Daishin Malagodi
Pagina del Sangha Hui Neng, comunità Zen che si riunisce attorno al Rev. Daishin Malagodi. Le sue attività si svolgono prevalentemente a Roma.
Il Sangha Hui Neng è una comunità buddhista Zen di indirizzo non-settario nata nel 1998 e costituita formalmente nel 2001. Benché in passato abbia promosso un'intensa attività di pratica e di studio, attualmente il Sangha organizza incontri non regolari fra le persone che seguono gli insegnamenti del monaco Daishin. Daishin Malagodi è un monaco Zen, nato a Roma nel 1970, ha conosciuto il Dharma de
Cari amici e care amiche del mondo del Judo,
𝙢𝙞 𝙧𝙞𝙫𝙤𝙡𝙜𝙤 𝙖 𝙦𝙪𝙖𝙣𝙩𝙞 𝙛𝙧𝙖 𝙫𝙤𝙞, 𝙞𝙣𝙨𝙚𝙜𝙣𝙖𝙣𝙩𝙞 𝙙𝙞 𝙅𝙪𝙙𝙤, 𝙘𝙧𝙚𝙙𝙤𝙣𝙤 𝙣𝙚𝙡 𝙫𝙖𝙡𝙤𝙧𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙨𝙤𝙡𝙞𝙙𝙖𝙧𝙞𝙚𝙩à.
Già da tempo con alcuni amici abbiamo pensato di dare vita ad una rete solidale che connetta le società e gli insegnanti che intendono offrire o già offrono disponibilità gratuita o calmierata per far partecipare ai corsi bambini e ragazzi provenienti da famiglie con difficoltà socio-economiche.
Niente di straordinario, molti già fanno…
Si tratta di contarci, riconoscerci, analizzare i risultati, costruire occasioni.
Quindi:
-𝙘𝙝𝙞 𝙜𝙞à 𝙤𝙨𝙥𝙞𝙩𝙖 𝙣𝙚𝙞 𝙥𝙧𝙤𝙥𝙧𝙞 𝙘𝙤𝙧𝙨𝙞 𝙗𝙖𝙢𝙗𝙞𝙣𝙞 𝙚 𝙧𝙖𝙜𝙖𝙯𝙯𝙞 𝙘𝙝𝙚 𝙙𝙚𝙫𝙤𝙣𝙤 𝙚𝙨𝙨𝙚𝙧𝙚 𝙨𝙤𝙨𝙩𝙚𝙣𝙪𝙩𝙞 𝙤 𝙘𝙝𝙞 𝙙𝙚𝙨𝙞𝙙𝙚𝙧𝙖 𝙚 𝙝𝙖 𝙢𝙤𝙙𝙤 𝙙𝙞 𝙛𝙖𝙧𝙡𝙤, 𝙢𝙞 𝙘𝙤𝙣𝙩𝙖𝙩𝙩𝙞.
Vi invierò un semplice modulo per conoscere la vostra situazione e ci attiveremo insieme per far conoscere la nostra iniziativa.
Per ora pensavo di restringere l’area di collaborazione all’Italia Centrale, diciamo Lazio e regione limitrofe…poi potremmo gradualmente allargare il campo d’azione.
Potete:
-𝐢𝐧𝐝𝐢𝐜𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐯𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐝𝐢𝐬𝐩𝐨𝐧𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭à 𝐪𝐮𝐢 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨,
-𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐦𝐢 𝐬𝐮 𝐌𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐠𝐞𝐫,
-𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐮 𝐖𝐡𝐭𝐬𝐀𝐩𝐩 𝐚𝐥 𝟑𝟑𝟖𝟖𝟔𝟓𝟖𝟐𝟒𝟔,
-𝐦𝐚𝐧𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐞-𝐦𝐚𝐢𝐥 𝐚𝐥𝐥'𝐢𝐧𝐝𝐢𝐫𝐢𝐳𝐳𝐨: 𝐡𝐮𝐢𝐧𝐞𝐧𝐠@𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐨.𝐢𝐭 (𝐩𝐨𝐢 𝐚𝐭𝐭𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞𝐦𝐨 𝐮𝐧 𝐢𝐧𝐝𝐢𝐫𝐢𝐳𝐳𝐨 𝐢𝐬𝐭𝐢𝐭𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞).
Grazie!
A me ricordare pubblicamente i miei maestri mi fa sempre ve**re il prurito, non ci posso fare niente. Quando scrivo di loro in maniera elogiativa mi pare sempre, in un certo senso, di offenderli.
Detto questo, parlavo poco fa con un caro fratello di Zen (si, fratello di Zen e Zen l'argomento) e mi è tornato alla memoria il geniale titolo di un libro scritto dal Maestro Taino:
"La trippa ci sarebbe, mancano i gatti"
Ora, al di là del contenuto...com'erano ineguagliabili 'sti uomini che in sei parole sapevano esprimere un universo di concetti!
Oggi è venuto a trovarmi il caro amico Francesco col figlioletto Leo.
Di ritorno dal Giappone Francesco mi ha portato del senko, incenso per le cerimonie, e questa bella riproduzione artistica di parte del soffitto dell'Hatto (法堂) di Engaku-ji (円覚寺), uno dei più importanti complessi di templi buddisti Zen Rinzai Giapponesi situato nella città di Kamakura, nella prefettura di Kanagawa.
La visita è stata graditissima e quest'ultimo dono in particolare mi pare di buon auspicio e preconizza la ripresa delle attività regolari del nostro Sangha dopo anni di quiete.
La competitività in ambito spirituale è una aberrazione.
Naturalmente a tutti noi piace e convince il percorso che abbiamo intrapreso ma quando scendiamo sul piano del paragone con quelli che fanno altro rischiamo di dire sciocchezze...o comunque mai verità assolute.
Queso vale anche per alcuni capisaldi della percezione occidentale del Buddhismo.
Ad esempio, qualche giorno fa ne parlavo con uno stimato vecchio amico, l'idea di un 𝘽. 𝙢𝙖𝙩𝙪𝙧𝙤, 𝙖𝙛𝙛𝙧𝙖𝙣𝙘𝙖𝙩𝙤 𝙙𝙖 𝙙𝙚𝙫𝙤𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙚 𝙙𝙖𝙡𝙡'𝙞𝙙𝙚𝙖 𝙙𝙞 𝙪𝙣 𝙖𝙞𝙪𝙩𝙤 𝙥𝙧𝙤𝙫𝙚𝙣𝙞𝙚𝙣𝙩𝙚 𝙙𝙖𝙡𝙡'𝙚𝙨𝙩𝙚𝙧𝙣𝙤, anche se concettualemente vera nella maggior parte delle scuole (ma non in tutte) non si coniuga poi con molte realtà che ho conosciuto e studiato.
Ancora. 𝙄𝙡 𝘽. 𝙣𝙤𝙣 𝙛𝙖 𝙥𝙧𝙤𝙨𝙚𝙡𝙞𝙩𝙞𝙨𝙢𝙤!
Mah, io ho bazzicato un po' i centri italiani e studiato un po' la storia di questa cosa e francamente non mi pare veritiera. Gli uomini e le donne del B. (non il B. di per se, come non il Cristianesimo) applicano varie forme per diffondere, far conoscere, attirare gente.
𝙄𝙡 𝘽. 𝙣𝙤𝙣 𝙝𝙖 𝙢𝙖𝙞 𝙛𝙖𝙩𝙩𝙤 𝙜𝙪𝙚𝙧𝙧𝙚 𝙨𝙖𝙣𝙩𝙚.
Questa è una mezza verità che si fonda sul fatto che i buddhisti non hanno avuto mai poteri ecclesiali centralizzati, capillari e di influenza politica in analogia a quelli cristiani e islamici. Tuttavia, purtroppo, la storia buddhista ci presenta una serie di abusi e violenze, sia nell'antichità che oggi; in particolare dove c'è stata commistione di potere e religione ciò è spesso avvenuto.
La lista potrebbe essere più lunga, si deve tenere conto delle tante scuole e interpretazioni, contestualizzare i tempi e i luoghi ma credo che se vogliamo progredire con questa cosa qui da noi, dovremmo andare oltre i paragoni e le frasi fatte. Anche oltre l'idea del B. meglio degli altri o di un B. migliore di un altro.
Il Dharma del Buddha è un insegnamento magnifico, ha 84.000 vie d'accesso, e questo già ci dovrebbe far intuire il suo valore di inclusività, adattabilità verso il superamento delle divisioni. Partiamo da questo.
𝒵𝒶𝓏𝑒𝓃𝓀𝒶𝒾 𝒮𝒶𝓃𝑔𝒽𝒶 𝐻𝓊𝒾 𝒩𝑒𝓃𝑔
𝘎𝘳𝘶𝘱𝘱𝘰 𝘥𝘪 𝘮𝘦𝘥𝘪𝘵𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘢 𝘙𝘰𝘮𝘢 🧘🧘♀️
𝐏𝐫𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐥𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐁𝐋𝐔 𝟑𝟎𝟎𝟎
𝐕𝐢𝐚 𝐃𝐢𝐧𝐨 𝐏𝐞𝐧𝐚𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨, 𝟖𝟑 𝐑𝐨𝐦𝐚 (𝐳𝐨𝐧𝐚 𝐂𝐨𝐥𝐥𝐚𝐭𝐢𝐧𝐨)
𝐎𝐠𝐧𝐢 𝐯𝐞𝐧𝐞𝐫𝐝ì, 𝐨𝐫𝐞 𝟐𝟎:𝟑𝟎.
👉Primo incontro: 𝐯𝐞𝐧𝐞𝐫𝐝ì 𝟔 𝐬𝐞𝐭𝐭𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞 𝟐𝟎𝟐𝟒 𝐨𝐫𝐞 𝟐𝟎:𝟑𝟎👈
Il programma didattico avrà un approccio laico, ma le forme proposte saranno quelle tradizionali dello Zen con un approccio concettuale inter-scolastico. Ovviamente principalmente 𝘻𝘢𝘻𝘦𝘯 (meditazione seduta), 𝘬𝘪𝘯𝘩𝘪𝘯 (meditazione camminata), 𝘵𝘦𝘪𝘴𝘩𝘰 (insegnamento), ma anche altre attività (p. es. una lezione mensile dedicata alle "forme" dello Zen). Saranno previsti momenti per la pratica di 𝘴𝘢𝘯𝘻𝘦𝘯 e 𝘮𝘰𝘯𝘥𝘰 (colloqui sul 𝘬𝘰𝘢𝘯 o comunque personali).
Per partecipare è indispensabile telefonare prima o scrivere su WhatsApp al 3338 865 8246👈
https://www.judomalagodi.it/zen-2/
Io lo capisco che per fare il prete Zen è necessario parlare, fare largo uso di figure retoriche, utilizzare schemi analogici e metafore. Poi certo spiazzare, sorprendere e poi di nuovo offrire soluzioni, ammaliare.
Come diceva Giovannino Guareschi, riferendosi all'essenzialità del latino: "«(...) Quando inizierà l'era dei demagoghi, dei ciarlatani
(...), qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto “sonoro” potrà parlare per un'ora senza dire niente. (...)”
Ecco, io so poco del latino e a volte -più in passato- sono stato un po' cialtrone, ma mi sorprende sempre quando le cose, le persone, le percezioni non evolvono, non maturano.
Pure ne ho conosciuti di buddhisti laconici, riservati, essenziali e oggi mi accorgo di quanto quegli incontri, che poco apprezzavo quando ero più giovane, siano in realtà stati i più preziosi.
Ho visto maestri Zen seriamente turbati per problemi minori. Personalmente poi qualcuno di questi maestri l'ho fatto proprio incazzare.
Non dico di altri che ho visto abbassarsi a chiacchiere da bar.
Allora cos'è in fin dei conti questo Dharma? Questa via per la Liberazione? Non è qualcosa che ha a che vedere con l'idea che ci siano persone infallibili, che ci sia un modo per essere perfetti, quanto qualcosa che ha che vedere con una prassi che possa farci vivere una vita quanto più pacificata possibile.
Ha più a che vedere con quello che sentiamo, con la qualità del nostro quotidiano invece che con quello che diciamo di essere o coi vestiti che indossiamo.
Se sono di sinistra vedono solo le colpe di Israele, se sono di destra vedono soprattutto le pene prodotte dall'integralismo.
I buddhisti lo stesso, i progressisti sostengono un Dharma moderno, lontano quanto basta dalle religione e dalle sue manifestazioni, i conservatori vogliono il vero Dharma, quello ortodosso che garantisce purezza.
E così vogliono piegare la morale, la religione, persino la compassione alle proprie idee, alle proprie convinzioni, alle proprie opinioni.
E chiamano questa libertà!
Buddhisti potete essere un po' più sintetici?
Che ogni volta che citate un insegnante mettete due o tre trattamenti o titoli, due nomi, una scuola e un lignaggio e la cosa ha perso quel sapore tolkeniano per somigliare sempre di più alle battute di Aldo, Giovanni e Giacomo.
A Palermo è stato celebrato il Vesak nazionale U.B.I. 2023.
Ho un tenero ricordo di quello che si fece sempre lì nel 2009, tanti amici, tante persone belle e care, alcune che oggi non sono più.
La celebrazione, ma pure la bellezza della città, a spasso con gli amici Doryu e Gyoetsu, il bagno al mare dopo le cerimonie, una birretta, pane e panelle con il maestro Daido a Santa Rosalia, e la suggestiva cornice della Tonnara Florio, l'ospitalità di Silvana Paladino...più scrivo e più mi viene in mente altro.
Insomma un po' di sana nostalgia.
Chiamavo il mio maestro di Judo Umberto, fino a che lui non mi spiegò con garbo che chiamarlo maestro era funzionale, serviva più agli altri che a noi.
Poi col tempo capii che serviva più a me che a lui.
Fatto sta che dai miei allievi (parlo sempre di Judo) mi piace essere chiamato così, fino a correggerli se necessario o smettere di avere rapporti con loro se, una volta ex-allievi, ritengono io diventi all'improvviso Alfredo.
Significa che non gli ho spiegato bene la questione, ma anche che loro non hanno fatto un piccolo sforzo per crescere (facendosi anche piccoli se serve).
In generale mi piace mi si dia del tu, piccoli, grandi, allievi, genitori...discenti o persone che condividono con me l'onere dell'educazione di questi, non concepisco la distanza in queste cose.
Se si ha rispetto lo si ha e basta, si vede, si tocca. Col tu o con il lei se qualcuno mi manca di rispetto mi "impazzo" (come dico ai miei piccolini, che poi quando crescono capiscono).
Nella mia storia buddhista la cosa è più articolata, ma presto mi sono adattato ad un criterio che penso sia valido: ti chiamo come ti pare.
Nomi di Dharma (che a volte si affastellano nel tempo) poi messi prima, dopo, in mezzo? Maestri o maestri, Reverendi o Venerabili…un impiccio che spesso mette in crisi pure gli stessi interessati, nel desiderio di farsi definire, ma più spesso di definirsi. Giuro che ce la metto tutta, pure se il maestro Taino, che tanto mi ha insegnato, deprecava le collezioni di Kaimyo (戒名) e pure se la regola del Monastero prevedeva l’uso del lei e il trattamento di Maestro, non l’ho mai sentito scandalizzarsi quando qualcuno dei più anziani lo chiamava Giggi e gli dava del tu, bisogna tenere anche conto delle storie personali.
Dal canto mio, ho sempre gradito il tu e, per le frequentazioni di Dharma, il mio nome dei Precetti; diceva (anzi più o meno scriveva) sempre Taino: “Non capisco che fatica faccia la gente ad usare il nome che rappresenta il percorso di ricerca che ho intrapreso”. Vagli a dar torto.
Invece se qualcuno mi chiama maestro non mi scandalizzo certo, ma la sento quasi una violazione dell’intimità, mi piacerebbe restasse qualcosa per relazioni speciali, faccio pure fatica a spiegarlo.
A volte qualcuno che non conosco mi scrive e mi da impunemente del maestro, insomma se non è sincero ci metto poco a smascherarlo.
Tutto questo comunque al netto dei grandi fraintendimenti di cui ho scritto e scriverò ancora, la confusione che si fa fra titoli e trattamenti, l’imbarazzante moda di autodefinirsi e tanto altro.
Ma il rispetto quello no, quello sento sia necessario darlo e anche pretenderlo…io altrimenti mi impazzo!
Vi ringrazio per tutti i begli interventi al mio precedente post.
Ne è nata un'altra riflessione.
Quando ho iniziato a praticare e studiare il Dharma, oramai una trentina di anni fa, di tanto in tanto venivo a conoscenza di taluni buddhisti pentiti, ex praticanti scoppiati, spesso screditati e comunque lontani dal mondo della pratica.
Oggi, la mia esperienza personale mi fa considerare che le cose sono in un certo senso assai cambiate.
Certo esiste sempre quel gioco di discredito dei fuoriusciti dalle comunità, di chi s'è ribellato a dinamiche, pure funzionali ma magari in qualche misura opprimenti.
Tuttavia esiste una diffusa consapevolezza, di buddhisti (o buddhisti che non si dicono buddhisti, cosa che trovo sempre divertente ma lecita) che oserei definire: scollati; non lontani, non ex, con una propria visione d'insieme, inclusiva, a volte un po' arrabbiata ma che non necessariamente hanno abiurato a tutta la loro esperienza come invece capitava nel passato. Oserei dire con una visione matura.
Ecco, per questo io, ma anche altri abbiamo cercato di esprimere nei commenti al post precedente (dei quali consiglio la lettura) che non si tratta di "smettere" ma di trasformarsi, di sviluppare un modo diverso, originale, nuovo che poggi certo sulle solide basi del Dharma.
Si tratta di una cosa un po' intima...i miei amici lo sanno come la penso, ma di tanto in tanto qualcuno mi interroga su questa cosa o semplifica dicendo: Daishin non fa più nulla!
Si vero, a parte la mia personale pratica, e qualche sporadica attività condivisa, non tengo più un gruppo, un Sangha, un centro. Qualche buon amico si. Di questo ne ho parlato, non mi va più di mettere in piedi cose che poi devono reggersi con la pubblicità…o peggio la coercizione.
Poi -e ne parlo perché possa essere utile come spunto a chi me ne chiede conto- non faccio più quella che si può chiamare "militanza religiosa".
Mi piace pensarmi come uno degli ultimi zenisti cialtroni di prima generazione, quando tutto era indefinito, ci si aggrappava a fuggevoli esperienze, fotocopie di libri, si praticava nelle botteghe.
Intendiamoci, non che non sia giunto al bivio del "fare le cose per bene", ma a quel punto ho scelto un'altra strada. Tutto qui.
Allora mi accorsi che per giocare a questo gioco di ruolo del prete, del maestro Zen, era necessario scendere a compromessi, fare tanti sorrisi, essere sempre presente.
Inoltre era necessaria una certa qualità di "impeccabilità" che proprio non m'appartiene.
Bisognava, in un certo qual senso, adeguarsi ad un archetipo. Ripetere i luoghi comuni del Buddhismo, quattro cose banali in croce che possono dire tutti, scimmiottare il proprio maestro per darsi un bel marchio di fabbrica, meglio se sottolineato in ogni presentazione, quasi come se senza di quello non si avesse identità, dignità nello Zen.
Poi...e non me ne voglia chi si adegua, bisogna presenziare.
Si, presenziare a tutto: convegni, tavole rotonde, consessi; bisogna essere invitati e se non lo si è cercare il modo di esserlo. Visitare carceri, ospedali e far sapere che lo si fa; bisogna scrivere, tanto, meglio se libri, ma va bene pure una discreta presenza social, interventi, post aulici.
Una volta uno studente mi chiese se mi aggiornavo (!), come se l’esperienza, l’intuizione e la conoscenza necessitassero di aggiornamento.
Ecco, io a questo Zen alla perenne ricerca di una validazione istituzionale, ecclesiale, ufficiale, non ci credo più; su questa necessità di darsi da fare, farsi vedere, farsi leggere sono stato spesso perplesso; allo Zen che ricalca parole, gesti, progetti dei maestri non ho mai creduto.
Intendiamoci, chi fa altro, se sta bene, ha il mio plauso, la mia ammirazione. Ma io sto bene così, mi basta quello che faccio, conosco, ciò di cui ho fatto esperienza. Potevo fare di più? Potevo fare altro? Certo!
Che poi una di quelle cose, che come un mantra ha influenzato una prospettiva contorta e a mio avviso un po’ nichilista della pratica è quella visione esasperata dello Shikantaza, che appena conosciuto si fissa come una ideologia prima di -e a volte senza mai- dive**re esperienza profonda: non si pratica per stare bene…si pratica senza obiettivi. Sarà…
Ma veramente qualcuno ritiene si possa trasmettere la Dottrina senza opinioni personali, senza che essa possa essere influenzata dalle tendenze, da cause e condizioni?
Dai...lo si dice, ma sarebbe bene precisare che è un intento, un voto, non necessariamente la realtà.
Un anno!
https://it.everybodywiki.com/Carlo_Vittorio_Hakuun_Penzo
Carlo Vittorio Hakuun Penzo - EverybodyWiki Bios & Wiki La famiglia era di origine Veneta, il padre aveva viaggiato molto per lavoro, giungendo infine allo stabilimento Ittiogenico a fianco della Stazione Tiburtina a Roma, nei cui pressi, all’interno di un alloggio popolare, egli nacque.
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Our story
Questa pagina, aperta a suo tempo da Daishin, è gestita dai suoi studenti. I contenuti sono presi dal suo profilo facebook o estratti dagli insegnamenti offerti.
La pagina ha anche lo scopo di fornire informazioni sulle attività sul Sangha Hui Neng, la piccola comunità che si riunisce intorno a lui.
In caso di necessità potete contattare direttamente Daishin al suo numero 3388658246, è sempre disponibile per rispondere a tutti. Qui di seguito potete leggere una breve biografia che lui stesso ha messo a disposizione:
Sono un religioso buddhista di tradizione Zen, a volte dico prete, ma solo chi mi conosce bene capisce cosa intendo.
MI sono avvicinato al Dharma del Buddha a 25 anni, nel 1995.
Intuita una profonda sintonia con gli insegnamenti inerenti all’impermanenza (sanscrito: anitya; cinese: wúcháng無常; giapponese: mujō 無常) ho iniziato a visitare e frequentare centri di diverse tradizioni.
All’epoca, altra profonda ispirazione fu per me l’ideale Mahāyāna del Bodhisattva (cinese: púsà 菩薩; giapponese: bosatsu 菩薩; coreano: bosal 보살) e mi risolsi quindi di frequentare un gruppo di meditazione Chán (cinese 禅) che successivamente scoprii essere legato al Ven. Tae Hye, monaco finlandese di tradizione Seon coreana con il quale studiai un paio d’anni.
Nel 1998 inizia a frequentare il Bukkosan Zenshinji di Orvieto (TN), monastero Zen Rinzai (giapponese: 臨済宗) nel quale ricevetti l’ordinazione religiosa l’8 aprile del 2001 dal maestro Engaku Taino. Continuai poi con il gli studi con il maestro Hakuun Penzo, allievo prossimo di Taino.
Fin dall'inizio attivo nel dialogo fra le diverse componenti del mondo del Dharma, sono stato promotore tra l’altro, della “Rete Buddhista dell'Italia Centro-Meridionale” e ho svolto diversi incarichi in seno all’ Unione Buddista Italiana di cui sono stato vice-presidente.
Con piacere ho presentato la tradizione buddhista ai ragazzi delle scuole medie e superiori capitoline nell’ambito del “Tavolo inter-religioso” promosso dalla Provincia di Roma.
Dal 2012 sono membro dell’American Zen Teacher Association.
Dal 1998 insegno a Roma e sono la guida e il promotore delle iniziative del Sangha Hui-Neng, comunità attraverso la quale ho promosso progetti sociali e educativi nel territorio.
Non mi piace essere etichettato come Zen Rinzai, questa identità mi pesa per diversi motivi personali ma la rispetto come si rispettano i genitori coi quali non ci si è mai capiti. È una cosa, per così dire, intima.
Sono soprattutto un buddhista zen non-settario, con una profonda sensibilità verso l’articolata complessità del pensiero buddhista e un’attenzione particolare rivolta a quanto prodotto dal sesto Patriarca Huì Néng (慧能, coreano: Hyeneung; giapponese: Enō. Xinzhou, 638 - Shaoguan, 713) e dai suoi successori.
Avendola studiata e sperimentata, passivamente e (ahimè!) attivamente, rifiuto nel buddhismo ogni forma deteriore di autoritarismo o di precostituita superiorità elitaria. Pur tuttavia la tradizione buddhista, nella maggior parte delle proprie declinazioni, conferisce un ruolo importante alle figure magistrali e al Sangha monastico, la scelta di seguire questa via è individuale e andrebbe fatta con responsabilità e viva attenzione.
Essendo stato, come detto, attivo nel dialogo inter-buddhista, non apprezzo le organizzazioni istituzionali, plaudo invece a tutte quelle situazioni di condivisione, siano esse formali o informali fra praticanti di Dharma e anche fra centri di pratica.
Non faccio il prete di professione, sono insegnante di Judo, sposato e padre di una ragazza e di un ragazzo; a parte me (finora) non ci sono altri buddhisti in casa.
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Sono Antonella Bartoli ho iniziato a praticare yoga più di 15 anni fa e da 3 anni insegno Vinyasa e