Dott.ssa Maria Carpino Psicologa, Psicoterapeuta
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Il linguaggio dell' Arte quale matrice primordiale che accomuna l' umanità nel sentimento del familiare di quella e - straneità dell' altro da noi permettendo connessioni di reti generative
INTERVIEW: MARIA CARPINO Maria Carpino was born in Rome in 1974. The artist is a psychotherapist and a group analyst. She has a great personal and professional passion for the treatment of people suffering from serious mental illnesses, in which she has specialized. In 2006, it was precisely in her field of clinical work th...
RELAZION’ARTE Laboratorio Mensile di Arteterapia e Gruppoanalisi
PRESENTAZIONE
Il dare forma attraverso l'atto creativo ad un suono, ad una danza o ad una pittura, consente di esprimere vissuti emotivi donandoci benessere e piacere. L'espressività della persona nel gruppo di Arteterapia può favorire il confronto con l'altro, rendendosi maggiormente consapevole di parti di sé inaccessibili, che tramite l'arte vengono messe in parola
CALENDARIO INCONTRI
Il secondo sabato del mese dalle 17.00 alle 19.00
13/01/24. Danzaterapia:Il mio spazio personale
10/02/24. Plastico pittorico: Il rapporto con il partner
09/03/24. Musicoterapia: Le dinamiche di Lavoro
13/04/24. Psicodramma: La famiglia
11/05/24. Teatroterapia: Gli amici
08/06/24. Canto e Creta: Io nel Mondo
INFO&PRENOTAZIONI
Dott. Daniele Salesi tel-3404118995
QUOTA un incontro 20 euro , sei incontri 100 euro.
DOVE
Presso Il "Sistro" in via dei Lateranensi n.71 Metro A Numidio Quadrato
Da questa domenica torniamo al Parco con le lezioni gratuite di Yoga, Taichi e Bioenergetica!
https://facebook.com/events/s/benessere-e-creativita-a-tor-f/1473355503206149/
# illavorodellattore
Felice ed entusiasta di condividere quest' avventura
Il Sistro e’ una realtà di cui faccio parte e di cui sono davvero fiero.
Quello che tanti anni fa,era un piccolo sogno nel cassetto e’ diventato realtà.
Un luogo dove poter scoprire la nostra unicità e la voce della nostra anima che ci chiama costantemente tramite sintomi,esperienze di vita, vissuti, sensazioni, emozioni insieme ad altri professionisti e insegnanti di varie discipline.
Qui nella locandina potete vedere tutte le attività che ci saranno, io in particolare mi occuperò di Osteopatia.
Un abbraccio a tutti
Sistro Quadraro CINuts - Non dargli peso
Il nostro Nome
“Mariaaa, vieni!”. Con voce alta mi chiamava mia madre da una stanza all’atra di casa, per chiedermi una o quell’altra cosa; “Luciaa vieni! Nicola..Antonioo”, “dottoressa Mariaa..!”. Da una stanza all’altra ci chiamiamo per nome per chiederci una o quell’altra cosa.
Ma chi siamo? E in quale luogo siamo? E’ una casa? Forse noi la viviamo così. Qui ci chiamiamo l’un l’altro come ci chiamavano in famiglia. E siamo forse una famiglia. Almeno, viviamo tutti i giorni la nostra quotidianità insieme. Qui è un luogo n cui ci prendiamo cura di noi ed impariamo quelle abitudini del vivere ormai dimenticate per chissà quale motivo, che ci rendono pensabile e percorribile la vita nel mondo conosciuto dai più. Qui è un luogo in cui si fanno discorsi reali e surreali, tra parole, arte, musica e linguaggi usuali e inusuali che, tra di noi, rendiamo comprensibili alla lingua conosciuta dal mondo. Qui ci arrabbiamo e la rabbia tante volte la esplodiamo fuori dalle regole. E fuori dalle regole, anche quelle più sciocche, a volte facciamo anche altre cose, come non lavarci i denti o metterci il pigiama! Ma noi siamo così! E stiamo Qui proprio per ricordare anche queste regole del mondo. E, come in quella famiglia che ci chiamava, qui ci chiamiamo per nome, nel ricordarci di chi, dimenticati, siamo. E proprio così Qui possiamo ri-esistere ed esistere per il mondo.
Ma dov’è “qui”?
Questo luogo come si chiama?
Dott.ssa Maria Carpino
📙5 ottobre 2022 | Giornata mondiale degli insegnanti
Un insegnante ha effetto sull'eternità; non può mai dire dove termina la sua influenza. (H. Adams)
👉 https://bit.ly/3UVWbfU
In occasione del 16º compleanno dell’APRE vogliamo condividere la gioia per:
1) l’apertura del nuovo Centro vicino al Parco degli Acquedotti il 21 settembre con la presentazione di un caso clinico all’Ordine degli Psicologi;
2) il XVII convegno presso l’Universita’ La Sapienza il 23 settembre (programma come da locandina nell’immagine) per iscriversi al quale, gratuitamente, basterà compilare il link https://forms.gle/9vvCedwm7CppAQ7EA
3) il ”battesimo” del Corso quadriennale di specializzazione in psicoterapia SPAIG in un dialogo con il grande maestro nostro socio onorario Giorgio Battistelli (che ha appena ricevuto il Leone d’oro alla carriera) a Venezia il 25 settembre in uno speech con Filippo Pergola su tematiche di Clinica del Sociale a partire da alcune sue opere.
Questa è la Scuola di PolisAnalisi
www.polisanalisi.it
Grazie, di Tutto
❤️
"È una fortuna essere diversi". Mi hanno sempre giudicata come "strana" o "diversa", ma la sai una cosa? Mi è sempre piaciuto da morire, non sopporterei essere vista come il resto del mondo. (Alda Merini)
Lo sguardo
la doccia e l’esistere
TP: “ M. ricordati che dopodomani ti devi rifare la doccia!”
M: “ la tua è un ossessione!”
Il Sig. M. si ostina nel non lavarsi, quanto io mi ostino nel rammendargli l’esistenza della “doccia” ogni giorno, ogni volta che lo vedo, ogni volta che incontro il suo sguardo, si! Un ossessione!, l’ossessione dell’ essere una persona come .M.: “… ci sono sei miliardi di persone al Mondo …”
TP : “ tutte linde e pinte!”.
Conobbi il Sig. M. circa 5 anni fa, un bell’uomo di mezza età, di origini medio-borghesi e tale era nei modi, ma appariva allo sguardo trasandato quanto un clochard, occhi chiari celati da occhiali con lenti con un velo di opacità, con barba e capelli lunghi ed incolti, di quel colore biondo sbiancato dalle sue 62 primavere come lui stesso nel celarle le chiamava! Indossava sempre un paio di sandali aperti che usava per ogni stagione e mai toglieva! Mi sono
sempre immaginata il sig. M. quale un uomo d’affari in una grande azienda in giacca e cravatta. Un altro Destino! Nell’incedere nel mondo appariva sicuro e dinamico e sempre alla ricerca di un colloquiare che spesso agiva anche in lontananza dal suo possibile interlocutore, allorquando si avvicinava a chi aveva scelto per colloquiare tendeva a stargli talmente vicino tanto da annullare quella distanza propria dello spazio percepito come personale e necessario tra se e l’altro. Il suo parlare era un perenne disquisire su Londra, sul cinema e su alcuni ricordi del proprio passato che collocava in un tempo presente come se la temporalità non seguisse il suo corso.
Divenne un mio paziente circa due anni fa e la mia prima reazione fu quella di domandarmi come superare la difficoltà che avevo a relazionarmi con lui, quanto il fastidio che provavo nel suo invadere lo spazio pericorporeo dell’altro quando si avvicinava nel parlare.
È nella relazione che si è giocato il riuscire in me a superare quel disagio, probabilmente il lasciare invadere il mio spazio ha potuto permettere di entrare io nel suo, e così fu la doccia!
Mi rendo conto quanto la relazione con il Sig. M. giri quasi totalmente, anche se non esclusivamente, intorno alla rappresentazione della doccia quale unico filo tra cui si intreccia una trama invisibile e narrabile solo attraverso: “il viaggio a Londra”, “ il Cinema”, l’appellarsi del Sig. M. “ingegnere” , il suo, dare del “Lei”,come distanza da quello spazio invaso, ma non invasibile. E’ nell’Esistere il dispiegarsi di una trama racchiusa nel suo eterno presente che, nel divenire di una “doccia”, potrebbe rendersi vissuta.
Creatività Per essere creativi è necessario prepararsi adeguatamente, o si rischia di fare la fine di Icaro.
Attaccamento.
L'AMOR CHE MOVE IL SOLE E L'ALTRE STELLE
https://terredinessunoblog.wordpress.com/2022/07/10/lamore-che-move-il-sole-e-laltre-stelle/
La sua storia, la nostra storia
«Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio, ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto, ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figlie e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose. Insomma, ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò e, morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio, tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Fu lì che credetti di impazzire. Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all’uomo e che l’uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire. Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso: mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica a uscire. Mi ribellai. E fu molto peggio.
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti. Non era forse la mia una ribellione umana? Non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? Perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione? Un po’ per l’effetto delle medicine e un po’ per il grave shock che avevo subito, rimasi in istato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte. Quella scarica senza anestesia. Dopo qualche giorno, mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a risconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla. E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione. Il manicomio era sempre saturo di fortissimi odori. Molta gente addirittura orinava e defecava per terra. Dappertutto era il finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o che cantava sconce canzoni. Noi sole, io e la Z., sedevamo su di una pancaccia bassa, con le mani raccolte in grembo, gli occhi fissi e rassegnati e in cuore una f***e paura di diventare come quelle là. In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento.
Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro, perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra. Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo».
Alda Merini
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