Centro Di Psicologia Clinica Sassari -Dott. Cristiano Ceccarelli

CENTRO PER LA CURA DEI DISTURBI PSICOLOGICI Centro Clinico per la cura del disagio psicologico e dei disturbi psichiatrici.

Nel nostro centro ci occupiamo di tutte quelle situazioni di disagio psicologico che ciascuno di noi può attraversare nella propria vita. A volte il disagio può diventare così intenso da produrre dei veri e propri sintomi, tachicardia, insonnia, svogliatezza, apatia, paure immotivate. In questi casi l'aiuto specialistico diventa indispensabile, raramente questi disturbi si risolvono da soli, anzi

28/10/2023

📌 La Regione ha riaperto i termini per la presentazione delle domande per la concessione del sostegno economico “Indennità regionale fibromialgia”.

📆 Nuova scadenza: 31 ottobre 2023

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10/05/2023

Solitudine sociale e psicoterapia.

Questa titolo, volutamente provocatorio, è necessariao per capire il retroterra di una cura chiamata Psicoterapia, così complessa da rimanere misteriosa anche agli addetti ai lavori.
Penso dunque che qualunque sia il motivo che spinge una persona a chiedere una psicoterapia, (da un problema psicopatologico, a un conflitto familiare, da uno stress o un trauma ad una non accettazione di se stessi), dietro ci sia sempre un senso di solitudine, di ricerca intima di vicinanza affettiva, di bisogno di riconoscimento, che ogni essere umano dovrebbe trovare nel proprio ambiente.
Ma è evidente che ci troviamo di fronte a un particolare fenomeno: da una parte la sempre maggiore difficoltà a mettersi autenticamente in contatto con se stessi e con i propri simili, dall'altra una sorta di progressiva aridità delle interazione sociali, da intendersi come opportunità di incontro e condivisione per esplicitare reciproci stati soggettivi della mente.
Il pericolo, a mio avviso, diventa quello di accettare che i crescenti limiti della condivisione sociale possano trovare come unico rimedio elettivo una pratica sanitaria specifica, senz'altro utile ma comunque artificiale, come la psicoterapia, delegando alla stessa psicoterapia una funzione che dovrebbe essere parte integrante della nostra società, dove il riconoscimento, l’accettazione e l’ascolto dell'altro dovrebbero trovare più spazio: a casa, a scuola, al lavoro ed in ogni altro contesto dove l'appartenenza possa favorire una potenziale condivisione del proprio mondo emotivo.

07/04/2023

Buone feste di Pasqua a tutti.
Lo studio quest'anno, nonostante la stanchezza rimarrà aperto, eccezion fatta per Pasqua e Pasquetta, così come quello di molti altri miei colleghi credo, non siamo degli “stakanovisti” del lavoro ma è evidente che la psicoterapia nella società moderna dovrebbe ve**re incontro ai bisogni di cura di persone che soffrono di Disturbi emotivi comuni, i così detti “Dec” (che riguardano secondo l’Oms il 30% della popolazione), per i quali la psicoterapia appunto è considerata il rimedio d’elezione, a volte con e a volte senza una terapia farmacologia integrata. Ma evidentemente così non è, per cui niente vacanze.
Purtroppo la Psicoterapia, nonostante sia inserita tra i Livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea), ovvero delle cure che i cittadini dovrebbero ricevere per diritto dal Servizio Sanitario Nazionale, non riesce a trovare un'adeguata risposta presso i Centri di Salute Mentale, costretti a privilegiare i casi più “gravi” per l’esiguità degli organici, e questo è un dato oggettivo che prescinde da ulteriori considerazioni o riflessioni critiche che non sono di mia competenza.
La minore gravità dei Dec, rispetto ad esempio ai disturbi psicotici, è tuttavia opinabile sul piano del vissuto soggettivo, un attacco di panico,ad esempio, può essere percepito da chi lo prova con un senso di angoscia e sofferenza maggiore rispetto ad una crisi delirante o ad uno stato di eccitamento maniacale.
Ma ripeto questa è la realtà nel nostro Paese. E di questo vuoto assistenziale , di cui credo con moltà onestà, e nonostante svolga esclusivamente attività privata, sono il primo a dispiacermi, comporta che tali disturbi tendano a ricevere dal medico di base o dallo stesso Psichiatra del Servizio Pubblico, come unico trattamento preferenziale esclusivamente una terapia farmacologia, sicuramente utile, ma spesso insufficiente per trattare adeguatamente il loro problema, se non affiancata da un contemporaneo trattamento psicoterapico. Considerazioni non personali ma contenute negli stessi indicatori di efficacia che le Linee Guida Ministeriali suggeriscono per i Disturbi Emotivi Comuni , secondo le quali la linea di intervento più efficace e risolutiva per un Disturbo d'Ansia è al primo posto : 1) la psicoterapia ( a orientamento cognitivo-comportamentale), seguita solo al secondo posto dalla terapia farmacologica, definita di dubbia efficacia, in quanto da considerarsi non risolutiva rispetto ad una definitiva chiarificazione delle problematiche che tale sintomo hanno scatenato....è un po' come andare dall'elettrauto, perchè la batteria è scarica, farsela ricaricare, andare a ritirarla, pagare, senza che nessuno ti domandi perchè la batteria si è scaricata, perchè la macchina, pur con la batteria carica, la lascerai per altri 6 mesi chiusa in garage... forse ho paura di guidare la macchina, forse non c'è niente che mi stimoli ad uscire utilizzando la macchina, sì forse c'è qualcosa che potrebbe stimolarmi ma ne ho paura, oppure più “semplicemente” non ne ho voglia, del resto mi è sufficiente sapere che la macchina è in garage pronta all'utilizzo, poi se non la uso chisennefrega.... e potrei continuare all'infinito con le ipotesi... rimane il fatto che tra 6 mesi tornerò dall'elettrauto perchè la batteria si è scaricata di nuovo....evviva gli elettrauti !!!
Concludo scusandomi con i tanti pazienti che mi hanno chiesto aiuto in questo periodo di grande affanno e che mio malgrado non ho potuto seguire, con la consapevolezza, amara, che se le cose in futuro non cambieranno avremo sempre più pazienti che ricorreranno periodicamente all'elettrauto e sempre meno pazienti che (a batteria carica ) riprenderanno a utilizzare la macchina, senza più paure e con grande piacere.
Mi auguro di sbagliarmi, buone feste a tutti.
Cristiano Ceccarelli.

26/10/2022
15/06/2022

Psicoterapia perchè ….?

Si va in psicoterapia quando i livelli di frustrazione nella nostra vita diventano insostenibili.
Quando abbiamo perso intimità con noi stessi.
I sintomi come ansia, depressione, insonnia, ci avvertono di solito molto tempo prima ma rispetto a questi segnali di allarme cerchiamo almeno nelle fasi iniziali di normalizzarli...”è solo una fase passeggera, forse stress, sono convinto che tutto tutto passerà...”.
A volte è così, a volte no.
Si va in psicoterapia con l'idea che si tratti di una “cura” (nel senso medico del termine) per poi capire che in realtà ci siamo sbagliati. Prima delusione.
La psicoterapia è una opportunità, non una cura , per crescere, per chiarire gli aspetti irrisolti del nostro passato, per cercare di modificare il nostro rapporto con la vita o più banalmente per imparare ad accettarci per quello che siamo.
Il nostro terapeuta cercherà di interve**re in questa situazione di disagio, offrendoci nuove chiavi di lettura e aiutandoci a trovare un modo diverso per narrare la nostra storia...insomma ci aiuterà a cambiare il solito disco che da una vita ci siamo abituati ad ascoltare.... verrebbe da dire.. e che due p***e ma poi il rischio é che il post venga bannato o considerato poco scientifico… chissenefrega.
Seconda delusione.
La psicoterapia funziona sempre ( che presuntuoso ) , nel senso che aiuta comunque a migliore la nostra qualità di vita, in misura diversa da soggetto a soggetto, legata a innumerevoli variabili spesso non preventivabili: la relazione col terapeuta,dove tecnica, empatia e fiducia reciproca dovrebbero andare di pari passo, la nostra motivazione, le variabili esterne relative alla nostra vita.... etc etc
Insomma la psicoterapia fa sempre bene, e laddove in famiglia , con i nostri genitori, con i nostri insegnanti, col nostro partner non abbiamo avuto modo di essere accompagnati nel nostro “mondo interno” per poi poterlo condividere , diventa necessario farlo con il nostro terapeuta, in maniera più “artificiale”se vogliamo rispetto alle possibilità sopra elencate, ma va bene uguale ...l'importante è cambiare disco !!!!!

22/12/2021

Buone Feste a tutti, nonostante la persistente incertezza circa l’evolversi della situazione pandemica, accompagnata da un senso di impotenza legato alle limitazione delle proprie libertà che ormai viviamo da due anni.
Buone Feste a tutti, nonostante l' ansia e la preoccupazione generata dall'imprevedibilità della durata di questa condizione di emergenza.
Buone Feste a tutti, nonostante le informazioni e le immagini ricorrenti ed intrusive riguardanti il virus con valutazioni scientifiche, spesso ambivalenti e contraddittorie.

Buone Feste, in particolar modo, ai miei Colleghi Medici impegnati in prima linea a fronteggiare l'ignoto, che come scrisse Nietschze è la primaria fonte di angoscia per il genere umano.

Buone Feste a tutti.
A tutti coloro che in relazione a questi traumi , cercheranno durante le imminenti festività, di stare più vicini fra loro per far fronte ai comuni sentimenti depressivi , perchè un grosso peso se condiviso diventa più leggero.
E a tutti coloro che, invece, tenderanno ad allontanarsi e ad isolarsi , per poter attribuire la colpa di quanto sta accadendo al mondo esterno ( ai medici eroi- divenuti poi “capri espiatori”, alla comunità scientifica che tanto ha fatto ma forse meno di quanto ci aspettassimo, ai media governati dall'audience etc etc....), immaginando, così facendo, di potersi “magicamente” liberare di questo peso.
E anche in questo caso il peso sarà più leggero, ad ognuno il suo meccanismo difensivo ...così vanno le cose nella storia, che piaccia o no....
Per cui Buone Feste a Tutti, indistintamente....un forte abbraccio Cristiano Ceccarelli.

24/01/2020

Le radici genetiche dell’ansia
(American Journal of Psychiatry - 01/2020)

Il più ampio studio genetico sull’ansia sinora condotto, ha portato alla scoperta di 6 nuove varianti geniche associate a questo disturbo, il che potrebbe portare allo sviluppo di nuovi target terapeutici.I dati suggeriscono che sussiste una significativa sovrapposizione genetica fra ansia, depressione maggiore ed altri disturbi psichiatrici che spesso coesistono con l’ansia stessa. Questa comorbidità non conosce spiegazioni, ma sono stati osservati specifici fattori di rischio genetici comuni . Sarebbe stata riscontrato un difetto a carico del gene del recettore 1 per l’ormone per il rilascio della corticotropina, prodotta dall'ipofisi che è implicata nella modulazione della risposta allo stress ed una anomalia della variante genica che influenza i recettori per gli estrogeni, che potrebbe essere d'aiuto a spiegare come mai le donne abbiano maggiori probabilità di soffrire di ansia rispetto agli uomini.Queste nuove informazioni genetiche potrebbero in futuro essere in grado di aiutare nella diagnosi e di prevedere la prognosi e la risposta al trattamento dell’ansia.

10/01/2020

Ma cos'è la Depressione …. ?

Un recente studio pubblicato sul British Journal of Psichiatry ha messo in evidenza come la Depressione Maggiore sia sotto – diagnosticata.
In una ricerca condotta in Inghilterra, infatti, che coinvolgeva 400 studenti universitari, ben 38 di essi presentavano sintomi clinici compatibili con la diagnosi di Depressione Maggiore.
Ma cosa significa “depressione” ?
Per depressione si intende uno scadimento del tono dell’umore, persistente nel tempo, non desiderato e non riconosciuto come facente parte del proprio mondo emotivo da parte del soggetto.
La depressione non va confusa, quindi, con il “temperamento malinconico”, frequente in molti individui, che pur considerandolo come un aspetto caratteriale non piacevole, riescono comunque a considerarlo come parte integrante della propria identità.
Né, tanto meno, va confusa con le fisiologiche oscillazioni dell’umore che ciascuno di noi vive nella sua vita, in relazione a vari fattori che possono influire sulla percezione soggettiva del proprio benessere psicologico.
L’umore depresso deve rappresentare, in definitiva, un cambiamento rispetto ad un precedente stato di benessere, che deve manifestarsi per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno e per un periodo non inferiore alla tre settimane.
Deve essere, inoltre, presente una marcata diminuzione del piacere e dell’interesse per attività e/o relazioni, prima significative per il soggetto.
Nella Depressione Maggiore possono essere presenti una serie di sintomi collaterali come la perdita di peso, l'insonnia, il nervosismo, una ridotta capacità a concentrarsi e uno stato complessivo di ridotta energia perdurante nel tempo e non riconducibile ad altre cause organiche ( malfunzionamento della tiroide, carenza di ferro, intolleranze alimentari, patologie autoimmuni).
Qualora accertata una Depressione Maggiore è importante rivolgersi ad uno specialista per una Psicoterapia individuale, associata eventualmente ad una terapia farmacologica, trattamenti che oggi garantiscono una remissione completa del disturbo nella quasi totalità dei casi.

20/12/2019

PSICOFARMACO SI ….PSICOFARMACO NO.....

Per Psicofarmaci intendiamo quel gruppo di farmaci che agendo sui meccanismi e sulle strutture del Sistema Nervoso Centrale, producono effetti su alcuni sintomi psichici.
Sono, in altre parole, farmaci come tutti gli altri, ma in grado di arrivare al cervello, di agire sui recettori e sul metabolismo di alcuni neurotrasmettitori e quindi di modificare in senso positivo l'intensità e la frequenza di ansia, di modulare il tono dell'umore, di calmare uno stato di agitazione, di paura, di irritabilità.
Come tutti i farmaci, in altre parole, anche gli Psicofarmaci costituiscono importanti - e a volte fondamentali - risorse per la cura di quei disturbi psichici che possono generare profonda e intensa sofferenza nelle persone che ne sono affette.
Ovviamente, come per tutti gi altri farmaci, presentano anche aspetti negativi, come effetti collaterali più o meno sgradevoli o specifiche controindicazioni.
Gli Psicofarmaci possono dare sollievo, ridurre o eliminare alcuni sintomi, aiutare il paziente a regolare meglio le proprie emozioni, o ad affrontare determinate situazioni sostenuto da uno stato di minore sofferenza, ma ovviamente non risolvono i problemi esistenziali delle persone, né il loro modo di pensare o di vedere le cose, né le esperienze negative che continuano a condizionarli.
In altre parole, se è vero che possono offrire un aiuto prezioso per affrontare i problemi, è altrettanto vero che non sono così potenti (per fortuna !!!) da poter “cambiare la personalità” di un individuo, né di renderlo “una persona diversa” da quella che è.
La prescrizione di uno psicofarmaco è un atto medico che presuppone una alta competenza da parte dello specialista, una attenta valutazione del paziente e degli obiettivi da raggiungere, e soprattutto una assoluta personalizzazione della prescrizione. In questo senso non esistono gli psicofarmaci buoni per tutti, ma un determinato farmaco per quella particolare persona e per quello specifico problema. E lo psicofarmaco va sempre prescritto solo quando medico e paziente lo ritengono necessario, all’interno di un rapporto di completa fiducia.
Psicofarmaci e Psicoterapia non sono necessariamente interventi alternativi, anzi molto spesso i primi possono rappresentare una scelta iniziale, che permette al paziente di cominciare al meglio un percorso di psicoterapia e trarne il massimo vantaggio. Per questo è importante un intervento il più possibile concordato e coordinato, tra le diverse figure specialistiche, secondo quel modello di terapia integrata che oggi sembra essere in grado di garantire i maggiori successi terapeutici anche nelle situazioni più difficile e complesse.
Cristiano Ceccarelli

11/12/2019

Dall'uomo colpevole all'uomo tragico.

La nostra società si è dovuta confrontare negli ultimi 50 anni con importanti cambiamenti culturali, economici e sociali, che hanno determinato profonde modificazioni nell' attribuzione di un significato alla nostra stessa vita.
L'uomo colpevole sembra avere lasciato il posto all'uomo tragico: nel fare rientro a casa ci chiudiamo la porta alle sp***e e con un sospiro di sollievo pensiamo: anche oggi mi è andata bene, sono tornato a casa sano e salvo.
Questa visione tragica della vita ha preso il sopravvento sull'uomo colpevole, che nel rientrare a casa, invece, si interrogava su quanto avesse fatto nella giornata appena conclusa e su cosa di meglio , o di più, avrebbe potuto fare ( con i colleghi di lavoro, con gli amici, con lo sconosciuto in difficoltà incontrato poco prima di fronte al portone).
L'impegno, dunque, sembra essere stato sostituito dal disimpegno, da un approccio alla vita più centrato sui nostri individuali bisogni, o su quelli della nostra famiglia, che sentiamo di dover proteggere e tutelare ( il che è del tutto comprensibile) anche a scapito dei bisogni di chi ci circonda.
Il mondo esterno non suscita più curiosità, né interesse né tantomeno il desiderio di impegnarsi per modificarne almeno una piccola parte: è percepito come qualcosa dal quale proteggersi in quanto incute timore e il nostro disimpegno, assumendo una valenza protettiva, in qualche modo ci immunizza dai sensi di colpa, che hanno caratterizzato altri periodi storici della nostra società.
Di fronte a quello che appare un cambiamento ormai oggettivo, del quale non possiamo fare altro che prenderne atto, e tralasciando riflessioni socio-antropologiche non di mia competenza, mi ritrovo spesso a riflettere su aspetti maggiormente legati ai modelli educativi che inevitabilmente forniamo alle nuove generazioni, considerando che un valido processo di individuazione ( in altre parole la costruzione di una tua specifica identità), non può prescindere dall'avere contestualmente sperimentato una piena appartenenza al mondo nel quale viviamo.
Le due cose vanno necessariamente di pari passo, e senza l'appartenenza i processi di individuazione lasceranno spazio non tanto alla maturazione del singolo individuo ma semmai alla nascita di un nuovo individualismo, che per quanto possa avere una valenza protettiva inevitabilmente limiterà la nostra dimensione esperienziale, il nostro bagaglio di conoscenze, all'interno di una bolla che ci rassicura ma che rischia di condurci ad una vita asfittica e forse anche poco “vissuta”.
Cristiano Ceccarelli

30/10/2019

Sigmund Freud, (Freiberg, 6 maggio 1856 – Hampstead, 23 settembre 1939) : l'eredità del “padre” della psicoanalisi.
A 80 anni dalla sua scomparsa, alcune riflessioni su quello che ci ha lasciato in eredità il “padre” della psicoanalisi:
innanzitutto il concetto di inconscio che Freud considerava la sede di fantasie erotiche che la persona non poteva ammettere alla coscienza, con la conseguente tendenza a reprimerle, anche in relazione ai condizionamenti di un contesto sociale che agli inizi del 19° secolo era fortemente repressivo e sessuofobo.
Sebbene questo concetto abbia perso molte delle proprietà che inizialmente Freud gli attribuì, in quanto nella società attuale il campo dell'inammissibile alla nostra coscienza si è notevolmente ridotto, rimane in psicoterapia l'importanza di un inconscio da intendersi oggi come il luogo dove dimorano gli automatismi di pensiero e gli schemi di relazione che abbiamo appreso nel nostro passato e dei quali non abbiamo imparato a essere del tutto consapevoli, tanto da riproporli involontariamente nella realtà quotidiana.
Altra eredità importante di Freud: il concetto per cui quello che accade al bambino nei primi anni di vita lo plasma per il resto dell’esistenza.
Se oggi noi psicoterapeuti siamo così attenti a raccogliere informazioni su episodi della prima infanzia e della fanciullezza dei nostri pazienti lo dobbiamo a Freud: è ormai ampiamente provato, infatti, che le esperienze traumatiche, la violenza, l'abuso, la trascuratezza estrema nella relazione di accudimento genitoriale, possano generare nella vita adulta importanti disagi psicologici sino alla comparsa di disturbi psichiatrici conclamati.
Un altro concetto che ereditiamo è quello relativo ai “meccanismi di difesa” che secondo Freud erano una sorta di scudo che la mente sviluppava per proteggersi dal dolore psicologico e che tutt'ora rivestono una grande importanza nella psicoterapia soprattutto laddove determinino un effetto paradosso: questi meccanismi, infatti, se da un lato riducono l’angoscia, dall'altro possono generare importanti difficoltà adattative rispetto alla vita. Oggi la psicoterapia focalizza molto il suo intervento sui meccanismi di difesa “maladattattivi” ( il cosiddetto coping maladattattivo), all'interno di un percorso mirato a valorizzare i meccanismi difensivi più evoluti, cercando nel contempo di ridurre quei meccanismi che in definitiva possono diventare un limite nell'affrontare le problematiche che la vita ci propone.
Infine, vorrei ricordare i concetti di transfert e controtransfert, sempre di grande importanza nella psicoterapia in quanto ciò che il paziente costruisce con il proprio terapeuta è spesso condizionato (transfert) da schemi di relazione che appartengono al passato dello stesso paziente: “…. se mio padre mi considerava un fallito, anche il terapeuta adesso sta pensando questo di me ....”.
Rispetto, invece, al concetto di controtransfert è compito del terapeuta comprendere e gestire le reazioni riflesse che possono riattivarsi all'interno della relazione terapeutica e che hanno a che fare con tutti quei fantasmi del passato che risiedono nelle sua mente e che l'incontro con un determinato paziente possono rievocare in lui.
Insomma, un' eredità importante quella che ci ha lasciato Freud, che merita tutt'ora di essere riconosciuta e ricordata, anche se molte cose, a partire dalla nostra società, sono nel frattempo profondamente cambiate e conseguentemente la stessa psicoanalisi è oggi molto diversa rispetto a quella che si praticava sino a qualche decennio fa.

17/10/2019

Come la psicoterapia modifica i tratti di personalità
Una nuova ricerca pubblicata recentemente nella rivista “Psychological Bullettin” ha esaminato 207 studi sulla psicoterapia e studi correlati pubblicati tra il 1959 e il 2013, che hanno coinvolto più di 20.000 partecipanti, con una valutazione dei cambiamenti dei tratti di personalità monitorata nel tempo.
L'analisi ha rilevato che solo poche settimane di psicoterapia sono associate a cambiamenti significativi e duraturi nella personalità dei pazienti, in particolare modo la psicoterapia comporta una riduzione dei tratti nevrotici e un aumento dell' estroversione.
Parlare di cambiamenti di personalità può apparire angosciante, perchè si pensa alla personalità come un qualcosa che plasma il nostro modo di essere, di rappresentare mentalmente noi stessi e la relazione con gli altri.
Tuttavia, dal punto di vista del benessere soggettivo, i cambiamenti di alcuni tratti, come quelli evidenziati da questa nuova ricerca, sono ben accetti e sicuramente possono costituire uno base importante per una Qualità di Vita migliore.
Il nevroticismo o l'instabilità emotiva, infatti, è un fattore di rischio non solo per la salute mentale ma anche fisica, mentre una maggiore estroversione del carattere solitamente procura nel soggetto maggiore felicità e più ottimismo.
Dall'analisi dei risultati della ricerca, sono emersi inoltre questi ulteriori dettagli:
l'estensione del cambiamento di personalità osservato è pressappoco la stessa per i diversi tipi di psicoterapia, come quella cognitiva-comportamentale o psicodinamica;
i pazienti con disturbi psichiatrici che avevano comportato la loro ospedalizzazione erano soggetti ad un minor cambiamento;
i pazienti con diagnosi di depressione o disturbi di personalità hanno mostrato il maggior cambiamento di personalità rispetto ad altre condizioni cliniche;
la qualità del cambiamento era la stessa per sesso e per fasce di età.

Quest'ultima scoperta riguardante l'età è sicuramente molto affascinante, in quanto conferma il principio di plasticità, secondo cui la personalità è un sistema aperto e suscettibile di cambiamenti durante tutta la vita.
Insomma non si smette mai di crescere e i cambiamenti del carattere possono svilupparsi a qualsiasi età .....

03/10/2019

Problematiche psicologiche nella scelta adottiva.

L’adozione rappresenta un processo complesso, dove la genitorialità e la filiazione
sperimentano percorsi alternativi .
L’adozione, infatti, rientra tra gli eventi non normativi del ciclo vitale di una famiglia, eventi che richiedono la capacità di profonde riorganizzazioni interne del gruppo familiare.
Una persona adottabile ed una famiglia adottante costituiscono, infatti, due mondi sconosciuti che entrano in rapporto tra loro.
L’adozione è l’incontro di due mancanze : la relazione primaria venuta a mancare per il bambino, da una parte, e l’incapacità procreativa per la coppia genitoriale dall’altra.
La genitorialità non è espressione di un evento biologico ma si fonda su un legame affettivo che deve essere costruito nel tempo ed è basato sulla RECIPROCITA’ della scelta .
La consapevolezza della scelta adottiva si realizza quando è chiara per la coppia adottante la differenza tra:
il desiderio di avere un figlio e il bisogno di avere un figlio
1) Nel desiderio di avere un figlio immagineremo un bambino reale, con la sua storia, il suo passato, i suoi traumi, i suoi limiti, la sua genetica.
2) Nel bisogno di avere un figlio saremo inevitabilmente portati a legarci ad bambino fantasticato, destorificato, con il quale immaginiamo di poter rinascere a nuova vita insieme, colmando i reciproci vuoti dolenti.
La difficoltà maggiore (per il bambino) consiste non solo nel dover accettare la perdita delle precedenti figure di attaccamento, ma soprattutto nel dover riorganizzare il legame di attaccamento e dirigerlo verso nuove figure, con gli inevitabili sentimenti di colpa che in relazione a questa scelta si svilupperanno.
Il ricevere aiuto, inoltre, potremmo pensare (sbagliando) che debba essere naturalmente percepito come una azione che produce benefici, ma, in realtà, un aiuto non richiesto potrebbe turbare piuttosto che comportare benefici per il ricevente. Soprattutto laddove il bambino non abbia compiutamente elaborato i vissuti di separazione e di perdita che hanno preceduto la stessa adozione.
Purtroppo, però, non sempre i genitori adottivi riescono ad interpretare correttamente il comportamento, che almeno inizialmente potrà essere anche ostile nei loro confronti, tanto da essere portati a ritenere il bambino “difficile” oppure al contrario a ritenersi incapaci del loro compito, iniziando a disinvestire sulla relazione, con inevitabili ripercussioni sul bambino che vivrà un secondo “lutto”.
Per questo motivo la famiglia adottiva dovrebbe essere composta da persone con una buona dose di autostima che non necessitino di continue rassicurazioni narcisistiche dai figli.
Si è portati naturalmente a pensare che il bambino sia in grado di capire che la nuova situazione (quella adottiva) sia migliore per lui rispetto alla vita precedente, e che quindi egli non possa far altro che essere contento di avere incontrato delle persone più disponibili alle sue necessità
I bambini invece, specie i più piccoli, vivono in un "hic et nunc" pressoché infinito, un eterno presente che impedisce loro una proiezione nel futuro; non sono ancora in grado , in definitiva, di comprendere i vantaggi futuri che potenzialmente potranno essergli garantiti dall'appartenenza ad un nuovo nucleo familiare.
La filiazione adottiva può avere successo solo quando i genitori scelgono di adottare ed il bambino riesce a interiorizzare la scelta di essere adottato, quando la relazione adottiva nasce a partire da un'attitudine (l'amore incondizionato) da parte dei genitori adottivi, quando la relazione adottiva viene vissuta dai genitori come un modo di avvicinarsi al figlio adottivo senza memoria e senza desiderio.
Senza la memoria del mio passato che mi ha visto impossibilitato nel procreare e senza il desiderio che la vita mi debba in qualche modo “risarcire “ proprio per questo motivo, magari attraverso un figlio adottivo.
Cristiano Ceccarelli

13/09/2019

LA DECISIONE DI SEPARARSI: COME COMUNICARLO AI FIGLI.

La separazione coniugale è un evento in crescente aumento, come confermano i dati Istat, che rilevano un costante incremento del numero delle separazioni in Italia. Sebbene l’evento separazione riguardi principalmente i coniugi, ci saranno inevitabili ripercussioni su tutto il sistema familiare, in particolar modo sui figli.

Quando le separazioni riguardano famiglie con almeno un minore, la situazione, già di per sé difficile, aumenta di complessità. Le emozioni e i sentimenti in gioco, infatti, coinvolgono anche i bambini e, dunque, è molto importante preservare il loro benessere e la loro serenità.

Il primo grande scoglio per i genitori che stanno per separarsi è quello di comunicare la decisione presa ai figli. Questo momento cruciale, infatti, suscita naturalmente molta ansia e preoccupazione (che gli adulti dovrebbero essere in grado di contenere), anche perché simbolicamente significa esplicitare concretamente la scelta intrapresa.

Quando comunicarlo?

Molti genitori mi pongono spesso la domanda su qual è il momento migliore per comunicare la decisione ai figli, e tendono a procrastinare la scelta in attesa delle condizioni più adatte per affrontare un argomento tanto difficile. Sebbene la situazione migliore sarebbe quella di parlare con i propri figli nel momento in cui la scelta è ormai diventata definitiva per i coniugi, è importante ricordare che i bambini vivono la quotidianità familiare e, dunque, si rendono conto che qualcosa sta cambiando. I figli, infatti, sono abili osservatori della realtà e percepiscono i cambiamenti che avvengono all'interno della propria famiglia: molti bambini mi raccontano come abbiano capito della separazione molto tempo prima che mamma e papà glielo comunicassero.

Una volta intrapreso il percorso della separazione, dunque, è importante parlare con i propri figli, in modo tale da evitare sentimenti di sfiducia e sensi di colpa, che possono nascere nei bambini che, se lasciati all'oscuro, cercheranno di trovare da soli le risposte alle loro domande. I bambini, infatti, tendono a interpretare ciò che sta succedendo in famiglia e, spesso, si colpevolizzano attribuendosi la colpa del nervosismo o della tristezza che percepiscono nei genitori.

COME COMUNICARLO?
Anche in questo caso non esiste un metodo che può andar bene sempre, ma è opportuno valutare ogni specifica situazione. In linea generale, però, si può affermare l’importanza di comunicare insieme la notizia, in modo tale da evitare versioni diverse della storia. Mamma e papà devono dare la stessa versione dei fatti, limitandosi a esplicitare come non si vada più d’accordo per cui si è deciso di separarsi. E’ importante utilizzare parole semplici e adatte all’età e al livello di sviluppo del bambino, lasciando spazio ai figli per esprimere tutti i propri dubbi e tutte le loro perplessità. Occorre essere chiari e fermi nella spiegazione, esplicitando come la decisione è stata a lungo ponderata e non è possibile fare nulla per cambiare la situazione. Questo riduce nel bambino le fantasie riconciliatorie. E' inopportuno raccontare dettagli che i bambini non comprenderebbero appieno e che rischierebbero di confonderli. Ciò che è importante ribadire, infine, a parole e con i fatti, è che, nonostante la separazione, si continua ad essere e a fare i genitori: questo messaggio deve essere spiegato sempre ai bambini, i quali non sempre riescono a scindere il legame coniugale da quello genitoriale.

I bambini, in conclusione, hanno bisogno di parlare di separazione, di capire cosa sta succedendo e cosa accadrà in futuro nella loro vita, rinviare questo momento diventa spesso controproducente. E' compito degli adulti, in definitiva, affrontare per primi questo discorso anche perchè i figli possono avere difficoltà a parlare apertamente con i loro genitori di quanto sta accadendo, per la paura di farli soffrire o di aumentare il loro dolore.

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