Psicologa e Psico-oncologa dott.ssa Rossella Memoli
Nata a Salerno, vivo e lavoro a Roma. Psicologa clinica Psico-oncologa. Ricevo su appuntamento
Anche oggi ho imparato qualcosa in più!
Qualche giorno fa, sono “incappata” in un articolo sul quotidiano “la Repubblica” che, su due piedi, non ho subito inquadrato perché ne conoscevo le caratteristiche rispetto ad altri ambiti, manipolazione all’interno di sette o di particolari comunità/organizzazioni, poi, leggendolo, ne ho compreso il senso e ho ritenuto opportuno “condividerlo” e, magari, dare qualche spunto di riflessione a chi potrebbe, per qualche verso, riconoscersi.
Un “bombardamento” continuo di regali, complimenti, attenzioni e gesti plateali. O dichiarazioni eccessive quando ci si frequenta da pochissimo, come “ti amo” e “sei la donna che aspettavo da una vita”. Troppo bello per essere vero. Perché questo comportamento non corrisponde a un reale sentimento d’amore e può creare una pericolosa dipendenza. (La Repubblica)
Questo comportamento è attuato da personalità di tipo narcisistiche alfine di ottenere dalla propria “vittima” la cieca fiducia e l’assoluto controllo, anche attraverso il progressivo isolamento sociale, sfruttandone la fragilità e il bisogno d'amore.
Possiamo essere “tutti” vittime di questo comportamento, perché chi di noi non ha fragilità o insicurezze, il love bomber, invece, può essere un uomo oppure una donna o, come dicevo, un gruppo che investe la vittima o le vittime di eccessive e incongrue attenzioni.
Questi comportamenti, quasi certamente, porteranno ad una relazione “tossica” e disfunzionale che inducono nella vittima sensi di colpa nel caso in cui quest’ultima non accolga di buon grado queste “attenzioni”.
Sia chiaro, ben vengano il corteggiamento, le frasi e i comportamenti gentili ma se risultano fuori luogo o fuori tempo potrebbe essere “love bombing”
Facciamo attenzione, tutti!
Quando si avvicinano gli esami…
Giugno, finiscono le scuole ma per molti cominciano le prove d’esame.
Alcuni ci si approcciano in modo spavaldo e indomita, altri con maggiori timori.
Vediamo perché!
Intanto, l’ansia da esame è annoverata nella tipologia di “ansia da prestazione”, cioè, una tipologia di ansia coerente e funzionale alla prova che stiamo per affrontare, ma che non né influenza la performance; è una sorta di “meccanismo di difesa” che ci prepara alla prova caricandoci di energia.
Se, invece, le manifestazioni di ansia aumentano di intensità, frequenza e durata e incidono sulla performance significa che si sta manifestando un disagio.
I soggetti più colpiti da questa forma di ansia sono, di solito, bambini/ragazzi che hanno sviluppato una bassa autostima oppure “sentono” di dover rispondere a delle richieste sempre più performanti e non contemplano, in modo sereno, la possibilità di sbagliare o di fallire.
Quali sono i segnali tipici?
• Sudorazione;
• macchie rosse, di solito, sul collo, sul viso o sulle braccia;
• necessità di andare in bagno;
• leggera balbuzie o piccoli tic;
• incapacità di stare fermi;
• a volte mancanza di appetito o onicofagia;
• vomito o conati.
Cosa fare?
• Chiarire al ragazzo/a che si studia per apprendere e conoscere nuove cose e non per il voto o per le aspettative di mamma e papà;
• Non fare confronti né in famiglia né fuori, ma evidenziare la straordinarietà e le capacità diverse di ognuno;
• Imparare ad accettare anche la sconfitta e il fallimento, nonostante ci sia stato l’impegno;
• Imparare a studiare in gruppo;
• Non sminuire le paure/preoccupazioni dei ragazzi ma affrontarle insieme cercando delle soluzioni;
• Sottolineare i successi;
In bocca al lupo ragazzi!!
Il primo distacco, mamma rientra al lavoro!
Intanto c’è da dire che ci sono donne desiderose di recuperare i propri spazi non legati all’accudimento del bambino, altre, invece, vorrebbero poter prolungare il periodo di accudimento esclusivo e di assenza dal lavoro per un tempo molto lungo, ma tutte, primo o poi, dobbiamo fare i conti con questo momento!
Il sentimento che prevale è il senso di colpa, percepito come un “abbandonare“ il proprio bambino, dunque, bisogna imparare, innanzitutto, a gestire l’ansia e la paura della separazione.
Ma in che modo?
• Laddove non siano i nonni o altre persone della famiglia incaricate dell’accudimento bisogna valutare le opzioni più ottimali visitando più strutture e parlando con le figure preposte all’accudimento per capirne gli approcci e i metodi e chiedere, qualora dovesse mancare, sostegno al partner, perché deve essere una scelta e una responsabilità condivisa. Mamme e papà sereni trasmettono più serenità al bambino che dovrà imparare ad adattarsi in un ambiente nuovo, con persone sconosciute e acquisire altre abitudini.
• Allontanarsi per poco tempo al giorno e aumentare via via il tempo trascorso fuori casa.
• Imparare a delegare con serenità e fiducia perché i bambini comprendono quando questo viene fatto con ritrosia o quando questo instauri nella mamma sentimenti depressivi.
• Creare un rituale legato al distacco e poi al rientro, sarebbe opportuno non collegare questo rituale al cibo.
Come costruire un sano modello di attaccamento?
• Costruendo e consolidando delle abitudini e una routine che diano sicurezza al bambino anche rispetto al fatto che la mamma, il papà o altre figure principali di accudimento, si allontanino per poi tornare;
• Far sentire al bambino che è compreso nell’espressione delle sue emozioni e bisogni e che non viene giudicato ma guidato qualora queste non fossero adeguate;
• Far sentire al bambino che comunque egli è accolto e mai respinto, che l’amore è incondizionato e non è merce di scambio o di ricatto e che si manifesta dichiarandolo con le parole e i comportamenti;
• Che si deve essere, quando occorre, autorevoli ma mai autoritari;
La ripresa al lavoro della mamma è un gioco di squadra, in primis i genitori, ma anche i nonni, gli zii, gli amici, le baby-sitter o gli asili nido, e si vince se tutti i giocatori hanno ben chiara la meta e, soprattutto, hanno la capacità di interscambiarsi nei ruoli senza pregiudizi, dandosi il reciproco e necessario aiuto.
La squadra vince se sa delegare, la squadra vince se è capace di riorganizzarsi sperimentando nuovi adattamenti.
Auguri a tutte le mamme, di figli già nati, di figli che arriveranno o non arriveranno mai, di figli arrivati ma prematuramente persi...
Auguri a tutte le mamme che hanno partorito figli che con amore cresceranno altre mamme...
Auguri 💐
Genitori… un momento che arriva da lontano!
Genitori, un termine ampio che racchiude tantissimi modi di esserlo e tantissime forme di famiglie, oggi racconto il viaggio di una mamma e di un papà di una famiglia intesa come “tradizionale”.
Un bambino non nasce nel momento del parto, ma molto tempo prima, a volte nasce in una fantasia adolescenziale oppure quando si consolida un amore e nasce quando la futura mamma e il futuro papà apprendono la notizia del concepimento.
Questo perché un bambino nasce innanzitutto nella mente e nel cuore dei suoi futuri genitori.
Genitori lo si diventa piano piano, per prove ed errori tra successi e insuccessi, in un processo che si chiama “transazione alla genitorialità”.
I pensieri della futura mamma e del futuro papà sono imperniati di elementi che giungono dal passato, che si vivono nel presente e si proiettano nel futuro e da fantasie; le fantasie rappresentano la via preferenziale per iniziare a conoscere il proprio bambino e cominciare a costruire un primo, fondamentale rapporto con lui/lei.
Alcuni prendono le distanze da quegli atteggiamenti genitoriali che hanno creato disagi nella propria crescita (la famosa frase “questo con mio figlio non lo farò mai!) altri tentano di riprodurre i propri modelli di attaccamento e di riferimento perché ritenuti sani.
I 9 mesi di gestazione sono caratterizzati da 3 fasi:
1. Il primo trimestre è caratterizzato dall’incredulità e lenta accettazione circa quello che sta accadendo. Un primo momento importante di consapevolezza è rappresentato dalla prima ecografia, il battito di quel piccolo cuoricino sembra dire che è "tutto vero” e dall’incredulità si passa alla realtà.
2. Il secondo trimestre è caratterizzato dai primi segnali che il bambino comincia a dare e dai cambiamenti fisici del corpo della mamma
3. Nell’ultimo trimestre, la futura mamma intensifica il rapporto con il bambino che nascerà e l’attenzione e le paure si concentrano sul momento del parto (tocofobia). I futuri genitori sono impegnati a preparare il nido che accoglierà il bambino e la nascita della famiglia.
Il futuro papà vive l’intero periodo di gestazione e della nascita in modo diverso rispetto alla futura mamma, il futuro papà è un papà che è molto cresciuto emotivamente negli ultimi 20-30 anni, quando la gravidanza era una “cosa da donna”; alcuni uomini mostrano delle difficoltà rispetto alle nuove responsabilità perché a differenza delle donne, non hanno ancora un ruolo ben definito ma è un ruolo che si sta creando e definendo negli ultimi due/tre decenni.
Anche l’uomo quindi, va incontro ad una serie di cambiamenti e talvolta difficoltà con la paternità ed anche il futuro papà, può aver bisogno di essere sostenuto in questo momento di ridefinizione di sé, con tutte le paure che lo accompagnano: paura del cambiamento, della responsabilità, “gelosie” nei confronti della compagna o del bambino.
Mentre l’attesa, spesso, rinforza l’intesa della coppia, la nascita, spesso, l’allenta.
Una buona strategia è dedicare il periodo dell’attesa a rinsaldare il legame di coppia e condividere le reciproche aspettative sulla nascita del bambino. Questa attenzione alla coppia va prestata anche dopo la nascita. Il post-partum è un periodo difficile, soprattutto per la mamma, subentrano malinconia e tristezza, per ragioni sia psicologiche che biologiche e talvolta la preoccupazione di non sapere esattamente come agire nei confronti di quest’esserino determina una sorta di paralisi ad agire che incrementa il sentimento di inadeguatezza.
Sono tanti gli autori che concordano sul fatto che le donne che non hanno una adeguata rete di supporto e si ritengono insoddisfatte del sostegno che hanno ricevuto in gravidanza sono maggiormente a rischio di sviluppare una sintomatologia depressiva, sia durante la gravidanza che 6/8 settimane dopo il parto.
In questo momento la coppia non deve chiudersi, i genitori devono accettare di poter lasciare il bambino con un familiare, un amico o una baby-sitter, i neo genitori devono sentirsi legittimati a chiedere e ricevere l’aiuto necessario.
Sostegno psico-oncologico… perché?
• Perché tutti i pazienti reagiscono con incredulità e shock alla comunicazione della diagnosi;
• Perché il paziente assiste ad una trasformazione del proprio corpo dovuta sia agli interventi invasivi e spesso demolitivi sia alle terapie;
• Perché la malattia trasforma i ruoli familiari e cambia i rapporti interpersonali;
• Perché il sostegno psicologico può favorire lo sviluppo di modelli più adattivi e funzionali;
• Perché se non si riesce a raccontarlo allo psicologo non si riesce a raccontarlo a nessuno, a volte neanche a sé stessi!
Psicologa e Psico-oncologa dott.ssa Rossella Memoli
Dedico questo articolo a coloro che sostengono che in Italia è possibile fare ricerca e che i giovani ricercatori non dovrebbero cercare futuro all'estero!
Niente fondi in manovra per il centro di ricerca Ebri creato da Rita Levi Montalcini: "Dovremo chiudere. Istituzioni sorde" - Il Fatto Quotidiano Il primo allarme era suonato già a metà dicembre, dopo la bocciatura di un emendamento della senatrice del Pd Beatrice Lorenzin che avrebbe garantito uno stanziamento di 1 milione di euro. Ora, a manovra approvata, la decisione è definitiva. Per la prima volta da un decennio non ci sono fondi per...
… per molti, ma non per tutti!
Christmas blues o Sindrome del Natale, definisce un insieme di emozioni come malinconia, ansia, tristezza e/o irritabilità che precedono il periodo natalizio.
Perché accade ciò?
Perché il Natale significa famiglia, buoni sentimenti e condivisione… ma è sempre e per tutti così!?
Perché la “depressione natalizia” spesso coincide con la ben più nota depressione stagionale, definita anche
Perché al Natale segue il Capodanno, momento di bilanci, di aspettative e a volte, di resa.
Perché a volte occorre fare i conti con una perdita, un lutto.
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E se l’amore nasce sui ?.... come?
L’avvento dei social e della globalizzazione hanno portato a modificare le relazioni umane.
Da un lato, hanno reso possibile incontrare persone e mondi lontani geograficamente e socialmente ed hanno evidenziato nuove modalità per entrare in contatto con l’altro, dall’altro hanno velocizzato e anonimizzato tutta una serie di momenti che hanno bisogno di essere “gustati” attraverso, anche, l’esposizione e la gestione di piccole frustrazioni, figlie della lentezza, delle aspettative, delle attese e, inoltre, hanno creato delle sicurezze che spesso sono tali solo grazie ad uno schermo ed una tastiera.
Tutto comincia andando a sbirciare gli amici degli amici, trovare in una foto, un video, un commento uno o più elementi che catturano l’attenzione, di solito relativi all’aspetto fisico, mettere un primo like e cominciare a “seguire” la persona che abbiamo individuato nella speranza che lui/lei faccia lo stesso.
Se ciò avviene, si entra in una maggiore intimità attraverso lo spazio privato e, solo successivamente e se ci sono ancora aspettative non soddisfatte, si programma un incontro dal vivo.
Da lì la storia che dovrebbe essere vissuta come intima e privata è esposta al pubblico, perché in questo modo si dà forza e legittimità al sentimento.
Esposizione al pubblico significa anche esposizione ai giudizi, alle critiche e, a volte, ai pericoli. Questi aspetti, insieme alla pressione sociale per apparire perfetti fanno insorgere o incrementano, soprattutto nei ragazzi, un senso di inadeguatezza personale e nella gestione delle relazioni, stati paranoici e disturbi d’ansia.
Ma grazie ai social accade anche che due persone si incontrino, si piacciano e si amino in maniera reale e autentico e quello che attraverso i social mostrano, sono degli “scatti fotografici” della loro felicità!
Psicologa e Psico-oncologa dott.ssa Rossella Memoli
Quando nasce un ❤️ …
Un amore, un’infatuazione, un interessamento spesso nascono inaspettatamente e, a volte, sono l’evoluzione di un’amicizia.
R. Sternberg ha definito l’amore come il risultato di tre elementi: intimità, passione, decisione/impegno.
Inaspettatamente incontriamo qualcuno, ci piace il suo viso, ci colpisce il suo sguardo, ci attira il suo modo di parlare, ci incuriosiscono le cose di cui parla. Focalizziamo l’attenzione su lui/lei e si resta in attesa di un segnale di reciprocità e, quando questo arriva, il cuore batte più velocemente, il tono della voce si modifica, la postura cambia, si sentono le farfalle nello stomaco… ma perché?!
La risposta è semplice, si stanno attivando in alcune aree specifiche del cervello una serie di processi neurobiologici correlati alla modulazione di alcuni ormoni e/o neurotrasmettitori, dopamina, serotonina, ossitocina, vasopressina che oltre a modificare gli aspetti sopradescritti, modificano il giudizio critico, la percezione di emozioni negative, il senso di fame, il sonno e ancora altro!
La , nota come neurotrasmettitore del piacere, è associato al desiderio, al bisogno di ricompensa e agli stati euforici ,svolge un ruolo importante nello sviluppo e mantenimento delle dipendenze e delle sindromi compulsive, come il gioco o lo shopping;
La , è un neurotrasmettitore definito “ormone della felicità” perché contribuisce alle sensazioni di serenità e benessere, aiutando ad allontanare ansia e tensioni; bassi livelli di serotonina sono associati ad ansia, depressione e malessere;
L’ , ormone dell’amore, è l’ormone deputato al travaglio, al parto e successivamente durante l’allattamento, favorisce lo sviluppo del rapporto madre-figlio; più recentemente, è stato indicato ormone chiave nello sviluppo e mantenimento delle interazioni sociali e delle relazioni sentimentali;
La , “l’ormone dell’orgasmo”, responsabile della gelosia e della fedeltà nei confronti del partner.
La combinazione di questi ormoni/neurotrasmettitori ci rende “ ”, ossia, ciechi dinnanzi ai possibili difetti dell’altrǝ, desiderosi di mostrare i nostri aspetti più positivi al partner, desiderosi di trascorrere la maggior parte del tempo con lui/lei e ci rende tristi e ansiosi quando questo non avviene.
Ma è solo questione di chimica?
Ognuno di noi cerca nel partner caratteristiche che risultino “familiari”, oppure partner che rispondano ad uno stereotipo personale o sociale, per cercare “inconsciamente” di minimizzare i rischi di un fallimento.
E se ci si innamora di un amicǝ?
L’amicizia è già un sentimento d’amore, coltivato nel tempo, basato su un profondo affetto, stima e fiducia reciproca a cui mancano alcuni aspetti:
• sensuale, sessuale, erotico, perché l’amico/a è un “essere asessuato”;
• esclusività, anche se quest’ultimo non è un fattore vincolante;
• progettualità condivise.
L’aggiunta dei suddetti aspetti e una maggiore attenzione in “sua” presenza al modo di vestirsi e porsi, un imbarazzo inconsueto e un desiderio crescente di stare in compagnia dell’”amica” sono indicatori del fatto che una relazione di amicizia è diventata un legame d’amore!
Psicologa e Psico-oncologa dott.ssa Rossella Memoli
-emotiva, non è una cosa di bambini!
Con questo termine si indica l’incapacità di un adulto di comprendere e gestire le proprie .
Si ha una dimostrazione di questa incapacità quando le reazioni ad uno stimolo “aversivo” sono incongrue per intensità, frequenza e tempistica.
Le caratteristiche di personalità che più evidenziano questa tipologia di disagio sono:
• ’egocentrismo;
• l’impazienza per un evento procrastinato nel tempo;
• -affettiva;
• incapacità di assumersi la responsabilità dei propri errori attribuendo la “colpa” agli altri servendosi anche di bugie;
• incapacità di introspezione.
Diventare emotivamente maturi non è particolarmente difficile, bisogna:
• acquisire la consapevolezza dei propri comportamenti;
• imparare a comprendere i comportamenti altrui;
• imparare ad e accettare i propri limiti, ridefinendo il concetto di libertà individuale
Psicologa e Psico-oncologa dott.ssa Rossella Memoli
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