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Dovremmo imparare dalle clessidre. Ti esaurisci, ti capovolgi e ricominci.
UNA STORIA LEGATA AL SUPERAMENTO DELLE NOSTRE PAURE.
Un re ricevette in dono due piccioni di falco e li consegnò al maestro di falconeria per l’addestramento.
Dopo alcuni mesi, l’istruttore disse al re che uno dei falchi era istruito ma non sapeva cosa stava succedendo all’altro. Da quando era arrivato al palazzo, non si era mosso dal ramo, a tal punto che il cibo doveva essere portato.
Il re inviò guaritori e guaritori, ma nessuno poteva far volare l’uccello. Quindi pubblicò un editto tra i suoi soggetti e, la mattina dopo, vide il falco volare nei suoi giardini.
– Portami l’autore di questo miracolo – chiese.
Un contadino apparve davanti al re. Il re gli chiese:
– Come hai fatto a far volare il falco? Sei un mago?
Non è stato difficile – spiegò l’uomo. – Ho appena tagliato il ramo. Quindi l’uccello si rese conto di avere le ali e volò via.
La DIPEDENZA AFFETTIVA viene considerata come facente parte delle Nuove Dipendenze (New Addiction), ossia le dipendenze comportamentali, dipendenze in cui, al posto di una sostanza, vi è dipendenza da un comportamento.
La DIPENDENZA AFFETTIVA (DA) è una modalità patologica di vivere la relazione, in cui la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni ed a rinunciare al proprio spazio vitale pur di non perdere il partner, considerandolo unica e sola fonte di gratificazione nonché fondamentale fonte di “amore” e cura.
Il punto tuttavia è che spesso questi partner non sono affatto gratificanti ma, al contrario, si tratta di persone con le quali si instaura una relazione insoddisfacente, infelice e dolorosa. Il dipendente affettivo infatti prova un tale bisogno, assoluto e ossessivo, di rassicurazione e di certezze da indurre una sorta di “perdita dell’Io” ed una condizione in cui l’altro rappresenta il solo elemento di estasi e di gratificazione possibile.
I sintomi della dipendenza affettiva da una persona non sono sempre evidenti alla persona che ne soffre, per cui è difficile che ne abbia consapevolezza. Tuttavia, esistono una serie di sintomi che possono indicare la presenza di questo tipo di dipendenza.
Chi soffre di dipendenza emozionale ha un forte bisogno di legame che si manifesta nei confronti di una persona dalla quale dipende totalmente e sulla quale investe tutte le proprie energie. Teme quotidianamente di poterla perdere, ha bisogno di continue rassicurazioni rispetto all’esistenza del legame ma, nonostante ciò, vive costantemente nell’ansia della perdita. Di solito ha difficoltà a prendere delle decisioni, ad identificare i propri bisogni ed obiettivi, soprattutto quando si trova a doverlo fare in autonomia, quindi se non è presente una figura di supporto.
I sintomi della dipendenza psicologica da una persona non si manifestano unicamente all’interno di una relazione di coppia, ma possono svilupparsi anche nei confronti di un genitore, di un figlio, di un amico o di una persona di autorità.
E’ come se la persona, invece che consolarsi autonomamente attraverso la capacità di riconoscere, tollerare ed elaborare le emozioni intense, ricorresse all’altro NON TANTO IN QUANTO ALTRO-CUI-COMUNICARE le proprie emozioni nel tentativo funzionale di condividerle e manifestarle in modo utile, ma piuttosto L'ALTRO COME STRUMENTO per alleviare o distrarre da un’affettività interiore dolorosa e vissuta come annientante.
Cura della dipendenza affettiva
Un percorso di psicoterapia può aiutare la persona a superare le condizioni di sofferenza legate a tale stato, in cui la coppia è vissuta come indispensabile e necessario per la propria esistenza.
Per uscire dalla dipendenza affettiva il primo passo è la consapevolezza del proprio funzionamento e dei propri schemi. Solo così è possibile intervenire nella relazione con l’altro.
La psicoterapia può aiutare il paziente dipendente affettivo a riconoscere le complesse trappole cognitive ed emotive che lo conducono a sofferenza e infelicità.
La storia dell’elefante incatenato di Jorge Bucay esprime appieno in concetto di convinzione limitante:
“Mi piaceva molto il circo quando ero piccolo. Amavo gli spettacoli con gli animali, e l’animale che mi affascinava di più era l’elefante. Mi impressionavano le sue dimensioni e la sua enorme forza. Ma dopo lo spettacolo, mentre uscivo dalla tenda, rimanevo sorpreso vedendo l’animale legato con una catena a un palo conficcato nel terreno. La catena era spessa, ma il palo era un piccolo pezzo di legno piantato a pochi centimetri di profondità. Era evidente che un animale in grado di sradicare un albero secolare avrebbe potuto liberarsi facilmente da quel paletto e scappare. Perché non lo sradica e scappa? – Chiesi ai miei genitori”
Mi dissero che era perché era addestrato. La risposta non mi soddisfò. – Se fosse stato addestrato, perché lo tenevano legato? – Chiesi a parenti e insegnanti. Passò molto tempo prima che qualcuno molto saggio mi desse una risposta convincente: – L’elefante del circo non fugge perché è legato a un paletto simile da quando era molto piccolo. Allora immaginai l’elefante appena nato legato a un paletto. Sicuramente l’animale tirava disperatamente cercando di liberarsi. Quando terminava la giornata doveva essere esausto, perché quel palo era molto più forte di lui. Il giorno dopo riprovava senza risultato e il terzo giorno lo stesso. E avanti così fino a quando, un triste giorno, l’elefante accettò la sua impotenza e si rassegnò al suo destino. Da allora l’elefante aveva impresso il ricordo della sua impotenza. E cosa ancor peggiore, non non mise mai più in dubbio quel ricordo e non tornò a mettere alla prova la sua forza”
In qualche modo, anche noi siamo vittime delle convinzioni limitanti, ossia di “percezioni condizionate” che iniziano a formarsi nei primi anni di vita, grazie alle varie esperienze che facciamo da bambini. Possiamo vivere incatenati a pali che ci privano della libertà, specialmente quando pensiamo di non poter fare certe cose semplicemente perché una volta ci abbiamo provato e abbiamo fallito. In quel momento abbiamo registrato nitidamente nella nostra mente il messaggio “non posso farcela”. Infatti, è una situazione abbastanza comune nella depressione e nelle vittime di violenza.
Alla fine sono arrivata a credere in una ricerca che io chiamo La Fisica dell'Anima, una forza della natura governata da leggi reali quanto la legge di gravità. La regola di questo principio funziona più o meno così: se sei abbastanza coraggiosa da lasciarti indietro tutto ciò che ti è familiare e confortevole e che può essere qualunque cosa, dalla tua casa a vecchi rancori, e partire per un viaggio alla ricerca della verità, sia esterna che interna, se sei veramente intenzionata a considerare tutto quello che ti capita durante questo viaggio come un indizio, se accetti tutti quelli che incontri strada facendo come insegnanti, e se sei preparata soprattutto ad affrontare e perdonare alcune realtà di te stessa veramente scomode, allora la verità non ti sarà preclusa.
Elizabeth Gilbert (Julia Roberts)
dal film "Mangia, Prega, Ama" di Ryan Murphy
Anche se non c'era un pubblico di fronte a me, è stata un'esperienza bellissima ma al tempo stesso difficile da sostenere dal punto di vista dell'ansia.
Il rientro dalle vacanze e il ritorno alla routine quotidiana rappresentano per molti un vero e proprio trauma, causa di stress e malumore.
Dopo la pausa estiva, ritornare alla quotidianità può generare ansia e disagio.
I sintomi che possono presentarsi in seguito a questo evento possono essere nervosismo, insonnia, ansia e stanchezza eccessiva. Lo stress dovuto al ritorno alla normalità può avere conseguenze spiacevoli anche sulla salute della pelle, generando un vero e proprio stress cutaneo, come acne, macchie cutanee, colorito spento.
Fondamentale, quindi, è riabituare corpo e mente ai ritmi della vita quotidiana attraverso alcuni processi, come:
- RIABITUARSI GRADUALMENTE ai nuovi ritmi, senza vivere gli impegni con eccessiva agitazione e ansia da prestazione. Se possibile, l’ideale sarebbe tornare a casa dalle vacanze qualche giorno prima del rientro al lavoro, in modo tale da tornare alla vita quotidiana evitando traumi eccessivi.
- FARE ATTIVITÀ FISICA, per ridurre lo stress.
- DEDICARSI A NUOVI PROGETTI
- ORGANIZZARE GLI ULTIMI WEEKEND FUORI PORTA con gli amici o la famiglia.
A volte può succedere che i livelli di stress superino eccessivamente i parametri standard, generando una vera e propria incapacità di muoversi ed una forte depressione. In tal caso è giusto affidarsi ad una persona competente (psicologo/a) che possa aiutare la persona a gestire e ad intervenire su questi episodi.
"Se si cura una malattia, si vince o si perde; ma se si cura una persona, vi garantisco che si vince, si vince sempre, qualunque sia l'esito della terapia." patch Adams
Questo per me è un giorno importante e spero lo sarà presto per tutti❤️😊
Gli effetti della pandemia sulla salute mentale delle persone sono ormai agli occhi di tutti. Ansia, depressione, ipocondria e sintomi nell’ambito dei disturbi alimentari sono alcune delle possibili evidenze che dal lockdown si sono intensificate.
L'incertezza sull'andamento dei contagi da Covid sta mettendo un'altra volta in allerta le famiglie che in primavera hanno sperato di tornare a vivere la normalità dopo un periodo che ha messo a dura prova la resilienza di tutti noi.
Di seguito riporterò alcune delle frasi che vengo espresse in studio, ma anche in altri contesti in cui lavoro:
“Non posso pensare di rivivere di nuovo quella situazione, è stata un incubo…mi rifiuto!”, “Ho paura per la nonna e per il nonno ma il resto ok”, «E se chiudono tutto un’altra volta?”, “Mio figlio da quando hanno bloccato la possibilità di fare sport passa tutta la giornata davanti al computer”.
Il COVID ci ha portato e ci porterà a confrontarci nuovamente con due aspetti:
- Il terrore rispetto a una minaccia reale ma invisibile che si muove fuori dalle nostre case, e che costringe tutti a vivere una lussuosa prigionia,
- a confrontarci con i nostri “demoni interiori”. Insieme alle preoccupazioni primarie come il lavoro, l’affitto, lo stipendio, ci ha infatti costretti a fare i conti con noi stessi: con nodi irrisolti, paure ancestrali, senso di impotenza. E di conseguenza con sofferenze e angosce pregresse o conflitti sommersi che, nel momento di sospensione della quarantena, sono affiorati o si sono manifestati in maniera preponderante.
La terapia in studio o eventualmente online è stata e sarà quindi, in questo periodo storico così delicato, un’ottima risorsa per accompagnare le persone ad affrontare tutto questo.
La terapia in studio e quella online che ho espletato con alcune persone nel periodo che va dalla quarantena ad oggi ha avuto l’obbiettivo di aiutare i pazienti ad interfacciarsi con le nuove sfide che questa dimensione pandemica ci porta a fronteggiare: oltre ai timori e al senso di smarrimento di fronte alle infinite incognite con cui tutti si sono imbattuti, la difficoltà di ritrovarsi lontano, le problematiche relazionali legate ad una convivenza forzata in famiglia, le frustrazioni dei giovani a dover adattarsi a queste intense restrizioni, la perplessità che qualche parente stretto si possa ammalare o le incertezze rispetto ad un ritorno alla normalità.
"Nella totale perdita di valori della gente l, il teatro è un buon pozzo dove attingere" Gigi Proietti
Con la presente siamo lieti di invitarvi agli incontri di riflessione sulle famiglie, emozioni e genitorialità dal titolo "LA FAMIGLIA: TRA GALASSIE E PIANETI. le emozioni ai tempi del covid-19" che si terranno in data 27 Ottobre 2020 e 10 Novembre 2020, dalle ore 15:30 alle ore 17:00 in Via A. Scarlatti n.60 Vomero (NA) presso la sede Archè, insieme al Dr. Emanuele de Iudicibus - Psicologo e la Dott.ssa Ludovica Anna Caruso,
psicologi clinici.
🌷
per info e prenotazioni: [email protected]
Sono lieto di annunciare,
dopo un periodo di intenso lavoro insieme alla mia collega Ludovica Anna Caruso - Psicologa la partenza di questo emozionante evento dal titolo "COSTELLAZIONE FAMILIARE: navigare le emozioni ai tempi del Covid-19" rivolto ai genitori.
Per chi fosse interessato a saperne di più, info in privato.
Locandina dell'evento⤵️🌷⤵️🌷⤵️
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Ultimamente si è discusso molto del lavoro dello psicologo. Dalla figura professionale che lavora con i pazzi a una sorta di indovino o chiromante. Lo psicologo, però, non ha nulla a che vedere con poteri magici, sfere di cristallo o visioni.
Noi non andiamo in giro vestiti come Mago Merlino e che con il suo bastone formula magie, bisogna anche ricordare o precisare che non facciamo miracoli e non abbiamo il potere di risolvere i problemi nell'arco di pochi incontri, ma il nostro reale lavoro è fornire l’aiuto necessario affinché le persone possano trovare la soluzione. Lo psicologo ci aiuta a trovare le risorse di cui abbiamo bisogno, le quali, la maggior parte delle volte, sono proprio dentro di noi o forse dobbiamo apprenderle per dare avvio al cambiamento.
Andare dallo psicologo a volte non è facile. Questo fatto implica accettare o essere consapevoli di avere un problema o una difficoltà e per molte persone riconoscerlo è un’impresa difficile. Tuttavia, è il primo passo per cambiare la situazione.
Lo psicologo aiuta anche a migliorare o crescere come persone e non agisce solo quando l'esistenza delle persone viene offuscata da problemi.
Ho deciso di inserire questa clip in quanto trovo giusto ricordare e soprattutto ricordarmi che sono umano e che la sofferenza appartiene anche alla mia categoria. E se riesco a fare bene il mio lavoro è prorio merito del continuo interfacciarsi con quella sofferenza.
Come si evince dal cortometraggio, lo psicologo aiuta a trasformare i problemi dei pazienti. Questo, però, non significa che non abbia egli stesso problemi o difficoltà. Anche gli psicologi sono persone che devono affrontare la vita con tutte le sue avversità. Gli psicologi sono persone e, in quanto tali, sono vulnerabili alle circostanze.
Nello sportivo in generale, l’ansia da prestazione rappresenta una delle situazioni più facilmente riscontrabili e limitanti. Essa può essere presente sia negli sport individuali che in quelli di squadra, e spesso porta l’atleta a deconcentrarsi e non rendere al massimo delle proprie aspettative e qualità.
Esistono degli individui più predisposti di altri a sviluppare i sintomi dell’ansia. Inoltre, alcune manifestazioni somatiche possono essere particolarmente fastidiose per molti atleti: sensazione di tremore agli arti, battito cardiaco accelerato, fiato corto e conseguente difficoltà a spezzare il fiato.
I sintomi che maggiormente condizionano, in modo negativo, la prestazione sono tuttavia quelli psichici: difficoltà di concentrazione, paura di sbagliare, demoralizzazione in seguito ad un errore, mancanza di feedback positivo (divertimento) nei confronti dell’attività che si sta compiendo.
Rispetto a quanto detto è importante sapere che l’ansia non è un elemento negativo ma al contrario va considerato come un campanello di allarme che attiva una nostra risposta in seguito ad eventi percepiti pericolosi. Se non provassimo ansia potremmo davvero considerarci in pericolo, in quanto incapaci di valutare situazioni che generano pericolo. L’ansia inoltre ci permette di aumentare i nostri livelli di attenzione.
Quando l’ansia ci impedisce di agire come vorremmo allora vuol dire che ciò che prima era considerato un sostegno alla nostra esistenza oggi sta avvelenando mente e corpo. E quindi andrebbe presa in seria considerazione l’eventualità di consultare uno psicologo.
Una notte, ad un guerriero della più antica tribù d’America, i Piedi Neri (Blackfoot), venne in sogno un grande lago. Sulle sponde c’era una gran quantità di animali, che tutti insieme non li aveva mai visti: cervi, cerbiatte, coyote, bisonti e altri ancora. Poi, nel sogno, c’era anche la voce del Gran Vecchio che gli diceva che erano animali buoni, che avrebbe potuto prenderne uno e portarlo all’accampamento. Questi animali potevano essere di grande aiuto perché erano capaci di portare pesi e ti**re slitte meglio dei cani. Di buon mattino, armato di una lunga corda di bisonte, il guerriero si avviò in cerca del lago. Camminò a lungo e finalmente giunse. Era tutto vero, proprio come era apparso in sogno. Allora scavò una buca per nascondersi e osservare i movimenti degli animali. Bisognava aspettare il momento propizio per catturare il più grande e il più forte. Mentre era lì che osservava e valutava, ad un certo punto si levò un gran vento, le onde del lago si alzarono e da lontano si sentì come il rombo di un tuono. Cercò di guardarsi attorno per capire cosa stesse succedendo, ma la furia del vento e le sciabolate d’acqua gli impedivano di tenere gli occhi anche appena socchiusi. Intanto quel rombo si gonfiava e sembrava avvicinarsi sempre di più. Lui sapeva d’essere un guerriero coraggioso, però non poteva nascondere a se stesso di provare in quel momento qualcosa che somigliava, se non alla paura, sicuramente ad un senso di smarrimento. Si rannicchiò nella buca e attese che la furia di quell’incomprensibile mistero passasse.
Quando osò sporgere la testa dal suo nascondiglio, gli si parò davanti uno spettacolo mai visto. Animali con una lunga coda che toccava terra, con orecchie piccole, dritte e appuntite e con un corpo come quello dell’alce, ma più grande, si stavano abbeverando sulla sponda. Il più imponente fra loro si guardava attorno e scrutava l’orizzonte come se facesse la guardia. Avevano il mantello di ogni colore, bianco, nero, rosso, macchiato e i più piccoli fra loro erano sempre circondati dai più grandi. Nessuno prima di lui aveva mai visto niente di simile. Mentre era come ipnotizzato da questa visione, lo scosse la voce del Gran Vecchio: “Ecco! Anche se non lo sapevi, era questo l’animale che stavi aspettando. Hai davanti a te qualcosa che supera il sogno. Non aver paura di ciò che non conosci. Tira fuori tutto il tuo coraggio, anche quello che non sai di avere. Questo animale sarà la misura del tuo valore. Prendilo”.
IL GUERRIERO si accostò al cavallo più grande con cautela. Per un momento dubitò del suo coraggio. Per la prima volta capì come l’ignoto possa disarmare il cuore. Ma capì pure che il cuore ha bisogno dell’ignoto per pulsare più forte. Si lanciò all’assalto, avvinghiò la orda attorno al collo dell’animale e cominciò a ti**re con forza. Ma l’animale si impennò e con una potenza inimmaginabile si liberò di quella stretta e prese a galoppare verso il centro del lago con tutto il resto della mandria al seguito. Così come erano arrivati tuonando, sparirono di colpo fra colonne d’acqua.
Il guerriero se ne tornò al villaggio. Assieme al coraggio che non sapeva di avere, conobbe anche l’umiliazione di una potenza che aveva la forza invincibile del mistero. Si addormentò deluso e nel sonno invocò la voce di dentro. Che rispose: “Hai imparato il limite della tua forza. Adesso devi imparare a non uscirne sconfitto. Torna al lago e scegli fra quegli animali quello che è più alla tua portata”. Il giorno dopo si mise di nuovo in viaggio e, arrivato alle sponde del lago, si dispose ad attendere il fenomeno che già conosceva. Aspettò che gli animali si fermassero per bere, scelse e riuscì, non senza fatica, a prendere con la corda un puledro. E poi un altro ancora. E poi ancora. Tirò con forza, ma senza strappi. Quando si quietarono e li ebbe a portata di mano, gli venne spontaneo accarezzargli la groppa e il muso. E’ vero, non erano cattivi. Al villaggio, quando rientrò con questa compagnia, tutti ebbero paura. Ma lui li rassicurò: “ Fidatevi, li conosco, sono buoni”. Dopo qualche giorno tutto il villaggio si svegliò in gran subbuglio. Ogni madre portò a riparo i propri figli, ogni uomo corse ad armarsi. Solo i vecchi restarono immobili e a occhi chiusi a sentire i forti respiri che circondavano l’accampamento. Ad un tratto la terra emise come un accavallarsi di mille rintocchi forti, eppure leggeri. Dal bosco uscì di passo lento lo stallone con cui il guerriero si era misurato al lago. Dietro, le giumente, le madri dei puledri. La mandria entrò nel villaggio e ogni giumenta andò in cerca del proprio figlio. Non potevano più stare senza allattarli. Le donne del villaggio videro che le giumente facevano con i puledri la stessa cosa che loro facevano con i loro figli. Si strofinavano per riconoscersi. Gli uomini videro che lo stallone proteggeva le giumente, così come loro facevano con le proprie donne. I bambini videro che i puledri correvano, sgroppavano e saltavano proprio come facevano loro quando giocavano. Tutto il villaggio si avvicinò agli animali per carezzarli piano e per lasciarsi annusare.
Fu così che da quel giorno i Blackfoot e i cavalli vissero insieme per sempre.
Quando le coppie stanno insieme da molto tempo mantenere viva la fiamma richiederà, inevitabilmente, un po' di impegno. Se i partner non sono motivati e stimolati a mantenere salda la loro connessione romantica - con abitudini quali uscite serali, attenzioni, piccoli gesti significativi o counseling di coppia - potrebbero ritrovarsi nel territorio dei cosiddetti "coinquilini"
Dopo anni insieme, trasformarsi in coinquilini diventa rischioso perché i partner col tempo possono spostare l'attenzione dall'altra persona alle faccende della vita quotidiana. Si rischia di diventare partner nella gestione della vita o della famiglia, e non più partner in amore.
Di fronte a tali situazioni non bisogna rimanere fermi, ma attivarsi mettendosi in gioco e trovando il coraggio di chiedere aiuto.
Di seguito ho inserito uno stralcio del film “Il matrimonio che vorrei - clip - Kay e Arnold” per dare un’idea di quella che potrebbe essere una dinamica di una coppia in terapia.
Vi do il benvenuto nel mio nuovo studio!
Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro, donandogli un aspetto nuovo attraverso le preziose cicatrici. Ogni pezzo riparato di conseguenza è unico e irripetibile proprio grazie alle sue “ferite”. L’oggetto quindi diventa ancora più pregiato grazie alle sue cicatrici, perché loro sostengono che quando qualcosa viene danneggiata ed ha una storia, diventa più bello, ancora più prezioso sia esteticamente che interiormente. Questa tecnica è chiamata “Kintsugi” cioè riparare con l’oro.
La psicoterapia spesso segue la tecnica del Kintsugi aiutando le persone a cui si è formata una crepa nella vita, bloccate in una crisi personale in cui riescono a vedere solo i frammenti di sé, a ricomporsi nuovamente, arricchendosi, per diventare ancora più preziose, più forti di prima e con risorse che prima non venivano notate
Sostegno psicologico individuale, di coppia, familiare.
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In genere dinanzi a tali situazioni ci sentiamo impotenti, non sappiamo come ottenere il comportamento richiesto e soprattutto non comprendiamo il senso della oppositività. Ma soprattutto si evidenzia la difficoltà degli adulti di comprendere i giovani, di comunicare con loro e spesso di ascoltare quello che realmente stanno chiedendo o dicendo.
In questi casi la figura dello psicoterapeuta consiste nell’aiutare i diversi componenti del contesto familiare a comunicare e ascoltare e tradurre i pensieri di ciascuno, restituendo in questo modo le competenze e le risorse alle diverse figure del nucleo familiare.
Se anche tu hai di questi pensieri, non abbatterti. Spesso le coppie manifestano questo disagio e il più delle volte trovano il coraggio di chiedere aiuto.
la psicoterapia di coppia ha come obiettivo quello di aiutare la coppia a gestire meglio la conflittualità e a risolvere quei traumi relazionali che fanno parte del vissuto personale di ciascuno e che rischiano di compromettere il rapporto, impedendo a ciascun componente di trovare quelle risorse utili per superare la crisi.
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