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18/09/2024

Il 28 settembre, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2024, l’Archivio di Stato di Trapani proporrà un affascinante viaggio alla scoperta della città e della sua evoluzione urbanistica.
Attraverso mappe e documenti storici saranno raccontate le tappe di uno sviluppo lento e inesorabile che ha visto la sua genesi dalle vie di comunicazione di terra e di mare che per secoli sono state spettatrici di relazioni tra le genti, di scambi e circolazione di saperi, di cui Trapani e la sua particolare configurazione urbanistica sono ancora oggi testimoni.

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Quest'anno l'Archivio di Stato di Trapani celebra le Giornate Europee della Cultura Ebraica raccontando il ruolo dei genitori nell'avviamento professionale dei giovani della comunità ebraica trapanese del XV secolo.

“Educa il giovane secondo la sua strada, anche quando invecchierà non si allontanerà da essa” (Proverbi 22,6).

Secondo l’antica tradizione ebraica alla formazione di ogni singolo uomo collaborano Dio, il padre e la madre, ai quali è affidato un ruolo fondamentale per la crescita della comunità: l’istruzione dei figli. Anticamente infatti alla madre era destinata la formazione delle figlie, il padre invece educava i figli maschi avviandoli ad una professione e guidandoli fino alla loro realizzazione personale, compiti che ricadevano sulla moglie in caso di morte prematura e in assenza di eredi maschi di maggiore età. Sebbene richiesto dalle antiche scritture non sempre era possibile valorizzare il talento dei propri figli o tramandare il proprio mestiere e quindi i giovani venivano avviati a tutte le professioni utili alla comunità, come la sartoria e l’arte calzaturiera (Fig. 1). A Trapani, la cui economia si basava sulle professioni del mare e sull’artigianato del corallo, appannaggio della comunità ebraica cittadina, nel XV secolo era consuetudine stipulare dinanzi a notai pubblici contratti di apprendistato con cui il padre, o in mancanza di esso la madre, noleggiava ai titolari di botteghe artigiane "opere e servizi" dei propri figli minori, che a volte potevano esulare dalle mansioni quotidiane del giovane apprendista in bottega ed essere estese alle necessità della famiglia del maestro artigiano come l’accudimento e l’allattamento di neonati (Fig. 2). I genitori seguivano con grande attenzione il periodo di formazione dei figli, controllando costantemente che gli accordi contrattati e stipulati fossero regolarmente rispettati nell’interesse del praticante, procedendo in caso contrario in sede giudiziaria. Non era raro infatti che i titolari delle botteghe approfittando dell’uso nei contratti di formule generiche contravvenissero a quanto concordato facendo fare ai propri garzoni altri lavori o condividendoli con altre botteghe di minore qualità (Fig. 3). La supervisione del padre terminava solo quando il figlio raggiungeva piena maturità professionale, aiutandolo ad avviarsi professionalmente attraverso fideiussioni e garanzie (Fig.4).

01/05/2023

DIRITTO ALLA SICUREZZA SUL LAVORO. IERI COME OGGI. È il tema sul quale l’Archivio di Stato, in occasione della festa dei lavoratori, invita a riflettere attraverso il racconto di una morte bianca avvenuta nel lontano 1913. Un decesso causato da mancata applicazione di norme sulla sicurezza, accadimento ancora oggi purtroppo tragicamente attuale.

“Tutti sapevano che il terriccio che si trovava in quella contrada era franoso, ma poiché non era mai avvenuta alcuna disgrazia nessuno si era mai curato di porre gli opportuni ripari”.

Nella tarda mattinata del 31 gennaio 1913 in una zona di estrazione del gesso a 4 km dall’abitato di Mazara, Vincenzo, lavoratore ventisettenne, morì sepolto da 150 metri cubi di terreno franato mentre lavorava dentro la cava che il padre, commerciante di gesso, gestiva da più di 30 anni, lasciando la moglie di 24 anni. Secondo i testimoni il cantiere, così come tutti quelli della zona, era molto pericoloso; in più punti infatti il terreno sabbioso minacciava di franare e l’esplosione delle mine usate per l’estrazione delle pietre aveva peggiorato la situazione.
Nonostante il padre avesse sospeso gli scavi da mesi, il giovane aveva continuato ad estrarre pietra di gesso da vendere in autonomia e, durante il suo lavoro, fu travolto da una porzione di terreno soprastante la trincea di scavo, chiusa da una parte da un costone verticale di circa 8 metri di terra di cacace e argilla e dall’altro da 6 metri di materiale di risulta. Ci vollero due ore di lavoro incessante prima che venisse riportato alla luce il suo corpo esanime.
La perizia tecnica richiesta dal giudice accertò l’estrema pericolosità di quella cava: il costone di terreno soprastante la massa rocciosa che aveva ceduto era stato scavato in modo errato. Essendo costituito da terreno estremamente franabile, avrebbe dovuto avere una “scarpata inclinata di 45°” e non verticale. Ma era prassi della zona non praticare lo scavo secondo le regole, perchè si trattava di un lavoro troppo dispendioso e faticoso, in quanto avrebbe assorbito “quel tanto di guadagno che dall’industria percepirebbero i lavoratori delle cave”. Il padre della vittima fu imputato per omicidio colposo a causa dell’inosservanza degli artt. 7 e 23 del Regio Decreto 18 giugno 1899 n. 231, recante il Regolamento generale relativo alla prevenzione degli infortuni nelle miniere e nelle cave. Avrebbe dovuto impedire, infatti, mediante chiusura, l'accesso al cantiere e far osservare le più rigorose misure di prudenza necessarie ogni qualvolta la roccia avesse presentato rischio di frana e specialmente in seguito ai colpi di mina, allo scopo di evitare repentini ed inaspettati distacchi che avrebbero potuto travolgere i cavatori causandone la morte.

Disegno della sezione della cava nella quale trovò la morte il giovane lavoratore Vincenzo.
AS-TP. Tribunale di Trapani. Processi, anno 1913.

Potete trovare questo ed altri contributi presso la sezione "Frammenti d'archivio" del nostro sito web http://www.archiviodistatotrapani.beniculturali.it/index.php?it/258/frammenti-darchivio.

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