Dott.ssa Lucia Porcedda - Psicologa

Quanti sono i pregiudizi che ci guidano nel quotidiano? Di quanti a volte, o spesso, non siamo nemmeno consapevoli? Quanto è facile cadere nel giudizio sterile e incasellato, perdendo l'occasione di incontrare l'altro o dandolo per scontato, nell'assurda convinzione di sapere già chi sia. Quante volte lo agiamo, quante volte ci sentiamo vittime del giudizio altrui, e quante volte senza accorgertene sei proprio tu la peggiore giuria a cui sottoponi te stesso.
Mi piace condividere questo corto perché nella sua semplicità e quasi ovvietà riesce bene nel suo messaggio, regalandoti qualche sorriso e qualche sorpresa...mi raccomando da guardare fino alla fine! 😉

https://youtu.be/jbFhATUfuow

French Roast French Roast: The oscar nomination for: The Best Short Film (Animated) 2010 Visit the creators' website: http://www.frenchroast.fr/

Solo quando impareremo ad accettare noi stessi, con il nostro bagaglio fatto di certezze e soprattutto di mancanze, riusciremo a stare in coppia. Troppo spesso si confonde il partner con "l'altra​ metà della mela", con l'illusione che l'altro saprà colmare i nostri vuoti. Troppo spesso l'incontro con la realtà ci fa scontrare con l'inevitabile delusione. Solo quando cominceremo a pensare a noi stessi come "una mela intera" allora l'incontro con l'altro potrà essere la strada per una relazione autentica.

Perché solo i single felici trovano il vero amore “Dopo una certa età la società ci spinge a pensare che essere single sia un problema grave”, dice Alain de Botton.

Ieri molte pagine, di psicologia ma non solo, ricordavano la giornata "della depressione". In realtà, ieri è stata la giornata mondiale della salute, e l'OMS ha deciso di dedicare questa giornata al disturbo depressivo. La depressione negli ultimi trent'anni ha avuto una diffusione in continua crescita, alcune stime indicano che 1 persona su 25 soffre di depressione, e il disturbo ha un'incidenza tale che si annovera tra i mali del nostro tempo.
Già, il nostro tempo...La depressione credo sia una delle condizioni che turba - più di altre - le regole non scritte della nostra società, del nostro tempo: bisogna essere attivi perché bisogna essere produttivi, bisogna essere felici, autonomi e rapidi. Allora la risposta a questa lentezza diventa un farmaco che, di nuovo, troppo spesso si sostituisce alla relazione di cura. Bisogna intervenire, e svelti, per riportare la persona a essere produttiva, il resto non conta.
La parola depressione oggi è inflazionata, la usiamo tutti per descrivere qualsiasi stato di possibile e diversa tristezza. Ma quando la malinconia diventa tristezza? Quando la tristezza diventa depressione? Qual è il passaggio "dal mal di vivere alla depressione" (per usare le parole di un eminente psichiatra)? Quando, in quali circostanze, per quanto tempo crediamo sia giusto concederci di essere tristi o forse depressi?
Attenzione, questo non vuol dire che la depressione non esiste, non vuole essere un manifesto contro la medicalizzazione e la cura farmacologica a priori. Queste righe vogliono solo far riflettere sulla necessità di indossare, a volte, un altro paio di occhiali dove le lenti non riflettano solo malattia, e la risposta non sia solo un farmaco.

Credo che a volte, per quanto faccia paura e sembri intollerabile in questa società e in questo tempo, la tristezza non solo sia "normale" ma sia anche necessaria...
Ma soprattutto, credo sia necessario ripartire da un educazione emotiva, dove tutte le emozioni trovino riconoscimento, accettazione, dignità e valore. Inclusa la tristezza. Solo passando per questa strada credo sia possibile avviare una conoscenza di sé e dell'altro autentica.
Solo attraverso questa conoscenza le emozioni, finanche la depressione, possono rientrare in una condizione comprensibile e non demonizzata facilitando la possibilità di informarsi su cosa sia realmente il disturbo depressivo.
Solo così possono esistere veri interventi preventivi che sostengono la persona a non temere o vergognarsi di chiedere aiuto, un aiuto che sia nel pieno riconoscimento della persona e della sua sofferenza che non può essere compresa e risolta solo attraverso un farmaco, anche quando questo è necessario.

La pazza gioia ha vinto il David di Donatello come miglior film.
In 120 minuti offre tante prospettive. Vale la pena vederlo, guardarlo. In questo film incontri due donne, due "pazze", due amiche, due persone. Incontri una madre e la sua fatica, la sua disperazione. Forse riesci anche a empatizzare con quella disperazione, permettendoti di andare oltre la dicotomica e inutile polarizzazione tra vittima e carnefice. Incontri una moglie, tradita, ferita. Con lei, forse, è più facile empatizzare. Ci sono storie familiari, padri e madri, amati e odiati, anche loro vittime e carnefici. Ci sono improbabili quanto fortunati incontri che permettono di credere in un cambiamento, nella possibilità di sorridere insieme, finalmente.
Ma c'è anche una fotografia del faticoso mondo degli operatori della salute mentale, nella contrapposizione tra chi crede nelle eredità di Franco Basaglia e lotta per quei principi e ideali, e chi vede solo categorie diagnostiche, una cura da somministrare, un letto in ospedale da occupare. Gli estremi sono sempre pericolosi, se è assolutamente vero che un farmaco non può (e non dovrebbe..) essere la soluzione, è anche vero che non può essere un nemico da combattere, da escludere a priori, ma a volte è necessario imparare a considerarlo alleato in un processo di cura, sostegno e supporto della persona, a volte un passaggio necessario per lasciarlo poi strada facendo, mai un sostituto della relazione, dell'impegno nella cura.
In questo film ci sono le persone..Con le loro fragilità, le loro risorse, le battaglie vinte e quelle p***e e le ferite che in entrambi i casi rimangono sulla pelle. Ci sono le lacrime e le risate. C'è la voglia di morire e la meravigliosa riscoperta voglia di vivere.
E tutto questo non è pazzia, è la vita.

Un po' di leggerezza...

❤

"Il diritto dei cittadini all’assistenza psicologica diviene norma dello Stato". Finalmente!

Sancito il diritto dei cittadini all’Assistenza Psicologica Con la pubblicazione del Decreto sui nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) in Gazzetta, il diritto dei cittadini all’assistenza psicologica diviene norma dello Stato.

http://www.ordinepsicologilazio.it/cittadini/rabbia-e-frustrazione/

Senso di ingiustizia... Aspettative... Delusioni...
In questo articolo si esplorano alcuni possibili aspetti e significati della frustrazione e della rabbia.
Più che per le risposte nette che spesso chiudono, sono per gli interrogativi che aprono. E allora, esiste una rabbia che non distrugge? La rabbia può essere l'estremo tentativo di cercare vicinanza proprio quello da cui si scappa? Quando la rabbia circola nelle relazioni familiari quali significati, antichi e profondi, può nascondere? È a volte più facile toccare la rabbia che la tristezza.

Riporto un passaggio dell'articolo che segue, che apre un'altra importante riflessione: abbandonare la posizione egocentrica, autocentrata, facilita la possibilità di osservarci e osservare l'altro aprendo la strada verso nuovi significati e introducendo movimento in una storia spesso piatta e ferma.

"Discostarci dalla prospettiva egocentrica e cercare di vedere le cose da una prospettiva più ampia, in cui includiamo anche le altre persone coinvolte, con i loro moventi e le loro prospettive, può essere di aiuto quando ci fissiamo su una sola lettura della realtà e quando ne calchiamo la dimensione di eccezionalità"

Rabbia e frustrazione. Sfogarsi non è la risposta migliore - Ordine Psicologi del Lazio il detto che, se si è arrabbiati, è meglio sfogarsi, è discutibile: può esasperare ancora di più il legame con l’oggetto della rabbia e della fristrazione

Il seminario, che si terrà a Roma all'Università Sapienza, affronterà il tema delle interazioni familiari, le dinamiche cogenitoriali e il coinvolgimento dei figli nei conflitti di coppia. I modelli di prevenzione e intervento presentati prevedono un lavoro con (e per) la famiglia al suo completo.
Il seminario è rivolto ai professionisti che lavorano nell'ambito della salute mentale.