, atterrito, tenta invano di scappare. Trattenuto si dichiara pronto ad abdicare a favore del figlio Ruggero.

Chiuso il sovrano nelle sue stanze, i congiurati portano il piccolo Ruggero in groppa ad un cavallo per le vie della città.
Il popolo, spaventato della sommossa, si schiera con il Re liberandolo e riportandolo al potere. Matteo Bonello e i suoi seguaci sono costretti a rifugiarsi nel castello di Caccamo.

La vendetta di Guglielmo I non si fa attendere. Il Re invia un esercito contro i ribelli asserragliati a Caccamo. Ma il castello risulta inespugnabile.
Quello che non riuscì a fare con la forza, il re ottenne con l’inganno: fece credere al Bonello di averlo perdonato e durante una giornata a corte lo fece arrestare. Rinchiuso a palazzo, fu torturato sino alla morte.
Da allora il fantasma di Matteo Bonello si aggira inquieto per il castello in cerca di pace eterna! Chi lo avrebbe visto descrive un essere vestito con abiti d’epoca, pantaloni e giacca di cuoio, che si muove trascinandosi lentamente col volto sfigurato, barbottando i nomi di coloro i quali lo tradirono e torturarono.

L’odio e il desiderio di vendetta gli impediscono di raggiungere la pace eterna e quindi continua a vagare inquieto nel maniero.

Caccamo è un antico Borgo Medievale, a circa 45 Km da Palermo, dove cultura, storia, arte, artigianato, tradizioni e gastronomia fanno di questa cittadina uno scrigno di preziosità.

17/12/2018

Anapia e Afinomo stavano lavorando nel loro campo ai piedi dell'Etna quando ... Un nuvolone di fumo densissimo oscurò il cielo. Il sole divenne sanguigno e un boato fece sussultare le pendici screpolate dell’Etna.
Contadini e pastori si precipitavano giù a valle trascinando con sé le poche e misere masserizie e spingendosi innanzi i bovi mugghianti, le pecore impazzite e i cani che ululavano, in un inferno di ceneri infuocate, di scosse paurose e di bagliori cupi e accecanti.

Anfinomo a Anapia, invece, con l’ansia nel petto in tumulto, sfuggivano come due nibbi alle mani che cercavano di agguantarli, e salivano, salivano disperatamente incontro alla morte e contro la natura spietata.
Tornate, tornate indietro! Disgraziati… la montagna sta divampando! La sciara è entrata come serpente nelle nostre case! È il giudizio di Dio, è la morte…
Raggiunta la loro capanna videro i loro vecchi genitori accostati ad un angolo, abbracciati e rassegnati a morire.

Padre, madre! Che non sentite? Siamo qui, i vostri figli, Anfinomo, Anapia…
Il torrente di lava stava già per investire la capanna. I fratelli pii si caricarono sulle spalle i loro genitori, e giù, anch’essi verso la valle lontana.

Ebbe inizio una gara tremenda tra l’impeto della natura e la fragile forza degli uomini. Vinse la natura e il torrente raggiunse i fratelli.

In quell'istante il “fiume rosso” si divise in due, lasciando così immuni i fratelli e i rispettivi genitori, per poi ricongiungersi.
Il fenomeno stupì i catanesi che soprannominarono i giovani “fratelli pii”, ed il luogo che essi avevano attraversato “Campi pii”. Questa leggenda è forgiata nel bronzo di uno dei quattro candelabri della centralissima piazza Università a Catania.

Foto: Salvo Orlando; testi tratti da: I Diavoli del Gebel, leggendario dell’Etna (Santo Calì)

05/12/2018

Entre las reinas la de la tradición de confitería siciliana la "Sfincia" tiene un origen antiguo tanto para aparecer en la biblia y en el Corán. Parece que es la evolución de panes o dulces árabes o persas fritos en el aceite.
Durante las fiestas en honor de deméter (divinidad griega de los messi), de ceres (la correspondiente divinidad romana) y de liber pater, Dios romano de la familia y de la fecundidad del hombre y de la tierra se les ofreció a la comunidad panes y dulces fritos.
El origen del nombre, spongia en latín o isfang en árabe, es dado por su particular forma: se presenta como un panqueque suave y de forma irregular, al igual que una verdadera esponja.
El término sfingiari (VENDEDORES DE ESFINGES) aparece en un texto escrito por primera vez en 1330.

La transformación del antiguo dulce árabe en la sfincia frita se debe a las monjas clarisse del monasterio de los estigmas de San Francisco (Palermo) que dedicaron el dulce en San José, el santo de los humildes.

Cada Monasterio tenía un plato, un manjar, que era como su placa... todos los pasteleros de la ciudad compitieron en componer manjares de cualquier manera, pero quién podía llegar a la delicia de los frutos de pasta dulce de almendras del monasterio de la martorana, Del arroz dulce del monasterio de s. Salvatore?... muchos menvan orgullo de su pan de España, pero comparado con el del monasterio de la piedad, cualquier confitero tenía que ir a ocultar, o las llamadas sfincie empapadas, compuestas por huevos y nata, del monasterio de los estigmas... ("la vida en palermo cien y hace más años" de g. Pitrè)

Ese Monasterio ya no existe, siendo demolido en 1875 para hacer espacio en el teatro máximo.
Fueron los pasteleros palermitanos, hereditarios de las recetas de las monjas, a enriquecer el panqueque con los ingredientes accesorios: la ricota, las gotas de chocolate, la grano de pistachos y frutas confitada.... la tradición quiere que las sfince sean preparadas por la suegra para la Nuera para endulzar las difíciles relaciones.

Tra le regine incontrastate della tradizione dolciaria siciliana la “sfincia” ha un’origine antichissima tanto da comparire nella Bibbia e nel Corano. Pare sia l’evoluzione di pani o dolci arabi o persiani fritti nell’olio.
Durante le feste in onore di Demetra (divinità greca delle messi), di Cerere (la corrispondente divinità romana) e di Liber Pater, dio romano della famiglia e della fecondità dell’uomo e della terra venivano offerti alla comunità pani e dolci fritti.
L’origine del nome, spongia in latino o isfang in arabo, è dato dalla sua particolare forma: si presenta come una frittella morbida e dalla forma irregolare, proprio come una vera e propria spugna.
Il termine sfingiari (venditori di sfingi) spunta su un testo scritto per la prima volta nel 1330.

La trasformazione dell’antico dolce arabo nella sfincia fritta si deve alle Suore clarisse del Monastero delle Stimmate di San Francesco (Palermo) che dedicarono il dolce a San Giuseppe, il Santo degli Umili.

Ciascun monastero aveva un piatto, un manicaretto, ch’era come il suo distintivo … Tutti i pasticcieri della città gareggiavano nel comporre ghiottonerie d’ogni maniera, ma chi poteva mai raggiungere la squisitezza dei frutti di pasta dolce di mandorle del Monastero della Martorana, del riso dolce del monastero di S.Salvatore ? … Molti menvan vanto del loro pan di spagna, ma in confronto a quello del monastero della Pietà, qualunque dolciere doveva andarsi a nascondere, o le cosiddette sfincie fradici, composte da uova e panna, del monastero delle Stimmate … (“La vita in Palermo cento e più anni fa” di G. Pitrè)

Quel Monastero ormai non esiste più, essendo stato demolito nel 1875 per fare spazio al Teatro Massimo.
Furono i pasticceri palermitani, ereditari delle ricette delle suore, ad arricchire la frittella con gli ingredienti accessori: la ricotta, le gocce di cioccolato, la granella di pistacchi e frutta candita…. La tradizione vuole che le sfince venissero preparate dalla suocera per la nuora per addolcire i difficili rapporti. @ Palermo, Italy

04/12/2018

Concettina era hermosa. Era el orgullo de sus padres. Para ella ya se había preparado todo. El kit era bonito y listo. El marido también estaba listo. El hijo de los carbonero, una familia bien de la ciudad.
Su no era amor verdadero, fueron las familias las que deciden. El amor vendría después y los hijos también. Así era y así se tenía que hacer.
El día del domingo era especial, se iba a la iglesia a la misa con la viste buena. Tenía que ser visto por todos. Y todos se veían.
Fue en un domingo que concettina vio allí, apoyado en el poste, un joven marinero. Una mirada y fue inmediatamente amor. Un amor nefasto, imposible, sin esperanza. Nunca, nunca, sus padres estarían de acuerdo.
Como fue y como no fue, concettina y el joven marinero empezaron a verse en secreto.
Lugar de encuentro fue ese pedazo de costa bañadas del agua blanca y cristalina con el faro a ser de guardián. Allí, cada noche, los dos jóvenes se daban cita y consumían su amor, soñando con una vida de alegrías.
Pero una noche de luna llena, concettina llegó antes y se sentó en una roca esperando al joven marinero que no llegaba. Pasaron los días. Las semanas. El marinero no llegaba.
El dolor se había convertido en angustia y era insoportable. Así que decidió ir a buscar y se. Fue entonces cuando concettina se convirtió en pillirina. Desde ese mar, la pobre pillirina no volvió.
Se dice, que durante las noches de luna llena, los pescadores vean sus blancos rayos penetrar entre las grietas de la cueva y a través de un juego de luces y de sombras, parece que se refleja la imagen fatua y ligera de concettina en pillirina, sentada pobrecita en el Su Roca sigue esperando al que nunca volvió. (Graziella suerte) #

Concettina era bella. Era il vanto dei suoi genitori. Per lei era già stato predisposto tutto. Il corredo era bello e pronto. Anche il marito… era pronto. Il figlio dei Carbonaro, una famiglia bene della città.
Il loro non era vero amore, erano state le famiglie a decidere. L’amore sarebbe venuto dopo e anche i figli. Così era e così si doveva fare.
Il giorno della domenica era speciale, si andava in chiesa alla messa con la veste buona. Ci si doveva far vedere da tutti. E tutti si vedevano.
Fu proprio durante una domenica che Concettina vide lì, appoggiato al palo, un giovane marinaio. Uno sguardo e fu subito amore. Un amore funesto, impossibile, senza speranza. Mai e poi mai i suoi genitori avrebbero acconsentito.
Come fu e come non fu, Concettina e il giovane marinaio cominciarono a vedersi di nascosto.
Luogo di incontro fu quel pezzo di costa lambita dall’acqua bianca e cristallina con il faro a fare da guardiano. Lì, ogni notte, i due giovani si davano appuntamento e consumavano il loro amore, sognando una vita di gioie.
Ma una notte di luna piena, Concettina arrivò prima e si sedette su uno scoglio ad aspettare il giovane marinaio che non arrivava. Passarono i giorni. Le settimane. Il marinaio non arrivava.
Il dolore si era trasformato in angoscia ed era insopportabile. Così decise di andarlo a cercare e si tuffò. Fu allora che Concettina diventò a Pillirina. Da quel mare la povera pillirina non tornò più.
Si narra, che durante le notti di luna piena, i pescatori vedano i suoi bianchi raggi penetrare tra le fessure della grotta e attraverso un gioco di luci e di ombre, sembra si rifletta l’immagine fatua e leggera di Concettina a pillirina, seduta poverina sul suo scoglio ancora ad aspettare colui che mai tornò. (Graziella Fortuna)

03/12/2018

Hace mucho tiempo en las badlands del norte de México, el pueblo azteca vagaba sin una mitad liderados por una antigua profecía: " allí, donde verán un águila acurrucada sobre un nopalli (como llamaban el higo de India) que come una serpiente, construirán la Su Patria ". la leyenda quiere que encontraron esta imagen en la isla en el centro del lago texcoco donde, en 1325, fundaron su espléndida capital tenochtilàn (la actual ciudad de México). Esa imagen hoy está representada en el escudo de México y está presente en el centro de la bandera mexicana.

La planta llegó al viejo mundo probablemente alrededor de 1493, año del regreso a Lisboa del envío de Cristóbal Colón.

Giuseppe Pitrè cuenta de una antigua leyenda que dice: " Lu pedi de ficudinnia (la planta del higo de India) era planta venenosa, llevada a Sicilia por los turcos para destruir a los sicilianos y que el buen Dios, que tanto nos ama, los hubiera hecho Dulces y también beneficios ". a los sicilianos el mérito de la invención del higo de la india scuzzulato (malparida). En 1884, el agrónomo siciliano Alfonso España escribía de un colono de capaces que se negaba a vender la producción de sus higos de india a un conterraneo que les aspiraba y que éste, indignado de la negación, vengue la a con la violencia, cortando los Frutos en plena floración.

Este exceso de vandalismo produjo efectos contrarios a las intenciones siniestras del malvado autor.
Los frutos renacieron poco después de los entrenudos en menor número, pero firmes y prometedores y vinieron a maduración con cáscara fina y pulpa tan serata y consistente en poder conservar en almacén durante varios meses y resistir los acontecimientos de las largas navegaciones.
Nunca la cicatriz fue tan beneficiosa y esclarecedor.

La vida es como el higo de la India, si no te atrapas primero las espinas no puedes llegar a la pulpa.

Molto tempo fa nelle lande desolate del Messico settentrionale, il popolo azteco vagava senza una metà guidati da un’antica profezia: “Lì, dove vedrete un’aquila appollaiata su di un Nopalli (come chiamavano il fico d’India) che mangia un serpente, costruirete la vostra patria”. La leggenda vuole che scorsero questa immagine nell’isola al centro del lago Texcoco dove, nel 1325, fondarono la loro splendida capitale Tenochtilàn (l’attuale Città del Messico). Quell'immagine oggi è raffigurata nello stemma del Messico ed è presente al centro della bandiera messicana.

La pianta arrivò nel Vecchio Mondo verosimilmente intorno al 1493, anno del ritorno a Lisbona della spedizione di Cristoforo Colombo.

Giuseppe Pitrè racconta di un’antica leggenda che dice: “lu pedi di ficudinnia (la pianta del fico d’India) era pianta velenosa, portata in Sicilia dai Turchi per distruggere i siciliani e che il buon Dio, che tanto ci ama, li avrebbe resi dolcissimi ed anche benefici”. Ai siciliani il merito dell’invenzione del fico d’India scuzzulato (bastardone). Nel 1884 l'agronomo siciliano Alfonso Spagna scriveva di un colono di Capaci che si rifiutava di vendere la produzione dei suoi fichi d'India ad un conterraneo che vi aspirava e che costui, indignato del diniego, vendicasse la ricusa con la violenza, recidendo i frutti in piena fioritura.

Quest'eccesso vandalico produsse effetti contrari alle sinistre intenzioni del malvagio autore.
I frutti rinacquero poco dopo negli internodi in minor numero, ma turgidi e promettenti e vennero a maturazione con buccia fina e polpa così serrata e consistente da potersi conservare a magazzino per più mesi e resistere agli eventi delle lunghe navigazioni.
Mai sfregio è stato così benefico e illuminante.

La vita è come il fico d'India, se non ti becchi prima le spine non puoi arrivare alla polpa.

03/12/2018

Cuando traicionar a una mujer siciliana... Palermo año 1000 D.C. (dominación árabe) Barrio de la kalsa.

Una hermosa doncella palermitana de la piel rosada y de los ojos azules intenso, vivía sus días en una dulce y solitaria quietud, dedicando su atención a la encantadora cura de las plantas de su balcón.
Un día, un joven moro, deslumbrado por su belleza, se quedó enamorado y, sin demora, entró en la casa y le declaró su amor.
La Doncella, golpeada por tanto sentimiento, me el amor del joven que, en su corazón, ocultaba un pesado secreto: esposa e hijos lo esperaban en el oriente donde tendría que regresar pronto.
La bella doncella supo de la inminente salida del sarraceno, esperando la oscuridad y, tan pronto como se durmió la mató, le cortó la cabeza, hizo un jarrón donde le plantó albahaca y lo puso en bella exposición fuera en el balcón.
El Moro, así, ya no podía irse, se quedaría con ella para siempre.
Mientras tanto, la albahaca, regado por las lágrimas de la bella joven, creció exuberante despertando la envidia de las vecinas que, por no ser menos, se hicieron construir macetas de terracota en forma de "cabeza de moro".

Milán, septiembre de 2012
En las notas de " maravilloso " y " volar " de modugno, Dolce & Gabbana presentan su colección primavera verano 2013.
Se celebra la alegría de vivir, el color, la alegría, pero sobre todo la artesanía y la cultura popular siciliana.
El accesorio must de temporada son los pendientes: grandes, llamativos, coloridos que representan la "cabeza de moro".

Quando tradire una donna siciliana ... Palermo anno 1000 d.C. (dominazione araba) quartiere della Kalsa.

Una bellissima fanciulla palermitana dalla pelle rosata e dagli occhi azzurro intenso, viveva le sue giornate in una dolce quanto solitaria quiete, dedicando le sue attenzione all’amabile cura delle piante del suo balcone.
Un giorno, un giovane moro, abbagliato dalla sua bellezza, ne rimase invaghito e, senza indugio, entrò in casa e le dichiarò il suo amore.
La fanciulla, colpita da tanto sentimento, ricambiò l’amore del giovane che, in cuor suo, celava un gravoso segreto: moglie e figli lo attendevano in oriente dove avrebbe dovuto far ritorno a breve.
La bella fanciulla saputo dell’imminente partenza del saraceno, attese le tenebre e, non appena si addormentò l’uccise, gli tagliò la testa, ne fece un vaso dove vi piantò del basilico e lo mise in bella mostra fuori nel balcone.
Il moro, così, non potendo più andar via sarebbe rimasto con lei per sempre.
Intanto il basilico, innaffiato dalle lacrime della bella giovane, crebbe rigoglioso destando l’invidia delle vicine che, per non essere da meno, si fecero costruire vasi in terracotta a forma di “Testa di Moro”.

Milano, settembre 2012
Sulle note di “Meraviglioso” e “Volare” di Modugno, Dolce & Gabbana presentano la loro collezione Primavera Estate 2013.
Si celebra la gioia di vivere, il colore, l'allegria, ma soprattutto l'artigianalità e la cultura popolare siciliana.
L’accessorio must di stagione sono gli orecchini: grandissimi, vistosi, coloratissimi che raffigurano la “Testa di Moro”.

30/11/2018

" nací en 1940 cuando se sufría el hambre, pero había amor para la familia, diferente al de hoy. Recuerdo cuando alrededor de la mesa mi padre se privaba del bocado para nosotros hijos ". 11 años después el padre de maria grammatico muere de repente.
Mamá, que estaba sola con cinco hijos y esperando el sexto, confía a María y a una hermana más pequeña a las monjas del convento de clausura de san carlo en erice, para aprender el arte de la pastelería.
No es fácil aprender las técnicas más refinadas, porque las monjas no se muestran dispuestas a transmitirla.
" hacían las recetas de noche para mantenerlas secretas, nos de verlas ", dice María, " pero yo espiaba por una trampilla y transcribiéndolas todo sobre unos pizzini, que luego le entregaba a mi madre rogándole que lo conservarlos para cuando saliera ".
Y una vez fuera del convento empezó a preparar los dulces en la casa para luego, en 1964, abrir un pequeño laboratorio. " sólo tenía 4 BANDEJAS, un rodillo y 3 kg de almendras ". " cuando abrí era marzo: en junio había podido vender mis primeras 50 mil liras de dulces. Le di 10 mil liras a mi madre, las cuales sirvieron para empezar a pagar las cuotas de un horno. Las restantes 30 mil liras las usé para comprar materias primas ". hoy su pastelería, de via Vittorio Emanuele 14 en erice, es conocida y amada en todo el mundo.
La " Genovese ", a pesar de su nombre, se considera de pleno derecho un " deber " de la producción de confitería siciliana y ericina en particular.
Parece que el nombre está relacionado con la forma del sombrero de los marineros genoveses presentes en trapani en la edad media debido a las intensas relaciones comerciales entre las dos ciudades.
Cuando con los labios se daña esa dulce envoltura de pasta quebrada de la que sale, como lava incandescente, la suave crema caliente, se entiende por qué las genoveses se deben comer a "Caliente-labios".
Hoy que las monjas del san carlo ya no están, la tradición de sus dulces, afortunadamente, permanece en manos de María y podrá ser transmitida a las próximas generaciones.

“Sono nata nel 1940 quando si soffriva la fame, ma c’era l’amore per la famiglia, diverso da quello di oggi. Ricordo quando attorno alla tavola mio padre si privava del boccone per noi figli”. 11 anni dopo il padre di Maria Grammatico muore improvvisamente.
La mamma, rimasta sola con cinque figli e in attesa del sesto, affida Maria e una sorella più piccola alle suore del convento di clausura di San Carlo a Erice, per imparare l'arte della pasticceria.
Non è facile apprendere le tecniche più raffinate, perché le monache non si dimostrano propense a trasmetterle.
"Facevano le ricette di notte per tenerle segrete, impedendoci di vederle", racconta Maria, "ma io spiavo da una botola e trascrivevo tutto su dei pizzini, che poi consegnavo a mia madre pregandola di conservarli per quando fossi uscita".
E una volta fuori dal convento cominciò col preparare i dolci in casa per poi, nel 1964, aprire un piccolo laboratorio. "Avevo solo 4 teglie, un mattarello e 3 kg di mandorle". "Quando ho aperto era marzo: nel mese di giugno ero riuscita a vendere le mie prime 50 mila lire di dolci. Diedi 10 mila lire a mia madre, altrettante servirono per iniziare a pagare le rate di un forno. Le restanti 30 mila lire le usai per comprare materie prime". Oggi la sua pasticceria, di via Vittorio Emanuele 14 a Erice, è conosciuta e amata in tutto il mondo.
La “genovese”, nonostante il nome, è da considerarsi a pieno titolo un “must” della produzione dolciaria siciliana ed ericina in particolare.
Sembra che il nome sia legato alla forma del cappello dei marinai genovesi presenti a Trapani nel medioevo a causa degli intensi rapporti commerciali tra le due città.
Quando con le labbra si intacca quel dolce involucro di pasta frolla da cui fuoriesce, come lava incandescente, la morbida crema calda, si capisce perché le genovesi si debbano mangiare a “scotta- labbra”.
Oggi che le monache del San Carlo non ci sono più, la tradizione dei loro dolci, per fortuna, rimane nelle mani di Maria e potrà essere tramandata alle prossime generazioni.

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