Avv. Daniele Casale

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L'avvocato Daniele Casale opera principalmente nell'ambito del Diritto del Lavoro.

Offre la sua competenza, acquisita in anni di esperienza, per assistere i lavoratori di ogni livello e professionalità.

18/04/2023

TRASFERTA E TRASFERIMENTO DELLA LAVORATRICE NEOMAMMA

La lavoratrice madre, al termine dei periodi di interdizione al lavoro disciplinati dal Cpo II e Capo III del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, ha diritto al rientro al lavoro nella stessa unità produttiva ove prestava attività all’inizio dell’astensione, o in altra ubicata nel medesimo comune.

L’invio in trasferta della lavoratrice, che impedisca la ripresa dell’attività lavorativa ai sensi dell’art. 56, comma 1, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, è illegittimo.

Il rifiuto opposto dalla lavoratrice alla disposizione datoriale di prestare attività in luogo diverso e in violazione di tale diritto, è legittimo e giustifica l’assenza.

Qualora la società dovesse "rispondere" con un licenziamento questo sarà illegittimo.

Daniele Casale

17/04/2023

RISOLUZIONE ANTICIPATA DEL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO

Il recesso prima del termine indicato nel contratto di lavoro a tempo determinato è disciplinato dall’ art. 2119 c.c “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato […], qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. […]”.

In sintesi, è possibile che le parti recedano anticipatamente prima della scadenza del termine, solo in queste due ipotesi:

• recesso motivato da giusta causa o impossibilità sopravvenuta della prestazione;
• risoluzione consensuale.

Il recesso senza giusta causa determina inadempimento contrattuale, e la parte che attua tale comportamento sarà tenuta al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni dovute fino alla scadenza del contratto originariamente prevista nel caso del lavoratore.

Per il datore di lavoro il danno non viene determinato in modo così oggettivo e deve essere dimostrato in modo rigoroso: potrebbe essere costituito ad esempio dalle spese sostenute per la ricerca di un sostituto o le spese inutilmente sopportate per la formazione del lavoratore dimissionario.

Daniele Casale

08/03/2023

DEMANSIONAMENTO ILLEGITTIMO: QUANTIFICAZIONE DEL DANNO PATRIMONIALE E DEL DANNO BIOLOGICO

Con il termine “demansionamento” si indica l’adibizione del lavoratore a mansioni ricomprese in un livello di inquadramento (genericamente inferiore) rispetto a quello pattuito all’interno del contratto individuale di lavoro o a quello corrispondente alle mansioni da ultimo svolte.

A seguito di un illegittimo demansiomamento può derivare un danno patrimoniale ed un danno non patrimoniale (danno biologico).

Quanto al danno patrimoniale: con ordinanza n. 3131 del 02.02.2023, la Cassazione ha affermato che, in caso di illegittimo demansionamento, il relativo risarcimento del danno può coerentemente essere quantificato in una somma pari al 25% della retribuzione spettante al dipendente nel periodo interessato dall’illecita condotta datoriale. Dunque, se il lavoratore è stato demansionato per un periodo di dieci mesi, potrà chiedere a titolo di risarcimento il 25% della retribuzione percepita in 10 mesi.

Quanto al danno biologico: l’assegnazione a mansioni deteriori o la totale esclusione del dipendente da ogni attività aziendale sono condotte potenzialmente idonee a ledere l’integrità psicofisica del lavoratore (c.d. danno biologico) e fonte di responsabilità risarcitoria in capo al datore di lavoro.

Nel caso si voglia provare tale danno sarà necessario sottoporsi ad una visita presso la clinica del lavoro accompagnata da una perizia ad opera di uno psichiatra forense o, in alternativa, solo alla perizia dello psichiatra.

Il medico, accertato il danno, provvederà alla sua quantificazione in termini di percentuale.

Successivamente l’avvocato procederà a calcolare il valore del danno in termini economici utilizzando le tabelle del danno biologico messe a disposizione dal Tribunale competente.

Daniele Casale

19/01/2023

MOLESTIE SUL LAVORO: OBBLIGHI DELLE SOCIETA

La Direttiva 2002/73/CE definisce la “molestia” come una situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato connesso al sesso di una persona, avente lo scopo o l’effetto di violarne la dignità e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo; la molestia sessuale, invece, è una situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma fisica, verbale o non verbale, avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare, creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Le molestie sul luogo di lavoro incidono, dunque, sulla salute psico-fisica del lavoratore: il datore di lavoro risponde dei danni causati ai dipendenti da molestie realizzate dal datore stesso o dai propri collaboratori, ai sensi dell’art. 2087 c.c. – che impone all’azienda di adottare i provvedimenti idonei a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori – e dell’art. 2049 c.c. – secondo cui i datori di lavoro sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro collaboratori nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.

Nel caso in cui il datore di lavoro dovesse accertare che un lavoratore abbia avanzato molestie nei confronti di colleghe e/o colleghi potrà procedere con il licenziamento per giusta causa.

Cosa può fare, dunque, il datore di lavoro per arginare il rischio di molestie in ambito lavorativo e garantire un ambiente di lavoro sereno?

1. Adempiere all’obbligo di valutazione dei rischi: il d.lgs 81/2008 (Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) all’articolo 28 prevede che la valutazione dei rischi cui è tenuto il datore di lavoro deve avere ad oggetto anche i rischi connessi alle differenze di genere, come le molestie e le violenze;

2. redigere il DVR (documento di valutazione dei rischi): si tratta del documento redatto alla fine della valutazione dei rischi e che contiene una relazione dettagliata dei rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione attuate, il programma delle misure da attuare e ritenute opportune per garantire nel tempo il miglioramento dei livelli di sicurezza;

3. formare e informare i lavoratori sui temi della legalità, trasparenza, correttezza, indipendenza, dignità, rispetto nei rapporti interpersonali, comunicazione non violenta, anche diffondendo la conoscenza di codici di comportamento.

Daniele Casale

15/12/2022

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO (ECONOMICO): COS'E' L'OBBLIGO DI REPECHAGE E COSA DICE LA GIURISPRUDENZA

Lo studio legale Toffoletto ha ben espresso con l'articolo che segue (io ho estratto solo alcune parti per semplificarvi la lettura) il concetto relativo all'obbligo di repechage"

Vediamo di cosa si tratta.

L’obbligo di repêchage (ripescaggio) consiste nell’obbligo per il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento, di vagliare tutte le possibilità di ricollocazione all’interno dell’azienda del lavoratore in esubero o divenuto inidoneo alle mansioni assegnategli.

Il “ripescaggio” è dunque connesso strettamente al giustificato motivo oggettivo di licenziamento, che consiste nel licenziamento dovuto a “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

Infatti, nell’esercizio della propria attività di impresa, il datore di lavoro può decidere di sopprimere una posizione lavorativa, mosso da esigenze economiche o di riorganizzazione aziendale (es. innovazioni tecnologiche, redistribuzione delle mansioni tra altri dipendenti, esternalizzazione di una certa attività, sopravvenuta inidoneità alla mansione).

Vediamo, dunque, nel dettaglio cosa si intende per “obbligo di repêchage” e quali sono i suoi limiti.

Prima di procedere con il licenziamento, il datore di lavoro dovrà verificare che nell’organigramma non siano presenti mansioni equivalenti – secondo la vecchia formulazione dell’art. 2103 c.c. – o mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte – secondo la nuova formulazione dell’art. 2103 c.c.: è infatti pacifico che tali mansioni siano coperte dall’obbligo di repêchage.

Per quanto riguarda le mansioni inferiori, già prima della modifica dell’art. 2103 c.c. la giurisprudenza aveva affermato che l’interesse alla conservazione del posto di lavoro dovesse prevalere sull’interesse al mantenimento della professionalità acquisita dal dipendente.

In ogni caso, l’orientamento giurisprudenziale che estende l’obbligo di repêchage alle mansioni inferiori è stato confermato in seguito alla modifica dell’art. 2103 c.c. che ammette espressamente il demansionamento; in particolare, esso può avvenire:

• in via unilaterale, nel caso in cui la modifica degli assetti organizzativi aziendali incida sulla posizione del lavoratore, con la possibilità per quest’ultimo di essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore comunque rientranti nella medesima categoria legale di appartenenza;
• mediante accordo in sede protetta, qualora la modifica delle mansioni, della categoria legale, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione avvenga nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.

E’ chiaro che, come evidenziato dalla giurisprudenza, “l’aggravamento dell’onere gravante sul datore di lavoro in ordine all’impossibilità di repêchage anche rispetto a mansioni inferiori, determinato dall’entrata in vigore dell’art. 2103 c.c., non può tuttavia ritenersi assoluto”: l’obbligo dovrebbe essere limitato alle “mansioni libere, che non necessitino cioè di idonea formazione”, in quanto “l’obbligo di attribuire al lavoratore mansioni che necessitino di adeguata formazione significherebbe infatti imporre al datore di lavoro un ulteriore costo economico” (Trib. Roma 24 luglio 2017).

Dunque, non vengono in rilievo tutte le mansioni inferiori dell’organigramma aziendale, ma solo quelle compatibili con le competenze professionali del lavoratore o quelle che siano state effettivamente già svolte, contestualmente o in precedenza (Cass. 31521/2019).

In definitiva, la giurisprudenza ha evitato di attribuire al terzo comma dell’art. 2103 c.c., secondo il quale il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, una valenza estensiva dell’obbligo di repêchage fino al punto da obbligare il datore di lavoro a provvedere alla formazione necessaria perché il lavoratore possa essere utilmente impiegato in altre mansioni al fine di evitare il licenziamento.

Daniele Casale

29/11/2022

LICENZIAMENTO PER ASSENZA ALLA VISITA FISCALE

Il lavoratore malato deve rendersi reperibile nelle fasce orarie per l’arrivo del medico fiscale.

La reperibilità è la regola. Il dipendente pubblico deve restare a casa per aprire la porta al medico dell’Inps dalle ore 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 di ogni giorno compresi domeniche e festivi.

Invece per il dipendente privato c’è più respiro: la reperibilità scatta dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19, anche in questo caso comprese domeniche e festivi.

L’assenza alla visita fiscale, a prescindere dall’effettività o meno dello stato di malattia, può costituire giusta causa di licenziamento quando avviene in forma reiterata o quando ci sia una fraudolenta sottrazione all’obbligo.

Secondo la Cassazione, l’assenza alla visita fiscale di controllo può ritenersi giustificata quando il lavoratore è in grado di dimostrare l’effettività e la consistenza di un ragionevole impedimento, di una ragione valida e socialmente apprezzabile, purché sia documentabile.

Sarebbe quindi illegittima l’assenza per partecipare a una seduta di fisioterapia o per accompagnare la moglie a fare la spesa, per essersi recati dal medico di famiglia per ritirare le ricette per dei farmaci o per la misurazione della pressione, a meno che non venga data rigorosa prova dell’urgenza.

Daniele Casale

16/11/2022

FURTO DI MERCE DI MODICO LAVORO: LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO

La Corte di Cassazione si è pronunciata più volte sull’ammissibilità del licenziamento in tronco a seguito di condotte comportanti un danno al patrimonio aziendale di speciale tenuità.

L’elemento principale su cui poggiano le pronunce è il carattere fiduciario del rapporto di lavoro: una grave “mortificazione” della fiducia che un soggetto ripone nell’altra legittima il licenziamento in tronco. Tanto vale anche qualora un lavoratore sottragga beni aziendali di valore irrisorio.

Dunque, l’irrilevanza del danno non fa venir meno la lesione del vincolo fiduciario poiché ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso viene in considerazione gli effetti sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento.

Il medesimo principio è stato sancito dalla Cassazione anche nel caso di una dipendente di un supermercato con mansioni di cassiera che aveva impugnato il licenziamento per giusta causa, intimato per avere accreditato l’importo della spesa fatta dai clienti sulla propria carta punti, in più occasioni durante un periodo di circa 7 mesi.

In questo modo, la lavoratrice aveva accumulato punti equivalenti alla somma di euro 50,00 spendibile sotto forma di sconti presso i supermercati aderenti al circuito della fidelity card (Cass. 18184/2017). Anche in tale ipotesi, i giudici di legittimità hanno spiegato che ai fini dell’accertamento della giusta causa di licenziamento si deve considerare il disvalore intrinseco della condotta, senza che abbia rilievo l’entità del danno che ne possa conseguire

La casistica al riguardo è molto varia. La Corte ha, ad esempio, confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa:

• di un dipendente del settore ferroviario che aveva prelevato, durante il turno lavorativo, venti litri di gasolio del valore di 25-30 euro (Cass. 8816/2017);
• di un addetto al reparto pizzeria presso un punto vendita che si era impossessato di due DVD per un valore di 30,80 euro (Cass. 25186/2016);
• di un autista addetto allo scarico e alla consegna di merce a un punto vendita che aveva sottratto una busta di salumi (Cass. 23365/2009);
• di una commessa che aveva rubato una camicetta di 16.000 lire occultandola sotto la maglia (Cass. 5036/2009).

Daniele Casale

26/10/2022

OPERATORI CALL CENTER ED IL CONTRATTO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA

Trattiamo il caso di un’operatrice telefonica inserita in un call center in forza di contratti a progetto, e poi, di collaborazione coordinata e continuativa che ha promosso un giudizio volto a rivendicare la natura subordinata del rapporto e la spettanza delle differenze retributive in suo favore (ad esempio: tredicesima e quattordicesima, ferie maturate e non godute, TFR, contributi, etc.).

A parere del Giudice del lavoro il contattare telefonicamente una serie di clienti i cui nominativi erano stati forniti dalla committente (datore di lavoro) tramite elenco è da considerare elemento di carenza di autonomia (che invece caratterizza il contratto di collaborazione coordinata e continuativa), non consentendo al collaboratore di individuare autonomamente i clienti da contattare.

La sentenza in questione ha affermato che il carattere semplice e ripetitivo delle mansioni, l’assenza di organizzazione imprenditoriale e di rischio d’impresa, l’esistenza di controlli e direttive, la natura
predeterminata del compenso inducono a concludere fondatamente per la subordinazione del rapporto di lavoro.

Inoltre, una decisione della Corte di Cassazione (l’ordinanza n. 28190/2017) ha ribadito che, se il lavoratore (nel caso sempre di una operatrice di call center) svolga la propria attività nei locali dell’azienda, con l’utilizzo di strumenti da quest’ultima messi a disposizione (computer, telefono, ecc.), in fasce orarie prestabilite, con l’indicazione di obiettivi minimi da raggiungere e dei criteri di valutazione della prestazione, il rapporto di lavoro va inquadrato come subordinato a tempo indeterminato e non come collaborazione coordinata e continuativa.

Da quanto sopra ne deriva che il lavoratore che ricopre il ruolo di operatore telefonico all’interno di un call center in forza di un contratto di collaborazione privo di genuinità, può rivendicare la natura subordinata del rapporto di lavoro e per conseguenza il diritto a percepire tutte le conseguenti differenze retributive e contributive (13ma e 14ma, ferie maturate e non godute, permessi retribuiti, TFR, etc.).

Ho preso ad esempio una operatrice telefonica collocata in un call center ma deve essere chiaro che il contratto di collaborazione coordinata e continuativa è illegittimo ogni qualvolta sussistano i presupposti di subordinazione sopra indicati.

Daniele Casale

24/10/2022

COME RECUPERARE IL TFR NEL CASO DI FALLIMENTO DEL DATORE DI LAVORO

Nelle ipotesi di insolvenza del datore di lavoro, a fronte dell’apertura di una procedura fallimentare quale:

• Concordato preventivo;
• Liquidazione coatta amministrativa
• Amministrazione straordinaria;
• Liquidazione;
• Fallimento;

il lavoratore può chiedere l’intervento del Fondo di garanzia INPS al fine di ottenere il pagamento del TFR e delle ultime 3 retribuzioni. Ciò avviene ad esempio se l’attivo fallimentare non è sufficiente a saldare i debiti con i dipendenti, insinuatisi nello stato passivo.

Se il datore di lavoro non rientra tra i soggetti destinatari della legge fallimentare, l’intervento del Fondo è subordinato al tentativo di esecuzione forzata ad opera del dipendente. Se quest’ultima si rivela infruttuosa ed altresì non esistono beni aggredibili con l’azione esecutiva, il lavoratore può ottenere l’intervento del Fondo di garanzia.

La procedura richiede l’intervento di un avvocato che procede a redigere tutti gli atti richiesti dall’INPS, a comunicare con il curatore fallimentare ed in ultimo a predisporre l’istanza all’Ente per chiedere il pagamento del credito.

Daniele Casale

14/10/2022

L’AZIENDA PUO’ CAMBIARE LE MANSIONI DEL DIPENDENTE?

Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito.

Tuttavia, in costanza di rapporto potrebbe sorgere l’esigenza di assegnare al lavorare delle mansioni differenti da quelle oggetto del contratto di lavoro.

Un caso tipico è la soppressione del posto di lavoro o l’esternalizzazione di un servizio, ma pensiamo anche ad eventi successivi che determinano l’inidoneità del lavoratore a svolgere l’attività lavorativa di cui al contratto.

In questi o in altri casi il datore di lavoro potrà adibire il dipendente anche a mansioni differenti da quelle oggetto del contratto di lavoro a patto che siano riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento.

Per capire come viene classificato il personale in una certa azienda, occorre fare riferimento al CCNL applicato. Ad esso il proprio contratto individuale di lavoro rinvia per disciplinare tutti i vari aspetti – anche retributivi – del rapporto di lavoro. In altre parole, il contratto collettivo dispone una classificazione del personale nella quale ad ogni singola qualifica, sulla base delle mansioni esercitate, è assegnato un livello retributivo.

Ci sono anche dei rari casi in cui il lavoratore può essere demansionato ma rinviamo ad un prossimo articolo la loro trattazione.

Daniele Casale

05/10/2022

LICENZIAMENTO DURANTE IL PERIODO DI PROVA

Contrariamente al normale rapporto di lavoro, il datore di lavoro può recedere sia durante che alla scadenza del periodo di prova senza dover fornire motivazioni. Non sussiste quindi l’obbligo di indicare una «giusta causa» o un «giustificato motivo soggettivo o oggettivo» nella lettera di licenziamento.

Il licenziamento durante la prova può basarsi sulla semplice valutazione negativa del datore in ordine alle capacità del dipendente, valutazione che, come detto, non deve essere argomentata o motivata.

L’unica eccezione a tale regola ricorre – secondo la giurisprudenza – quando il dipendente è stato adibito a mansioni diverse rispetto a quelle indicate nel contratto e sulle quali la prova doveva vertere: in tal caso, è naturale che la valutazione non possa essere obiettiva avendo avuto ad oggetto un operato non corrispondente alle competenze del dipendente.

Inoltre, se l’accordo sul periodo di prova da svolgere è avvenuto successivamente all’instaurazione del rapporto di lavoro, anziché prima o contestualmente al suo inizio, il patto di prova è nullo e l’assunzione si considera definitiva sin dall’inizio dello svolgimento delle prestazioni.

Si consideri l’ipotesi in cui nel contratto viene indicata una data per iniziare l’attività lavorativa ma il dipendente viene inserito in azienda, evidentemente irregolarmente (in nero), in una data precedente. In questo caso il patto di prova è da considerarsi nullo.

Daniele Casale

29/09/2022

DIPENDENTE IN MALATTIA: COSA PUO’ FARE FUORI DALLE ORE DI REPERIBILITA’?

La condizione di malattia non preclude e non vieta di svolgere qualsiasi attività anche fuori dal proprio domicilio, purché sia compatibile con l’effettiva condizione psico-fisica del lavoratore e non condizioni il normale percorso di guarigione.

Infatti, il lavoratore che svolge attività incompatibile con il proprio stato di salute o idonea a compromettere la guarigione, ovvero la naturale ripresa dell’attività lavorativa, viola gli obblighi di diligenza e correttezza.

In tal caso il datore di lavoro può procedere al licenziamento per giusta causa del dipendente.

Daniele Casale

21/09/2022

RESPONSABILITÀ SOLIDALE DEL COMMITTENTE PER I CREDITI DA LAVORO

L’art. 29, comma 2 del D.Lgs. n. 276/2003, allo scopo di tutelare il lavoratore impiegato in regime di appalto (sia di opere che di servizi), ha stabilito un vincolo di responsabilità solidale tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto senza limiti quantitativi, per la corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali dovuti.

Pertanto, se un soggetto assunto dalla Società A vanta dei crediti di lavoro per l’attività resa presso l’appalto del Committente B, potrà agire nei confronti di entrambi per il recupero delle somme maturate o, come spesso accade in caso di incapienza o fallimento del datore di lavoro, azionare il recupero del credito solo verso B.

Daniele Casale

15/09/2022

MOBBING E STRAINING NEL RAPPORTO DI LAVORO

Il mobbing e lo straining hanno in comune l’aspetto processuale e l’aspetto risarcitorio ma si differenziano per alcuni elementi importanti.

MOBBING

Con il termine mobbing ci si riferisce all’insieme di comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un individuo da parte di una o più persone sul posto di lavoro, in modo sistematico e prolungato nel tempo, in modo tale da provocare disagi psicologici, psicosomatici e sociali che comportano una lesione della dignità personale, nonché della salute psicofisica.

Il Mobbing può essere orizzontale se derivante da un collega o verticale se realizzato dal datore di lavoro.

Le forme che questa azione può assumere sono varie, passando, ad esempio, dagli abusi psicologici e angherie, dalla dequalificazione dei compiti assegnati alla persona oggetto della persecuzione alla sua emarginazione nell’ambito lavorativo, dalla diffusione di notizie false ed offensive alle quotidiane critiche sul suo operato, per arrivare all’attacco all'immagine sociale nei confronti di colleghi e superiori. Queste azioni, per essere rilevanti, sono effettuate con un’alta frequenza (almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (per almeno sei mesi).

Si precisa che il datore di lavoro risponde anche per il mobbing posto, a sua insaputa, dai colleghi del lavoratore.

STRAINING

Lo straining è una figura affine al mobbing dal quale si differenzia per l’assenza di condotte reiterate nel tempo da parte del datore di lavoro e per la conseguente mancanza di un intento vessatorio idoneo ad unificarle all’interno di un fenomeno comportamentale unitario.

Quindi, se la condotta nociva si realizza con una azione unica ed isolata, o comunque con più azioni prive del carattere della continuità, si è in presenza dello straining, comportamento che produce una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa e, in genere, una situazione stressante, che, a sua volta, dando luogo a disturbi psico-somatici, psico-fisici o psichici, pur mancando del requisito della continuità nel tempo della condotta considerata, può essere sanzionato in sede civile al pari del mobbing.

Daniele Casale

12/09/2022

LAVORO STRAORDINARIO: CONCORRE ALLA FORMAZIONE DEL TFR?

Ai sensi dell’art. 2120 c.c., nel calcolo del TFR incidono tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, percepite a titolo non occasionale, salvo non sia previsto diversamente nel contratto collettivo.

Pertanto, il compenso per lavoro straordinario, se corrisposto in modo fisso e continuativo, ossia regolare, frequente o anche periodico entro un periodo di tempo apprezzabile, deve essere incluso nella retribuzione da prendere a calcolo per il TFR, salvo che il contratto collettivo non disponga diversamente.

Cosa fare se nell’ultimo rapporto di lavoro le ore di straordinario prestate regolarmente sono state escluse, come accade di regola, dal calcolo del tfr?

Il lavoratore, entro il termine di prescrizione di 5 anni che decorre dal giorno in cui si è interrotto il rapporto di lavoro, potrà agire per il recupero del dovuto, previo ricalcolo del TFR.

08/09/2022

LA PAROLA A VOI

Ci sono domande o argomenti che desiderate approfondire? Chiedete, risponderò ad ogni domanda e scriverò articoli su questioni di vostro interesse.

08/09/2022

USO DEI SOCIAL E DEL WEB DA PARTE DEL DIPENDENTE

Può essere oggetto di contestazione disciplinare la condotta extra-lavorativa di un soggetto che, inserendo commenti o postando foto sul web, intacchi la funzionalità della relazione lavorativa.

Il dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c. e i canoni di buona fede e correttezza impongono al dipendente l’astensione tanto dai comportamenti espressamente vietati dal codice civile quanto dai comportamenti strettamente legati al suo inserimento in azienda. Ovvero, il lavoratore deve astenersi tanto dal violare obblighi derivanti dal contratto di lavoro, tanto dal realizzare condotte che, sebbene non minaccino direttamente il rapporto di lavoro, vadano comunque a ledere l'immagine del datore di lavoro.

Concludendo, la Società potrà attivare la procedura disciplinare nei confronti di un lavoratore se la condotta extra-lavorativa sia idonea a ledere l’onore e la reputazione dell’azienda.

Daniele Casale

06/09/2022

CONTRATTO DI LAVORO: NUOVI OBBLIGHI INFORMATIVI
Decreto trasparenza (D.Lgs. 104 del 27 giugno 2022)

Il Decreto, entrato in vigore il 13 agosto 2022, introduce obblighi informativi a carico del datore nonché prescrizioni minime a tutela dei lavoratori che dovranno essere obbligatoriamente inseriti nel contratto di lavoro.

Sono interessati tutti i rapporti subordinati (anche i somministrati o gli assunti con un contratto ad intermittenza), i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e le prestazioni occasionali.

Di seguito elenco le informazioni che non potranno mancare nel contratto di lavoro (molte delle quali, in realtà, sono normalmente indicate sebbene in termini generici e meno dettagliati rispetto a quanto richiesto dal Decreto).

1. La tipologia contrattuale, il nome del datore di lavoro, la sede di lavoro, la data di inizio e fine (in caso di rapporto a tempo determinato);
2. La retribuzione (composizione, modalità e termini di pagamento);
3. Il periodo di prova (se previsto);
4. L’inquadramento del lavoratore (categoria, livello e qualifica o, in alternativa, la descrizione sommaria del lavoro);
5. La programmazione dell’orario ordinario di lavoro (in caso di impossibilità – si pensi all’ipotesi del lavoro a chiamata – si dovranno fornire dati alternativi approfonditi e puntuali);
6. La durata delle ferie e la durata degli eventuali congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore;
7. Il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore di lavoro (se prevista);
8. La durata del preavviso e la relativa procedura per esercitarlo;
9. Gli Enti e gli Istituti che ricevono i contributi previdenziali ed assicurativi;
10. Il contratto collettivo nazionale applicato al rapporto di lavoro, con l’indicazione delle parti che lo hanno sottoscritto, e gli eventuali contratti collettivi di secondo livello (territoriali e/o aziendali) applicati al rapporto di lavoro;
11. L’identità dell’impresa utilizzatrice in ipotesi di lavoratori somministrati;
12. Approfondite informazioni sull’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati in ipotesi di ricorso (caso dei “riders”);
13. In caso di distacco di un lavoratore all’estero nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi è necessario per iscritto e prima della partenza, qualsiasi modifica degli elementi del rapporto di lavoro (paese di destinazione, valuta di corresponsione dello stipendio, eventuali indennità, ed altro ancora).

Daniele Casale

05/09/2022

Ho aperto questa pagina per creare un filo diretto, pratico e veloce con tutti coloro che sono interessati ad ottenere risposte a quesiti relativi al loro rapporto di lavoro.

E' quindi possibile scrivermi direttamente sotto gli articoli che pubblicherò, usando il canale messanger, whatsapp o telefonandomi nel caso il quesito sia di particolare complessità.

Buon inizio!

Daniele Casale

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